È
necessario affermare, come assioma di partenza, che la dinamica della produzione
della struttura del corpo umano (v. supra,
Bauplan) e del funzionamento dei suoi
organi e dei suoi apparati fisiologici, compreso il cervello, non è sufficiente
a formare il dispositivo cervello-mente; infatti, questo dispositivo, come s’è
detto sopra a proposito della GNST (Groups
Neuronal Selection Theory), mostra la sua processualità (casuale, dinamica
e plastica) a partire dalla vita fetale con la formazione del sistema neurale
(il repertorio primario) e continua, come detto, sino alla morte, arco di vita
dove si presenta l’interazione del cervello (del corpo) con l’ambiente esterno
(repertorio secondario) che compartecipa via via alla costruzione d’una nicchia
ecologica e culturale, fenomeno (il cui stampo è imprevedibile, cioè unico e
irripetibile) ch’è dovuto a una dinamica dove le reti sociali, appoggiandosi
sulle reti neuronali grazie ai fenomeni del rientro e della categorizzazione e
ricategorizzazione percettiva, sono corresponsabili della transizione della
mente dallo stato neonatale (coscienza primaria, propria anche ad altre specie)
allo stato adulto (coscienza d’essere coscienti) dell’organismo, ciò che si
traduce in un coagulo di rapporti tra loro interdipendenti
che l’organismo tesse con la nicchia ecologica, con gli altri organismi della
propria umana specie e d’altre specie (costruzione di nicchia culturale) e nell’eventuale
successo/insuccesso di tali rapporti; ed è importante sottolineare da subito che
questo strumento della nicchia culturale, ossia il dispositivo cervello-mente
edificato per filogenesi dal genere Homo
affinché questi possa arrivare a essere in grado di modellizzare e
rimodellizzare ontogeneticamente il mondo circostante allo scopo d’essere
esonerato dai limiti del qui e ora propri alla coscienza primaria, è solo uno
strumento che, se pur diverso, è pari per valore (ma non per efficacia
creativa/distruttiva) a quello che usano le altre specie per modificare la loro
nicchia ecologica; fatta salva questa parità, bisogna sottolineare che,
eseguendo un’analisi comparata dei tessuti cerebrali di alcune specie (ne sono
state monitorate ca. un centinaio prima di reperire quelle pertinenti), queste
presentano poi una parentela con un meccanismo che nel genere Homo s’ipotizza abbia innescato quella prosocialità
interagente fra insiemi d’organismi che permette infine di costruire una
nicchia culturale, cioè d’implementare delle reti sociali, e che rimanda ai
neuroni di von Economo (von Economo neuron,
o VEN); quest’ipotesi della prosocialità si basa, per il genere Homo, sulla scoperta di una tipologia di
cellule cerebrali fusiformi (a forma di fuso, o spindle cell), cioè sottili e
allungate, e a forma bipolare, con un soma che presenta un assone apicale e un dendrite
all’altra estremità (dunque con una struttura dendritica semplice), cellule la
cui comparsa avviene in piccolo numero nella 36a (altri dice
35a) settimana dopo il concepimento, numero che poi cresce durante i
primi
quattro anni di
vita postnatale (con un picco attorno agli 8 mesi) e che in seguito rimane
relativamente stabile durante l’età adulta, numero che si presenta poi con
valori superiori nell’emisfero destro del cervello per un’asimmetria che emerge
durante i primi mesi di vita
postnatale; ancora, lo sviluppo di queste cellule cerebrali fusiformi durante
l’infanzia potrebbe subire l’influenza di fattori ambientali, quali la assenza/presenza
di stimoli, l’assenza/presenza di fattori di stress, la assenza/presenza di qualità nelle cure parentali etc., con ricadute positive o negative,
durante l’età adulta, sulle competenze/incompetenze cognitive di tipo sociale
(tipo riconoscimento degli errori propri e altrui e pronta risposta adattativa
a condizioni mutevoli); capacità/incapacità di risoluzione dei problemi (problem-solving) che si giustappongono
poi sulla capacità/incapacità dell’autocontrollo emotivo e la presenza/assenza
di stabilità emotiva, ciò che porta a modificare/alterare, a livello
dell’ontogenesi, le tappe dello sviluppo socioemotivo in meglio o in peggio; la
figura seguente mostra una microfotografia di un neurone piramidale (a) e di un
neurone di von Economo (b) colorati con il metodo di Golgi (cioè fissando i preparati
con bicromato di potassio e impregnandoli con nitrato d’argento); in (b) si
nota la struttura fusiforme della cellula e la presenza di un assone apicale che
trasmette le informazioni ricevute dal dendrite basale (sul funzionamento dei
neuroni, v. supra); la barra di scala
vale per entrambe le immagini:
Figura
n. . Fonte: Watson, Jones e
Allman, 2006, p. 1108.
Cellule,
ancora, che sono rare e ca. 4 volte più grandi rispetto alla media degli altri
neuroni e che sono stati individuate per la prima volta da von Economo (da cui
il nome) nello strato V di due regioni del cervello, una chiamata corteccia cingolata anteriore
(anterior cingulate cortex, ACC, v. supra) e l’altra corteccia
frontoinsulare (frontoinsular cortex,
FI, v. supra), come mostra la figura
seguente
dove a sinistra si ha la vista
laterale del cervello con la corteccia frontoinsulare (FI, colore rosso) e a destra se ne ha la vista
mediana con la corteccia cingolata anteriore (ACC, colore rosso):
Figura
n. . Fonte: Ibegbu, Umana, Hamman e Adamu, 2014,
p. 2.
Ora, s’è
scoperto che questi neuroni su cui si basa l’ipotesi sopracitata sono poi presenti
nella famiglia Hominidae al suo
completo, cioè in tutte le sue ramificazioni (v. supra) in generi, cioè Homo,
Pan (Pan
troglodytes e Pan paniscus), Gorilla (Gorilla gorilla)
e Pongo (Pongo pygmaeus e Pongo abelii); i VEN sono poi più
abbondanti in Homo e via via diminuiscono in densità negli altri generi con
la seguente progressione: Homo (Homo sapiens) > bonobo (Pan
paniscus) > scimpanzé comuni (Pan troglodytes) > gorilla (Gorilla
gorilla) > oranghi (Pongo pygmaeus e Pongo abelii) e,
indipendentemente dalla loro densità (ch’è storia evolutiva a seguire), tutto ciò riporta a un loro antenato
comune proveniente dall’Africa settentrionale/orientale (della superfamiglia
Driopitècine, Dryopithecinae) e presente
all’altezza di ca. 15 milioni di anni fa, nel tardo Miocene (dunque prima della
divergenza, datata grossomodo a 6 milioni d’anni fa, fra i lignaggi del genere Homo e del genere Pan, v. supra), cui
bisogna però aggiungere che i VEN sono presenti, se pure in misura minore,
anche nel genere Macaca, anche questo
appartenente come i già citati generi al gruppo di primati delle scimmie Catarrine
(Catarrhini) o scimmie del Vecchio
Mondo, specificamente alla sottofamiglia Cercopithecidae
(Cercopitècidi), sottofamiglia che s’è scissa dal sottordine Catarrine tra l’Oligocene
e il Miocene, ca. 25 milioni d’anni fa (in ogni caso, per i neuroni di von
Economo si tratta d’una recente specializzazione filogenetica, tanto che si
sospetta che la vulnerabilità dei VEN nelle condizioni disfunzionali legate ai
disturbi neurali propri a Homo sapiens,
v. infra, sia dovuta proprio al fatto
che l’evoluzione non abbia potuto plasmare il loro funzionamento e l’integrazione
con altre popolazioni cellulari con il dovuto tempo); la figura seguente mostra
la localizzazione della corteccia frontoinsulare (FI) e della
corteccia cingolata anteriore (ACC) su sezioni coronali di cervello in Homo sapiens, in Pan paniscus (Bonobo) e in Gorilla:
Figura
n. . Fonte: Ibegbu, Umana, Hamman e Adamu, 2014,
p. 2.
