I
NEURONI E IL RUOLO DELLE SINAPSI NEL GENERE HOMO
[riscrittura]
Detto
questo, e prima d’affrontare ciò che più interessa, cioè l’importante ruolo del
cervello sociale nel processo evolutivo del genere Homo (v. infra),
cerchiamo ora d’affrontare il cervello per com’è fatto, per come lavora e,
soprattutto, per enucleare come s’è evoluto un cervello sociale; e poiché quest’ultimo
si presume non sia fatto di materia, ma risieda in una processualità che
dipende da una particolare configurazione presentata dalla materia che lo fa
emergere in modo non lineare, bisogna sospettare che, date le informazioni
genetiche e il loro programma di attuazione, i sistemi neuronali, con la loro
plasticità, dipendano da una configurazione evoluta via via nel cervello in
quanto storicamente legato alle funzioni via via evolute nel corpo, ciò che di
fatto coinvolge più livelli cerebrali tra loro variamente implicati e interconnessi,
a partire da quelli molecolari e cellulari per arrivare a quelli non lineari legati
al corpo nel suo contesto materiale e storico; dove questi livelli non lineari,
se e solo se il loro emergere è legato al contesto storico, sono pertanto da legare
anche a quelle dinamiche che implicano e permettono la sua sopravvivenza, la sua
vita di relazione e la sua riproduzione, cioè la coesistenza dinamica,
intenzionale e collaborativa, con gli altri, in definitiva nel cercare di
governare la contingenza; come dire ch’è soprattutto la rete pervasiva creata
dalla materialità del vissuto ciò permette al cervello di manifestare
storicamente una sua plasticità fenotipica, individuale se pur legata a un
insieme sociale; ciò che richiede, alla fin fine, di sapere districare l’architettura
di un insieme dato dalle connessioni neuronali che s’implementano nel sistema
nervoso d’un corpo creato dalla trasmissione delle informazioni genetiche e
addestrato nel suo ciclo vitale dalle contingenze d’un contesto storico, dunque
non il corpo e il cervello d’un singolo e isolato individuo, ma quello d’un organismo
animale che ha imparato a prodursi e riprodursi attraverso un lavoro coordinato
e collettivo, lavoro che produce/riproduce incessantemente sull’insieme il
governo d’un cervello sociale, dunque il corpo e il cervello d’un animale
sociale (v. infra); partiamo dunque
da lontano per potere arrivare a possedere quelle informazioni che ci
permettano di parlare del cervello sociale in quanto storicamente ereditato da
una collettività e partiamo da un meccanismo molecolare reattivo alla
mutevolezza dell’ambiente circostante esistente già negli organismi
unicellulari ca. 1 500 milioni d’anni fa (specificamente, nei protozoi), e che per
questi si traduce, grazie ai canali sensibili al voltaggio e permeabili a ioni
come il calcio, Ca++ (v. infra),
in un sistema di coordinamento fra segnali esterni alla cellula e movimento
direzionale della cellula, cioè nella capacità di muoversi e percepire un
ambiente favorevole o ostile, e che si ritrova più o meno simile nei meccanismi
cui sottostanno gli impulsi elettrici nervosi presenti in un neurone e in una
pluralità di neuroni che, nei vertebrati e negli invertebrati, sono dotati grossomodo
delle stesse funzioni grazie all’evoluzione dei protozoi verso quegli organismi
pluricellulari dove le attività complesse sono state ottenute con la rinuncia a
concentrare tutte le funzioni entro una singola cellula a beneficio d’una pluralità
di cellule, provenienti dalla stessa cellula madre, che presenta una divisione
del lavoro fra cellule fra loro diversificate per specializzazione, cioè nel
passaggio da un’organizzazione morfologica e metabolica primitiva (quale la
presentano i protozoi) a organismi animali pluricellulari via via più complessi
le cui cellule, a differenza di quanto si verifica nei protisti (cui, come
sopra detto, i protozoi appartengono), sono organizzate in strati (vale a dire
in tessuti) e in organi che presentano specializzazioni per diverse funzioni
(digestione, movimento, protezione etc.),
ossia a organismi che presentano un’organizzazione morfologica e metabolica
evoluta e con un enorme potenziale d’adattamento al flusso costante di materia,
energia e informazioni che caratterizza il sistema aperto dei viventi; riorganizzazione
che, soprattutto a partire da ca. 700 milioni d’anni fa, pur mantenendo