Questi VEN,
ancora, s’è poi scoperto che sono presenti anche in elefanti (della famiglia
degli Elefantidi, Elephantidae), balene (della famiglia dei
Balenidi, Balaenidae), delfini (della
famiglia dei Delfinidi, Delphinidae) e,
in misura minore, nei procioni (della famiglia dei Procionidi, Procyonidae) e complessivamente tutti
questi mammiferi fra loro filogeneticamente diversi (umani, scimmie, elefanti,
balene, delfini e procioni) arrivano a suggerire che i VEN derivano da popolazioni
comuni di neuroni (molto probabilmente da una popolazione di neuroni piramidali)
già presenti nella corteccia prefrontale e nella corteccia cingolata anteriore di
mammiferi ancestrali e evoluti più volte nel contesto di specie-specifiche
pressioni adattative, come dire che il fatto che questa classe di neuroni, in
quanto presente in varie specie con distribuzioni corticali simili e con numeri
assoluti di VEN ragionevolmente comparabili, può essere indice dell’evidenza
che i neuroni di von Economo filogeneticamente conservati possono arrivare a rappresentare,
a seguito delle dette pressioni selettive fra loro comparabili, una
specializzazione neurale ch’è squisitamente relativa a dimensioni del cervello molto
grandi; specializzazione, a sua volta, che sarebbe pari, nelle diverse nicchie
ecologiche delle citate specie, alla presenza d’una socializzazione emergente che
coinvolge aspetti emozionali/cognitivi, allocati nelle suddette regioni
corticali e legati alla trasmissioni d’informazioni strategiche per la
sopravvivenza delle specie (ciò che fa rientrare anche queste specie, oltre al
genere Homo, nell’ipotesi della
prosocialità); la figura seguente mostra l’adattamento della filogenesi dei
mammiferi placentati, compresi Ordini (a destra) e Superordini (a sinistra); in
rosso sono indicati ordini che contengono almeno una specie i cui VEN sono
stati descritti:
Figura
n. . Fonte: Butti, Santos, Uppal e Hof,
2013, p. 322.
Infatti, questi
neuroni di von Economo, in quanto grandi e con un’architettura dendritica
semplice e simmetrica, hanno permesso agli studiosi di congetturare che essi sono
stati sviluppati per la velocità di trasmissione delle informazioni, vale a
dire che hanno probabilmente il ruolo d’accelerare, in un cervello a sua volta
grande, la comunicazione della corteccia cingolata anteriore e della corteccia
frontoinsulare con le altre aree del cervello (cioè di avere una funzione d’interconnessione
fra aree corticali e sottocorticali distanti) grazie alla loro stretta arborizzazione
dendritica con collegamenti assonali che s’estendono e attraversano gli strati
della corteccia (questo in base al fatto che nel sistema nervoso la dimensione
dei neuroni spesso si correla con la velocità); le informazioni che la corteccia cingolata
anteriore e la corteccia frontoinsulare anteriore devono poi velocemente veicolare,
in quanto neuroni di proiezione che funzionano da crocevia, o relais, fra diverse aree cerebrali, riguardano
la presenza delle sensazioni che un organismo (qui del genere Homo) sperimenta, sensazioni che le due
citate aree integrano e automonitorano, quali le funzioni d’una regolamentazione
di base delle percezioni proprie agli stati corporei interni, per esempio, di
dolore, di caldo/freddo, di fame e altro ancora (nell’ottica dell’omeostasi fisiologica),
cui s’aggiungono tutti quegli aspetti che
coinvolgono la consapevolezza di sé e degli altri e i processi decisionali effettuati
in condizioni d’incertezza, ciò che s’intreccia con le funzioni esecutive della
corteccia prefrontale (v. infra); ciò
che, ancora, include emozioni quali l’empatia, la fiducia, il senso di colpa e
altro ancora, vale a dire un’intera batteria di percezioni/emozioni/cognizioni che
si presentano come prosociali (e le sperimentazioni su organismi del genere Homo dicono che queste aree s’attivano
per
effettuare una rapida
scelta intuitiva in situazioni sociali più o meno complesse, per esempio, in
un’interazione a due, se si scruta con attenzione la dinamica dell’espressione
facciale dell’altro per discernere e valutarne le intenzioni), tanto che si
sospetta che la consapevolezza di sé (l’automonitoraggio) e la consapevolezza
sociale (v. teoria della mente, supra)
facciano parte d’un dispositivo cervello-mente dove le reti sociali
s’appoggiano in modo epigenetico sulle reti neurali, dunque grazie a un
cablaggio flessibile dei circuiti socioemotivi che potrebbe permettere la
sociogenesi e di dare origine a un cervello sociale; altri esperimenti,
infatti, suggeriscono che le citare aree contenenti VEN sono attivate in
situazioni di monitoraggio della rete sociale cui un individuo partecipa e in
cui scopre un errore sociale dovuto, per esempio, a un cambiamento di stato di
uno dei partecipanti, ciò che può attivare nel soggetto valutante un ventaglio
emotivo intessuto di risentimento, inganno, imbarazzo, ciò che, ancora, può dare
avvio a risposte adattive all’errore rilevato; oppure possono essere attivate dall’empatia
in una situazione di sofferenza da parte di un individuo compresente nella rete
sociale, per esempio, quello d’una madre a fronte di grida d’un bambino in
difficoltà; oppure, ancora, possono essere attivate da segnali prosociali come
l’affetto e la fiducia e altro ancora; inoltre, mentre molte di queste
dinamiche sono coscienti, possono esisterne anche altre di cui l’organismo
agente è inconsapevole, e a questo proposito, per esempio, è stato dimostrato
che quando un soggetto guarda negli occhi il suo interlocutore non è
consapevole se le dimensioni delle pupille di quest’ultimo s’alterano in modo
discordante con la prosocialità ch’è in essere fra i due in quel momento (cioè
s’allargano in modo involontario a causa dello stress emotivo che si mette in atto per simulare una concordanza
che non c’è), inconsapevolezza che, al contrario, la corteccia cingolata
anteriore e l’insula anteriore del soggetto non vivono in quanto s’attivano subito
all’effettuarsi della dilatazione della pupilla dell’interlocutore e subito allertano
il cervello sull’incongruenza presente nel fatto sociale, cioè dell’effettuarsi
probabile d’un errore comportamentale nel caso non s’intervenga (e non si
dimentichi che lo stato delle pupille tra interlocutori è costantemente
monitorato dalle dette regioni cerebrali, sempre e durante tutte le interazioni
sociali); tutto un insieme di fatti che alla fine induce a sospettare che
queste aree cerebrali siano le componenti base d’un dispositivo cervello-mente
preposto al controllo flessibile dei comportamenti diretti a un obiettivo (goal-directed) che si presentano in una
rete sociale, quelli in cui l’individuo partecipante alla detta rete ne valuta sia
gli aspetti negativi che positivi ch’essa al momento presenta in vista della
sopravvivenza sociale; e si dice sopravvivenza perché l’evidenza che i neuroni
di von Economo siano, come sopra affermato, presenti in mammiferi
filogeneticamente diversi come gli esseri umani, le scimmie antropomorfe, gli
elefanti, le balene e i delfini, è interpretabile come risultato d’una loro
evoluzione sotto pressioni evolutive specie-specifiche legate alla costruzione
di nicchie culturali fra loro decisamente comparabili (ossia a una evoluzione
convergente, v. supra, in cui si
presenta un adattamento neurale capace di veicolare con rapidità, in aree fra
loro distanti d’un cervello grande, informazioni rilevanti sul contesto
sociale, volendo, alla specializzazione di circuiti neurali legati alla
cognizione sociale); e a proposito della sopravvivenza in un contesto sociale,
e fatto salvo che una perdita di VEN nella corteccia frontoinsulare può essere
correlata con una disinibizione, mentre una perdita di VEN nella corteccia
cingolata anteriore si può correlare con l’apatia, può essere indiziario della
validità dell’ipotesi della prosocialità (una specie di prova indiretta) il presentarsi nella
demenza frontotemporale (frontotemporal dementia, FTD),
specificamente nella sua variante comportamentale (behavioral variant FTD, o bvFTD), d’un
deterioramento comportamentale che, indagato, mostra che oltre il 70% dei VEN presenti
risultano essere stati distrutti selettivamente (mentre i VEN restanti mostrano
alterazioni importanti nella morfologia, quali soma gonfio e dendriti
intrecciati), ciò che porta a un progressivo restringimento dei lobi frontali e
temporali del cervello, ciò che, ancora, produce il detto deterioramento
comportamentale legato a disturbi della personalità, per esempio, irritabilità,
iperattività, eccessi d’ira, aggressività, inaffidabilità dei giudizi,
autolesionismo, assenza completa d’empatia, indifferenza rispetto al proprio aspetto
fisico, mancanza d’inibizione verbale e comportamentale (con comportamenti
sessuali inappropriati e atti osceni), evitamento dei contatti sociali e altro
ancora; e il tutto porta a sospettare che i neuroni di von Economo siano
coinvolti nell’implementarsi d’una rete sociale, tanto che la loro assenza si
traduce in una totale inconsapevolezza sociale di sé e mancanza
d’autocontrollo, cioè in una completa disgregazione della precedente vita sociale
della persona che subisce la demenza, il tutto, ancora, in un arco temporale relativamente
breve e con un climax distruttivo
dell’intero repertorio comportamentale appreso nel corso del tempo; e questo nel
mentre i neuroni che sono prossimi alle aree danneggiate con deficit di cognizione sociale rimangono
in gran parte inalterati mantenendo integre le aree cerebrali non coinvolte, e
quale esempio di questo fatto si può avanzare la presenza intatta della memoria,
che di solito rimane tale per un ampio tratto nel decorso della bvFTD; ancora,
s’è notato che nella schizofrenia e nell’autismo i VEN sono coinvolti in deficit della regolazione emotiva e delle
competenze sociali e nell’agenesia del corpo calloso in comportamenti sociali carenti
(dovuti a un’errata interpretazione dei segnali sociali o a una impropria
valutazione degli affetti, cioè a un’alessitimia; l’agenesia è poi una condizione
del corpo calloso del cervello dove mancano, in modo totale o parziale, le fibre
commessurali che fanno da ponte di collegamento fra l’emisfero destro e
l’emisfero sinistro); detto questo, valga ora come inciso una precisazione che
riguarda il ruolo specifico assunto dai VEN all’interno della corteccia
cingolata anteriore, corteccia che funziona come interfaccia tra le emozioni e
le cognizioni, e che trasmette i risultati delle trasformazione avvenute nella
corteccia cingolata anteriore a un’area ch’è denominata corteccia frontale
polare (frontopolar cortex, FPC), corteccia ch’è poi classificata come area 10 di Brodmann (A10,
v. supra); ora, si suppone che questa
corteccia frontale polare integri a un livello superiore i risultati di varie
operazioni cognitive (fra loro distinte) che le arrivano dalla corteccia
cingolata anteriore allo scopo d’implementare un obiettivo comportamentale decisamente
più complesso, per esempio, una rapida pianificazione adattativa a condizioni ambientali
e sociali fortemente mutevoli, come dire un’acquisizione d’opzioni legate a
nuovi comportamenti; la figura seguente riporta con il colore blu, in una mappa
cerebrale di Brodmann, la localizzazione dell’area 10 (si noterà ch’è una grande
area che occupa la porzione anteriore del lobo frontale del cervello); la vista
del cervello è poi quella laterale (lateral);
si ricorda che in Homo sapiens A10 è
grande, sia in assoluto che relativamente, ed è molto più piccola, anche se ben
sviluppata, nei Bonobo, negli scimpanzé comuni, nei gorilla e negli oranghi
(l’estensione di A10 cala grossomodo nello stesso ordine in cui diminuisce la
densità del neuroni di von Economo):
Figura n. . Fonte (modificata): Allman, Hakeem, e
Watson, 2002, p. 336.
La figura
seguente mostra invece, sempre in una mappa cerebrale di Brodmann, la localizzazione,
colorata in
arancione, della
corteccia
cingolata anteriore (ma v. anche supra,
fig. n. ), ritaglio ch’è classificato come area 24 (A24); la mappa rilocalizza,
inoltre, anche l’area 10 per una messa a
confronto delle due aree in oggetto; la vista del cervello è quella mediana (medial):
Figura n. . Fonte (modificata): Allman, Hakeem, e
Watson, 2002, p. 336.