inalterate nelle cellule le sequenze voltaggio-dipendenti nei canali, ne mutano
la selettività, questo perdendo sì la permeabilità per gli ioni calcio, Ca++,
ma sostituendola con quella per gli ioni sodio, Na+ (v. infra); processo di riorganizzazione che
arriva così a dotare gli organismi pluricellulari di cellule che si possono
omologare a tutti gli effetti ai neuroni degli organismi più sviluppati, ciò
che ci traduce l’evoluzione di cellule che con poche, ma essenziali mutazioni,
hanno acquisito la proprietà fondamentale di potere generare e propagare degli
impulsi elettrici, dei potenziali d’azione (v. infra), fra una cellula e l’altra, ossia lo strumento determinante per
una comunicazione nervosa; comunicazione intracellulare veloce (rispetto a
quella degli ioni calcio) e probabilmente capace di modularne con precisione gli
effetti nel corso del tempo, questo grazie alla coevoluzione di sostanze molto
simili ai neuropeptidi (v. infra) e
di sistemi che legano queste sostanze (o ligandi) selettivamente al recettore
di un’altra cellula che, a seguire, risponde con una data e determinata
reazione fisiologica, un sistema ligando-recettore in grado dunque di modulare
le risposte cellulari a fronte del flusso d’uno o più agenti perturbativi l’omeostasi
proveniente dall’ambiente esterno (v. infra);
e questa relativamente semplice meccanica reattiva all’ambiente che opera per
mutamenti legati a persistenze c’informa del fatto che questa è anche la processualità
propria ad altri eventi, come mostra in generale l’evoluzione della
conformazione del cervello, dagli organismi inferiori agli animali superiori, che
s’è manifestata partendo dal fatto che la
pressione selettiva ha favorito nel suo decorso di contingenze storiche (vuoi
fisiche, ecologiche e organiche) la sovrapposizione di nuove strutture a
strutture già preesistenti, dove le strutture incorporate sono state in grado
di mantenere le proprie funzioni, seppure nell’ambito d’una messa a giorno integrata
all’organo incorporante; quale, per esempio, l’aggiunta alla parte olfattoria
del telencefalo (v. infra), propria al
rinencefalo dei mammiferi inferiori, d’una neocorteccia in quelli superiori, là
dove il rinencefalo preesistente (che ora nel genere Homo comprende, tra l’altro, il lobo olfattivo, l’ippocampo e il
nucleo dell’amigdala, v. infra) è
integrato per controllare la visceralità del corpo, ciò che ci mostra la persistenza
d’un sistema nervoso e ormonale già storicamente in essere nei mammiferi
inferiori ch’è rimasto, con il suo incameramento in quelli superiori, in parte
autonomo e non gerarchicamente dipendente dal controllo della neocorteccia;
neocorteccia che può così, infine, presiedere in relativa autonomia a funzioni
ritenute superiori (questo secondo la logica del bricoleur e la pratica del bricolage
messa in campo opportunisticamente dalla meccanica evolutiva); ed è forse utile
ora, per capire l’evoluzione del cervello del genere Homo, valutare anche come queste strutture emergono nel corso dello
sviluppo dell’embrione, là dove, riprendendo un’affermazione della teoria della
ricapitolazione embriologica (se pure non da oggi screditata), l’ontogenesi
d’un individuo, soprattutto in fasi particolari del periodo uterino, pare riassumere
la filogenesi della specie; l’embrione si classifica come tale a partire dalla
prima divisione cellulare e fino a che non è terminato il processo di
organogenesi, ossia di formazione degli abbozzi degli organi principali,
processo che termina alla fine del secondo mese di gestazione (e dove, a seguire,
lo si chiama poi feto), e in questo arco temporale l’embrione, a partire dalla
seconda settimana, è formato da tre strati cellulari o foglietti embrionali,
l’endoderma, il mesoderma e l’ectoderma (v. anche infra), il cui primo compito è quello d’iniziare a predisporre
quella che sarà l’impalcatura sulla quale s’organizza il corpo (o Bauplan, v. infra), a cui seguirà il differenziamento cellulare e tissutale,
cioè la progressiva formazione degli organi nel nostro organismo che si
presenta a simmetria bilaterale (cioè con un solo piano di simmetria che si
delinea lungo l’asse anteroposteriore, ciò che divide il corpo dall’alto al
basso in una parte destra e una sinistra); grossomodo, dal foglietto embrionale
più interno, l’endoderma (o entoderma), derivano il tubo digerente, il fegato,
il pancreas, la vescica e i polmoni; dal