Entrando ancora
di più nel dettaglio, è stato dimostrato che la corteccia cingolata anteriore
opera un continuo monitoraggio dei cambiamenti di feedback dovuti all’interazione dell’organismo con il suo ambiente,
cambiamenti che ne influenzano la sopravvivenza e la riproduzione e avviano
risposte comportamentali per mantenere o migliorare queste condizioni e, in
questo contesto, il ruolo dei VEN è che possono essere utilizzati per
trasmettere l’avvenuto riconoscimento d’una situazione problematica (per esempio,
la discriminazione tra segnali contrastanti) e delle informazioni necessarie per
riaggiustarla ad altre aree corticali e a strutture sottocorticali ed
eventualmente aumentarne la frequenza di trasmissione, cioè che possono
partecipare alla dinamica riparatoria di molti sistemi efferenti (v. infra) all’interno del cervello e,
soprattutto, che i neuroni di von Economo compartecipano all’attività della
corteccia frontale polare (area 10); infatti, la corteccia cingolata anteriore
è propriamente coinvolta nella maturazione comportamentale della consapevolezza
di sé, consapevolezza che si determina (tramite la coazione a una logica non
cieca di prova ed errore, dunque con una valutazione delle alternative ch’è
relativa ed è in attesa di feedback
positivo) con l’avanzare dell’età d’un organismo, ciò che si lega
all’autocontrollo, alla volontà e, appunto, alla capacità acquisita di
riconoscere gli errori e di poterli risolvere (problem solving); e, in questo dispositivo, sia la corteccia
cingolata anteriore che l’area 10 mostrano un legame funzionale, ossia s’attivano
quando un organismo recupera una memoria episodica pertinente (ciò che rimanda
a una memoria a lungo termine), vale a dire quando l’area 24 e l’area 10 sono
coinvolte in attività che richiedono di ricordare eventi specifici accaduti nel
passato, e questa capacità d’integrare eventi passati come protocollo d’azione
per il presente al fine di modificarlo ai propri fini è un aspetto importante
della dinamica di sviluppo dell’autocontrollo (v., infra, l’esempio dei cacciatori-raccoglitori); il che è dire che
l’area 10, con l’apporto delle informazioni veicolate dai VEN, confronta la
situazione attuale con l’esperienza pertinente della memoria episodica, calcola
le probabilità di successo d’un protocollo d’azione, e a seguire, e basandosi
su questi calcoli probabilistici, implementa la strategia ritenuta (salvo gli errori
che potrebbero presentarsi) la più adatta a quel dato contesto; ed è di
supporto alla presenza di questa capacità, ch’è legata a compiti cognitivi
complessi, il fatto che questo processo di maturazione implica, oltre alla
formazione d’una memoria a lungo termine, anche un costante aumento dell’attività
metabolica della corteccia cingolata anteriore nell’arco temporale che va
dall’infanzia all’età adulta dall'infanzia, cui s’aggiunga che v’è anche la
prova d’una maggiore attivazione della corteccia cingolata anteriore in
organismi che presentano una competenza storicamente acquisita a meglio
comprendere le dinamiche sociali e che in condizioni di mancato autocontrollo
dovuto a disturbi per deficit d’attenzione,
quindi di fronte a un problema sociale che il soggetto implicato non riesce a
risolvere, non sono presenti risposte nella corteccia cingolata anteriore e,
pertanto, non v’è alcun legame funzionale con l’area 10; inoltre, le lesioni
all’area 10 sono associate con l’alterazione di quelle competenze cognitive che
permettono di valutare l’esperienza in corso, tanto da comprometterne la pianificazione strategica
prevista come risposta, cioè le funzioni esecutive; per quanto riguarda,
infine, lo scenario evolutivo che ha portato, rispetto ai lignaggi che
precedono Homo sapiens, a una
crescita numerica e funzionale dei neuroni di von Economo e a cambiamenti all’estensione
e alla rilocalizzazione topografica dell’area 10 (compreso un aumento dello
spazio tra strati corticali che ha così permesso un aumento di connettività con
altre aree d’associazione ritenute d’ordine superiore), è importante
sottolineare che questa specializzazione in termini di ridimensionamento e
d’organizzazione suggerisce che le funzioni associate a questa parte della
corteccia sono diventate particolarmente importanti nel corso del processo
d’ominazione, giacché non ci si può impedire di vedere questa relativamente
recente specializzazione se non come legata a una dinamica in continua evoluzione
della pianificazione delle azioni a venire e dell’intrapresa d’inedite iniziative
che implicano, necessariamente, dei fenomeni di sociogenesi (comprendendo in
questi anche l’evoluzione tecnologica per la trasformazione delle risorse) e delle
operazioni di
trasferimento intergenerazionale dei tratti culturali dipendenti dalla
costruzione di nicchia, cioè a un cambiamento materiale e funzionale delle
competenze cognitive, dei comportamenti adattativi e dell’ambiente preesistenti
a Homo sapiens; ora, e fatto salvo
che, come sopra detto, la costruzione della nicchia culturale è solo una
componente (sia pur diffusa e dominante nell’antropizzazione dell’ambiente)
dell’eredità ecologica, può essere utile che, a proposito di cultura materiale
e sociogenesi, s’osservi com’è possibile avanzare l’ipotesi che, nella storia
del genere Homo, delle reti sociali si
siano appoggiate su delle reti neuronali edificando per filogenesi un dispositivo
cervello-mente che permetta al genere Homo
di modellizzare e rimodellizzare ontogeneticamente il mondo circostante, questo
valorizzando il rapporto che i cacciatori-raccoglitori (hunter-gatherer; per il loro stile di vita, v. anche supra) hanno con l’ambiente spaziale e
con l’ecosistema in cui si ritrovano ad agire, rapporto legato a una
processualità di lunga durata del sopra abbozzato dispositivo cervello-mente
durante i 2 milioni di anni in cui questa pratica di sostentamento d’una
collettività è stata vigente (cioè fino alle soglie del Neolitico); questo,
ancora, valorizzando una strategia cognitiva che qui si recupera
dalla Landscape Mind Theory (LMT,
traducibile come teoria della mente basata sul paesaggio, e dove il paesaggio è
da intendersi quale spazio delle interazioni fisiche, cognitive e sociali tra
un organismo appartenente al genere Homo
e l’ecosistema), strategia che s’appoggia, oltre che alle precedenti aree sopra
citate, a due specifiche aree corticali di cui si parlerà a seguire; in
quest’ipotesi s’avanza il sospetto che la pressione ambientale abbia indotto,
nel corso del tempo, una sommatoria d’abilità cognitive adattate a risolvere
problemi spaziali riguardanti la sussistenza (cioè la fenomenologia delle
strategie venatorie da adottare o adottate in quanto imposte da un dato
paesaggio) e, in pari tempo, problemi legati alla classificazione dell’ecosistema
(cioè a problemi tassonomici nell’attribuzione dei nomi da dare ai tratti che
caratterizzano il paesaggio, di fatto alla realtà e alla complessità del vissuto
non solo venatorio); tipologia di problemi che, senza voler arrivare a sostenere
uno stretto isomorfismo tra le strutture del paesaggio e le strutture cognitive
che ne risultano modellate (e che sono in grado, come documentano le ricerche etnografiche, d’organizzare
spazialmente le percezioni, le rappresentazioni e le conoscenze individuali/collettive),
risultano comunque essere tra loro fortemente interdipendenti nella matrice dei
comportamenti storicamente messi in atto nelle società di caccia e raccolta; il
tutto parte dalla costatazione che esiste, nel tempo storico proprio ai cacciatori-raccoglitori,
un’omeostasi che fa sì che le azioni di disturbo continuo
dei fattori casuali (una qualsivoglia contingenza che si presenta) siano mantenute
intorno a un livello d’equilibrio e tra gli organismi che abitano l’ecosistema
e tra la collettività che questi organismi li preda, questo con il ricorso a
un’attività di controllo materiale/immateriale sull’ambiente e sul vissuto dei
detti organismi da parte dei cacciatori-raccoglitori che risultano così essere
gli agenti d’una autoregolazione capace di controllare tutta la realtà (questo in
quanto in grado di regolare, attraverso attività d’inibizione/promozione, i
flussi appropriati del vissuto sociale mediante sistemi di controllo a feedback negativi/positivi); regolazione
omeostatica che interviene, dunque, sia a livello etologico (per esempio,
grazie a un comportamento ch’è la risultante d’una pressione ambientale che
vale per tutti gli organismi di quell’ecosistema, e che nell’ecosistema sociale
è controllata a livello segnico, v. infra)
che ecologico (per esempio, controllando il rapporto prede/predatori); bisogna,
infatti, sottolineare che a livello etologico il detto comportamento non è altro
che la risposta a delle modificazioni, intervenute nell’esistente d’un
organismo, da parte dell’organismo stesso (volendo, a partire qui dal predatore
Homo habilis, v. supra) e che sono promosse dall’interazione fra stimoli che
provengono tanto dal suo interno (interocettivi) quanto dall’esterno che lo circonda (esterocettivi), esterno qui
da intendersi tanto come ecosistema quanto come rapporto con conspecifici;
comportamenti che, in una società di caccia e raccolta, si
producono/riproducono con una stereotipia che, se isolata e resa discreta, si
mostrano poi specie-specifici, cioè tipici di una data specie in un dato
ambiente e in un dato momento storico (e che qui si possono solo congetturare),
e che potrebbero alla fin fine dare origine, se elencati, a quello che si
definisce come un etogramma (che, nel passaggio da una tipologia ambientale/sociale
all’altra, dovrebbe essere poi in grado, grazie ai suoi riaggiustamenti negli
schemi corporei, di mostrare nel repertorio dei comportamenti, fra loro
comparati in modo indiziario e congetturale, le processualità d’una pressione evolutiva);
per ricostruire in modo congetturale questo etogramma, se pure con modalità
rozze e grossolane, cioè per provare a descrivere il comportamento d’un
organismo del genere Homo, e tenendo
conto del fatto che il sistema di caccia e raccolta è l’unica strategia di
sussistenza che, come detto (v. anche supra),
ha caratterizzato l’ontogenesi del genere Homo
per almeno due milioni di anni, è necessario partire dall’indagare come quest’insieme
d’organismi possono organizzare l’approvvigionamento alimentare in un dato
ambiente, cioè analizzare la loro condotta diretta a un obiettivo (goal-directed, v. supra) di acquisizione o di prelievo delle risorse, partendo da quello
che hanno bisogno di sapere dei cacciatori/raccoglitori per portare a
compimento il loro compito (su questa questione, v. anche supra), il tutto al fine di modellizzare con una certa
approssimazione il contesto ambientale in cui questi organismi perseguono il loro
scopo
(gli ambienti occupati dai cacciatori-raccoglitori possono essere o artici o desertici
o forestali, in ogni caso si tratta di zone climatiche caratterizzate da
risorse trofiche e/o idriche relativamente scarse e disperse su territori più o
meno vasti); secondo
una logica che rimanda alla realtà esperenziale che si basa sugli studi etnologici
che hanno come oggetto i cacciatori-raccoglitori odierni e le loro pratiche di
foraggiamento, e fatte salve le competenze ecologiche necessarie in questo tipo
di società, risulta che la pratica della raccolta opera su porzioni
relativamente limitate dell’ecosistema generalmente contigue, ciò che facilita l’orientamento
e la memorizzazione delle direzioni di spostamento sul territorio che sono rese
riconoscibili da punti identificabili nel paesaggio (landmark), mentre la caccia, in quanto le risorse sono mobili, è
costretta ad operare su porzioni molto estese dell’ambiente che impongono, con
la loro non contiguità, un disorientamento nello spostamento ch’è supplito da competenze
cognitive flessibili (v. supra),
ragione per cui qui si prende in carico il solo cacciatore; la figura seguente
mostra le possibili mappature del territorio, a sinistra quella di società di soli
raccoglitori (gathering, in figura)
che si spostano su territori contigui (ciò che richiede, in linea di massima,
una memoria
puramente topografica del territorio), a destra quella di società di cacciatori-raccoglitori
(hunting e gathering, in figura) che si spostano gli uni (gathering) su spazi contigui e gli altri su spazi non contigui (hunting), ciò che dà origine a una
mappatura dell’ecosistema diviso in due parti (divisione segnalata, in figura,
da una linea tratteggiata tra lo spazio dei cacciatori e quello dei
raccoglitori), e dove lo spazio dei cacciatori è suddiviso in due zone, una con
aree di ricovero (shelter) legate strategicamente
ai lunghi percorsi da compiere, e l’altra con le aree discontinue legate al
percorso effettivo o possibile della preda e senza dimenticare che tanto per i
raccoglitori quanto per i cacciatori, le risorse trofiche non sono percepite solo come una cosa, ma implicano,
nella loro rappresentazione mentale, anche un dove e un quando poterle trovare:
Figura
n. . Fonte: Meschiari, 2014, p. 56.
Per quanto
riguarda specificamente il cacciatore (e dato come prerequisito ineliminabile
quello della resistenza fisica alla fatica, v. supra), si può grossomodo affermare che questi deve possedere delle
conoscenze sulla composizione, sulla struttura, sulla configurazione dei suoli
e dei processi che vi operano; deve possedere una profonda consapevolezza
geografica del territorio, dei confini distintivi, delle aree di transizione,
delle barriere, etc.; deve
utilizzare, come i raccoglitori, dei punti di riferimento (landmark) che non coincidono con la meta per potere così
organizzare la sua percezione dello spazio; deve memorizzare gli itinerari, la
distanza, il tempo necessario per spostarsi da un luogo all’altro; deve
possedere delle strategie variate di spostamento nello spazio (legate anche ai
cambiamenti stagionali e alle dinamiche metereologiche); deve riconoscere le
connessioni ecosistemiche presenti nel repertorio dei luoghi familiari; deve
possedere delle competenze biogeografiche sulla distribuzione e sulle dinamiche
comportamentali relative alle specie animali cacciate e no; deve essere capace
di usare in modo abile le tecnologie di caccia disponibili (dal tardo Paleolitico, archi,
lance, mazze); deve possedere una memoria della probabile distribuzione
spaziale delle risorse trofiche e deve essere capace di predire ipotesi e
formulare decisioni sulla distribuzione delle risorse alimentari; deve
possedere delle capacità inferenziali nella lettura degli indizi e delle tracce
lasciate dalle prede; deve sapersi coordinare con il gruppo (specialmente se
s’impiegano trappole, reti, barricate, palizzate, recinti o altro ancora che
necessitano di una forte cooperazione attiva) per elaborare strategie
finalizzate alla cattura delle prede e al sostentamento della collettività (e
dove la spartizione della carne obbedisce a regole più o meno elastiche, ma
sempre presenti); deve saper far fronte agli imprevisti e altro ancora, deve possedere,
insomma, una mappatura dell’esistente che sia pari all’intreccio dinamico e
contestuale che mettono in moto le sue innumerevoli competenze e i suoi
comportamenti in un ambiente che, poiché saturo di segnali ecologici, necessita
d’una griglia induttiva per essere interpretato; infatti, a proposito di questa
griglia, bisogna sottolineare che ne fa parte anche un surplus legato a una creazione di significati aggiunti, per
spiegare i quali partiamo dal fatto che il cacciatore sa ch’esistono delle
categorie sistematiche corrispondenti ai vari organismi presenti
nell’ecosistema, cioè dei raggruppamenti gerarchici dei viventi o taxa (v. supra), e il cacciatore, come sa di questa gerarchia, sa anche che
a ogni livello gerarchico i taxa
s’escludono a vicenda e che ogni organismo, preso in sé, è attribuibile a un
dato taxon, e anche se i taxa sono classificati in modo variabile
nelle varie tipologie di società di caccia e raccolta, in generale i livelli
gerarchici fra taxa sono, all’interno
d’una data tipologia sociale, stabili; ancora, il cacciatore sa che se due
specie presentano una caratteristica comune, se ne può dedurre che tale
caratteristica è condivisa anche da altre specie dello stesso taxon tanto che, stando a questa logica
inferenziale, se un nuovo organismo è collocato in un taxon, si presenta un automatismo che tende ad attribuirgli le
stesse caratteristiche condivise da altri appartenenti allo stesso; ciò
nonostante questa tassonomia non però è vissuta in modo così meccanico come la descrizione
che precede lascia presupporre, questo perché questa tassonomia manca della
componente del rapporto di osmosi fra tutte le cose che risulta essere fondante
nell’esperienza del cacciatore; infatti, a questa tassonomia ch’è garante
dell’osservabile, vale a dire dei collegamenti ch’esistono di fatto
e che il cacciatore istituisce tra gli organismi quali sono presenti
nell’ecosistema condiviso (per esempio, la capacità di ratificare la presenza
d’una colorazione o d’una morfologia somigliante fra organismi diversi, oppure
la competenza nel reperire il rapporto ch’esiste tra predatore/preda, comprese
le dinamiche della catena alimentare a ciò correlata etc.), i detti rapporti d’osmosi aggiungono un surplus di significato; e questo surplus, che risulta essere poi legato alla creazione d’immagini,
non è dato dal fatto che questa creazione sfrutta in modo parassitario
l’esperienza del cacciatore per potere poi produrre i suoi elaborati, ma è
l’esperienza stessa del cacciatore quale questi la vive nell’ecosistema ch’è
prodotta e strutturata dal suo sistema d’immagini in osmosi con il tutto
(sistema, ancora, legato a una trasmissione di tratti culturali
intergenerazionali in quelle società), ciò che fa sì che questo sistema possa
così agire da collante causale sempre attualizzato nella fabbricazione d’un
significato (meaning-making) ch’è in
grado di debordare la meccanicità della sopra descritta logica tassonomica
creando questo surplus che la
scompagina e dove, come mostrano degli studi etnografici, gli organismi non
sono percepiti come entità isolate all’interno d’un taxa ma, per esempio, come incrocio di relazioni complesse anche
con animali appartenenti a diversi taxa;
la figura seguente mostra un esempio di tassonomia presente presso gli Iglulingmiut (gli Iglulingmiut sono un popolo Inuit
dell’Artico orientale che vive nella zona di Igloolik, nel Nord del Canada),
dove la sistematica dei parlanti di questa zona distingue i nirjutit (alla lettera, gli animali
utilizzati per essere mangiati), cioè i mammiferi, che sono divisi in pisuktiit, terrestri (quali il caribù,
l’orso polare etc.), e puijiit, marini (quali l’orca, il
narvàlo etc.); i tingmiat, gli
uccelli (quali il
beccaccino, la stròlaga etc.); gli iqaluit, i pesci (quali il ghiozzo, il salmone
etc.); i qupirruit, gli animali piccoli (quali gli insetti,
i ragni, i vermi etc.) e, infine, gli
uviluit, i
molluschi,
sistematica ch’è legata a una trama di relazioni interspecifiche accessorie tra
i taxa (le tassonomie sono rese, in
figura, ognuna con un cerchio e dove i cerchi inglobanti i taxa sono fra loro autonomi; le relazioni tra i taxa sono segnalate, in figura, da rette
che vanno dal taxon d’un cerchio a un
altro d’un altro cerchio); e la trama che s’intesse nella figura è poi dovuta a
osservazioni di tipo ecologico che possono debordare e rovesciare la tassonomia
anatomica standard; per esempio, il caribù e il tricheco
sono tra loro legati per il fatto di essere, in modo simmetrico, la preda del
lupo e dell’orca, organismi legati a loro volta in quanto predatori alfa ciascuno nel proprio habitat; altre volte, invece, il legame
è dato dalla condivisione della stessa nicchia ecologica, della stessa preda
d’elezione, o anche da fattori più aleatori di tipo analogico, come il colore
del pelo, o da un’affinità morfologica o etologica minore, tanto che, a livello
generale, i taxa possono parzialmente
sovrapporsi, sia orizzontalmente che verticalmente, e dare origine a sistemi
classificatori anch’essi sovrapposti che conducono a una trasgressione della gerarchia
dei livelli e delle regole d’inferenza (modalità che, all’interno del gruppo
sociale, è poi riusata per altre tipologie di rappresentazione, per esempio, in
narrazioni legate alla cosmologia, al sacro o a altre classi di fenomeni etc., e questo perché nelle società di
caccia e raccolta, come si vedrà a seguire, la razionalità operante a livello
materiale dell’empiria venatoria e la non-empiria dell’immaginario prodotta
dalla sociogenesi dei cacciatori-raccoglitori non sono percepite e vissute come
tra loro in opposizione, bensì come inevitabilmente complementari):
Figura
n. . Fonte (modificata): Meschiari,
2014, p. 58.
Tutto
questo capita perché il sistema d’immagini del cacciatore è basato su un transfert di
significato (o semantico) dovuto alla contiguità dei significati (spaziali,
causali, temporali etc.) presenti
nello stesso campo semantico, quello d’un animale, in cui un termine
sostituente, presente (per esempio, in nome del luogo che il cacciatore ha di
fronte a sé), sta in un rapporto logico con un termine sostituito e assente
(per esempio il nome tassonomico dell’animale ch’è stato da lui visto in quel
luogo), laddove il campo semantico, riferito a un singolo elemento
linguistico, è poi l’insieme registrato da una collettività dei suoi possibili
significati (e, se riferito a un gruppo di elementi, è la sfera di significati
che essi hanno in comune), è cioè polisemico, vale a dire provvisto d’una
pluralità di significati; ed è questa logica, ch’è quella della figura retorica
classificata come metonìmia
(o metonimìa), che fa sì che la descrizione tassonomica sopra offerta sia
esperita dal cacciatore in modo molto meno meccanico di quanto farebbe un Homo sapiens odierno, il che è dire che
per il cacciatore un animale non è mai decontestualizzato dall’ambiente in cui
entrambi (preda e predatore) vivono, bensì è vissuto secondo una direttrice
metonimica del posto che questi occupa nello spazio fisico e ecosistemico (habitat fisico/biologico), cioè è sempre
incistato in una matrice topologica con cui in cui entrambi vivono in
un rapporto di reciproca dipendenza e in cui il contenente sta al posto del
contenuto, la causa al posto dell’effetto e il concreto al posto dell’astratto
(e viceversa, in quanto questi rapporti sono sempre reversibili); e senza
dimenticare che se all’inizio questa tassonomia ch’è alla base dell’etogramma
del cacciatore ha presumibilmente coperto un ruolo di risposta all’esigenza
ineludibile di catalogare le specie commestibili/non commestibili, a seguire la
direttrice metonimica s’è estesa anche ad altre forme viventi non
necessariamente utilitaristiche; oltre a questa, è poi presente anche una
direttrice che si basa sul fenomeno dell’apofenìa (Apophänie), dove l’apofenia è da intendersi, in questo contesto,
come la capacità cognitiva di un cacciatore di trovare un significato in
configurazioni di realtà che, di fatto, sono solo configurazioni di cose
originate dal caso, là dove il cacciatore ha quindi una percezione, che
esperimenta, di vedere qualcosa che però non esiste, tanto che la
rappresentazione del cacciatore si fonde con lo stimolo sensoriale (visivo,
uditivo, olfattivo, tattile) insufficiente a produrre senso, di modo che questa
capacità cognitiva gli fa perdere quella capacità che consiste nel
differenziare gli elementi sensoriali diretti (la realtà effettiva) da quelli
riprodotti a livello corticale (la realtà immaginata), per esempio, nel
riconoscere visivamente qualcosa di già sperimentato con effetto di realtà tra
le foglie delle piante dove caccia, tipo un predatore (e si sa che in contesti
percettivi ambigui si può creare nell’osservatore uno stato d’allerta
fisiologico in grado di falsare una percezione reale), o nel riconoscere il verso d’una
preda in emissioni sonore dovute al caso (per esempio, al fluire del vento, allo stormire delle foglie,
al fluire dell’acqua o a altri suoni naturali), o nel riconoscere delle tracce
olfattive che in realtà hanno una origine diversa da quella percepita etc., ed è probabile che questa capacità
cognitiva permessa dall’apofenia (ch’è poi una caratteristica generale di varie
specie di Homo) non sia un difetto,
ma sia stata permessa dall’evoluzione in quanto consente, anche in presenza
d’indizi rarefatti, forsanche sbagliati, d’individuare situazioni di pericolo,
cioè di potere adottare reazioni rapide di fuga che favoriscono la
sopravvivenza, ed è pure
plausibile che in ambienti poco antropizzati, dove il contesto percettivo è
ambiguo, l’apofenia abbia funzionato per lungo tempo come un meccanismo
essenziale di sopravvivenza; l’apofenia, dunque, opera un montaggio tra due
campi visivi, uno reale e uno ricostruito a livello corticale in cui il secondo
prende il posto del primo, ciò che dà origine a un qualcosa che è pertanto
isolato dal continuum percettivo del
reale e che, se provvisto di nome, si separa dalla realtà fisica ed entra a far
parte d’una realtà ricostruita, culturale, un significato ch’è vissuto da un
soggetto appartenente a una società di caccia e raccolta, ed è possibile che a
fronte delle turbolenze caotiche, casuali e ingovernabili di questo continuum l’insieme dei soggetti d’una
società di caccia e raccolta operi dei tagli e che, nelle slabbrature che si
creano, sia messa in opera come collante cognitivo, e a un livello generalizzato,
la procedura dell’apofenia che riesce, in questo modo, a produrre una struttura
ordinata, una modellizzazione della realtà trasmissibile a livello
intergenerazionale, e quale esempio, si può citare l’arte rupestre del
Paleolitico (v. infra) nella quale
chi intravede delle anomalie nel substrato roccioso (venature, sgocciolamenti
di calcare, porzioni convesse o concave, noduli, variazioni cromatiche nelle
rocce etc.) può interpretarle come
delle parti anatomiche d’un animale (un ventre, uno zoccolo, un occhio etc.) che sono solo da integrare con dei
contorni (pittogrammi), come dire che l’animale è visto da subito nella roccia
e solo a seguire è completato con tratti complementari, e dove l’abilità
apofenica si traduce in una rappresentazione della realtà che travalica il
tempo di chi l’ha creata; ancora, l’apofenia è in atto quando il cacciatore è
capace di sovrapporre modelli ambientali o ecosistemici noti a luoghi
sconosciuti (per esempio, grazie al linguaggio orientato sul paesaggio, landscape oriented, proprio alle società
di caccia e raccolta, d’adottare la pratica della denominazione/descrizione di
ciò che si vede; ciò che, grazie a questi marcatori topografici, impone al
paesaggio sconosciuto i nomi del noto facilitandone la domesticazione), ciò che
gli permette di interpretare visivamente e linguisticamente un territorio
sconosciuto come se fosse un territorio familiare sulla base di una somiglianza
morfologica, anche vaga, imposta dai marcatori topografici, quindi
conseguentemente di operare in un habitat
sconosciuto, ma simile, così come ha operato nel suo habitat nativo; vale a dire d’attivare, grazie alle somiglianze
geomorfologiche, delle attività d’orientamento spaziale (wayfinding, v. infra) e
d’inseguimento (stalking) della preda
che sono già state attivate in posti simili; di strutturare un orizzonte
d’attesa, ch’è già stato messo in atto nell’habitat
nativo, nell’habitat sconosciuto che
gli è simile (per esempio, un torrente che ricorda al cacciatore l’improvvisa
comparsa d’una preda nei pressi d’un torrente simile, ciò che lo mette in
allarme, o altro ancora); insomma, tutto un insieme di possibilità induttive
che gli permettono strategie efficaci di predazione (di sopravvivenza) dal
punto di vista topografico ed ecologico, ciò che, volendo, mostra il vantaggio
in termini evolutivi di vedere, grazie a delle catene apofeniche, dei luoghi
familiari in luoghi che in realtà non lo sono (come dire che l’apofenia,
semplice o complessa che sia, può permettere alla mente d’elaborare, fra entità
separate dal punto di vista empirico e fattuale, intere sistematiche isomorfe);
il che è affermare, ancora, e allargando le sue procedure all’intero vissuto
delle società di caccia e raccolta, che sia la direttrice apofenica che quella
metonimica danno origine a un dispositivo generatore di credenze che fa sì che
l’autoinganno, come costruzione mentale prima che culturale, sia dotato d’una
efficacia pratica (vincente alla prova dei fatti) che spinge il genere Homo a interpretare in modo olistico il
tutto dell’ambiente che esperimenta, ciò che lo porta, come accennato, alla
sovra-interpretazione di tratti che sono, in sé e per sé, privi di significato,
ma che, se legati a una codificazione che arriva a creare dei segni e dei
sistemi segnici (v. infra), ecco che
questi sistemi segnici possono intervenire nelle strategie operative che
portano, da un lato, ai processi che originano la cultura materiale, cioè le
modalità complesse di sostentamento (foraging)
d’una collettività, e, dall’altro, sono in grado di modellare la produzione e
la riproduzione sociale di questa stessa materialità che li sorregge;
produzione/riproduzione sociale che in un dato decorso temporale è volta a garantire e perpetuare
comportamenti dati e approvati, quali l’elaborazione di strutture rituali e
mitiche (documentale da studi etnologici riguardanti la costruzione ecologica
del sacro) che traducono l’omeostasi ecologica e la sua manutenzione nelle
società di caccia e raccolta attraverso una specie d’isomorfismo tra tempo
profano e tempo sacro, isomorfismo ch’è in grado di proiettare sull’ecosistema
una rete di significati che permettono anche l’origine di sistemi di regole
morali, travestite da credenze, il cui precipuo ruolo è quello di garantire e
perpetuare comportamenti individuali/collettivi nell’uso sostenibile delle
risorse ambientali e dove (stando all’etnolinguistica) anche il paesaggio è
incorporato nelle strutture linguistiche in uso e, pertanto, nella trasmissione
delle conoscenze; per quanto riguarda poi la definizione del termine segno,
esso è dato da un significante materiale, in sé privo di significato, ch’è
associato da un codice, e in un modo arbitrario, a un significato, laddove è
poi il codice che produce un segno ch’è riconosciuto, condiviso e trasmissibile
come sistema di segni, segnico, dalla collettività degli interpretanti, e ciò
che qui interessa è che se la collettività degli interpretanti è data dai
cacciatori-raccoglitori e il sistema segnico è il paesaggio, quest’ultimo è
allora pensato, appropriato e vissuto in queste società come una matrice
cognitiva con la forma d’un ipersegno (ch’è codificato a vari livelli, pratico,
rituale, morale e sociale, tutti fra loro sempre compresenti in un dato momento
storico) ch’è in grado di mettere ordine in un insieme di significanti
materiali, cioè di strutturare ciò ch’è senza nome in una realtà ordinata
dotata di senso, vale a dire di creare con il lavoro immateriale della mente
una nicchia culturale che facilita il lavoro materiale; ora, il modello
cognitivo che coinvolge la sopraddetta gestione dell’ambiente (di fatto la
proiezione di reti sociali su delle reti neurali per arrivare a creare un
dispositivo cervello-mente), cioè che permette con l’attività di foraggiamento
la costruzione di una nicchia culturale da parte di queste società di caccia e
raccolta, ha alla sua base anche delle strutture corticali, che svolgono ruoli
distinti ma complementari nell’atto del riconoscimento del paesaggio, che coinvolgono l’attivazione di
due aree corticali, l’area paraippocampale (Parahippocampal
Place Area, PPA) e la corteccia retrospleniale (Retrosplenial Cortex, RSC), aree che presentano un ruolo centrale
nella contestualizzazione dello sfondo visivo, vale a dire nel riconoscimento e
nella memorizzazione dei luoghi; tanto che, per quanto riguarda il
riconoscimento dei luoghi, queste strutture sono direttamente coinvolte nel
discriminare visivamente nel paesaggio degli elementi che indichino la
direzione da seguire per arrivare a una meta (per esempio, alla predazione),
cioè l’orientamento spaziale (o wayfinding, traducibile come scoperta della direzione), così come
intervengono, per quanto riguarda la memorizzazione dei luoghi, nella mappatura
cognitiva (o cognitive mapping), ossia costruendo una rappresentazione
mentale della realtà (del mondo esterno) attraverso una codificazione sommaria
delle immagini dei luoghi soggetti a una fenomenologia venatoria (questo
perché, per potere essere pragmaticamente utili, cioè riutilizzabili, queste
mappe possono essere solo abbozzate), mappatura che però, all’uso, deve poi
essere integrata di volta in volta; fatto salvo il ruolo dell’ippocampo (v. supra), ch’è una struttura cerebrale al
centro d’un vasto sistema neurale che sottende la rappresentazione e l’uso
delle informazioni riguardanti l’ambiente spaziale, nello specifico delle
differenze funzionali fra le due citate aree corticali, l’area paraippocampale
(PPA), che altro non è che una sottoregione della corteccia paraippocampale
(che si trova medialmente nella parte inferiore della corteccia
temporo-occipitale), è poi coinvolta in una percezione visiva statica, cioè
nella codificazione (percettiva) della
struttura spaziale dei luoghi conosciuti/sconosciuti, cioè al modo in cui sono
disposte le parti del paesaggio (o layout)
e probabilmente nella pianificazione dei percorsi (nei luoghi già mappati e di
cui si recupera la mappa da integrare) ed è inoltre reattiva alle scene
raffiguranti luoghi piuttosto che ad altri tipi di stimoli visivi, per esempio,
a volti o oggetti; mentre la corteccia retrospleniale (RSC, cioè l’area della
corteccia retrostante lo splenio, dove a sua volta lo splenio è l’estremità
posteriore del corpo calloso, area ch’è situata tra la corteccia parietale e
l’ippocampo), tra le altre funzionalità, elabora le caratteristiche
permanenti o più stabili d’un ambiente e, in quanto mappa il conosciuto, ne
diventa la memoria topografica a lungo termine, tanto che la sua
attività
varia in funzione del tipo di conoscenza spaziale recuperato (può, per esempio,
trattarsi di posizione o d’orientamento; e per inciso, la risposta più forte
della RSC si ha poi nel recupero della posizione da parte d’un soggetto); tutto
un insieme che ci permette d’affermare che la costruzione d’una nicchia
culturale ha alla sua base una costruzione di nicchia ecologica (come ipotizza
la Niche Construction Theory, NCT, v.
supra) che ne costituisce l’anteriore
storico in quanto, come s’è cercato di mostrare (con ipotesi, va da sé, da
approfondire e convalidare), è il sistema cognitivo che è stato direttamente
modellato dal sistema ecologico, ragione per cui non è una modellizzazione
sociale quella che determina le visioni del mondo (Weltanschauungen,
v. supra) dei cacciatori-raccoglitori, ma è giusto
la materialità imposta dalla modellizzazione ecologica (che traduce la
sopravvivenza e la riproduzione dell’organismo) che imposta un modello
culturale storicamente determinato nelle sue strategie cognitive, il tutto con
l’iniziale complicità
della prosocialità (legata ai neuroni di von Economo, VEN) che favorisce
un’implementazione delle reti sociali da cui parte la processualità
multifattoriale che s’è cercato sopra di spiegare.