foglietto intermedio, il mesoderma, si formano i tessuti di sostegno (il tessuto
connettivo e adiposo), i muscoli, il sistema cardiovascolare, escretorio e
riproduttivo; dal foglietto più esterno, l’ectoderma, ch’è quello che qui
c’interessa, s’originano il Sistema nervoso centrale (SNC), o nevrasse, cioè l’encefalo
e il midollo spinale, il Sistema nervoso periferico (SNP), l’epidermide e suoi
derivati; con l’ectoderma si parte dal 16 giorno di sviluppo dell’embrione,
quando una striscia di tessuto embrionale dorsale inizia un processo di
differenziazione cellulare che raggruppatesi danno origine alla piastra (o
placca) neurale, che prima s’ispessisce e poi s’invagina producendo una
depressione a U (o doccia neurale) che percorre il dorso in senso
anteroposteriore i cui margini (o pliche) si sollevano e s’incurvano fino a che,
saldandosi lungo la linea mediana dorsale dell’embrione, arrivano a formare, verso
il 21 giorno, una struttura circolare cava detta tubo neurale (e si parla, a
questo proposito, di processo di neurulazione, v. infra), le cui aperture alle estremità (o neuropori), quelle che
sono in comunicazione con il liquido amniotico, s’occludono tra il 25 e il 27
giorno; successivamente, in un embrione ch’è lungo ca. 5 mm, l’ectoderma dorsale si richiude sopra il tubo
neurale (che al suo interno contiene il liquor,
v. infra) di modo che esso si ritrova
all’interno dell’embrione completamente (ma temporaneamente) isolato dal
tessuto da cui ha avuto origine, e in questo movimento tra l’ectoderma e il
tubo neurale si ritrova la cresta neurale (v. infra), una popolazione di cellule che si suddivide in due strisce,
ognuna posta sui lati della saldatura del tubo neurale, che, proliferando e in buona
parte migrando ripristinano i collegamenti fra l’interno e l’esterno, cioè formano
il SNP, il Sistema nervoso autonomo (SNA) e i neuroni sensoriali delle radici
dorsali del midollo spinale (v. infra);
la figura seguente mostra la sezione e le modalità di formazione del tubo
neurale (in alto, a sinistra, si mostra l’ispessimento della piastra neurale a
partire dall’ectoderma; in alto, a destra, la formazione della doccia neurale e
della cresta neurale e in basso, al centro, l’avvenuta la saldatura delle
pliche che formano la cavità del tubo neurale, le creste neurali poste ai lati
del tubo e, infine, l’isolamento dall’ectoderma):
Figura
n. . Fonte: Einon e Rose, 1997, p. 992.
Oltre
alle cellule della cresta neurale, proliferano e migrano anche le cellule del
tubo neurale che si trasformano nei neuroni (v. infra) e nelle cellule della glia (v. infra); da ricordare che, a seguire, la proliferazione cellulare
all’estremità anteriore (rostrale) del tubo neurale è superiore a quella
posteriore (caudale), tanto che nella prima s’arriva a costituire l’encefalo e
nella seconda il midollo spinale (cioè, nell’insieme, il SNC); detto meglio, a partire
dal 40 giorno l’estremità anteriore del tubo neurale s’espande formando tre
vescicole che diverranno le principali
regioni dell’encefalo, il proencefalo (o prosencefalo), il mesencefalo e il
rombencefalo, e questa regionalizzazione della parte anteriore del tubo neurale
prosegue facendo sì che le tre citate regioni si suddividano e specializzino ulteriormente
formando i precursori delle principali componenti del cervello adulto;
specificamente, l’estremità anteriore del telencefalo forma due protrusioni ai
lati che diventano i due emisferi cerebrali (il telencefalo, cioè quello ch’è
identificato come il cervello), cioè due sporgenze che si curvano in direzione
posteriore prima di crescere anteriormente, e dove la crescita anteriore arriva
poi a circondare il diencefalo (dove si sviluppano il talamo ottico, o talamo, e
l’ipotalamo e parte del sistema limbico) e il mesencefalo, nel mentre la
vescicola del rombencefalo comincia a differenziarsi per arrivare a formare
tutte le componenti del tronco encefalico, cioè il metencefalo e il
mielencefalo; la figura seguente illustra, con una sezione frontale, le tre
divisioni dell’encefalo nelle prime fasi di sviluppo (A) e la differenziazione
a seguire nelle sue principali suddivisioni (B):
Figura
n. . Fonte: O’Shea, 2012, p. 63.
La
figura seguente mostra invece il percorso dello sviluppo embrionale del
telencefalo prima in direzione posteriore (prima parte della figura), e poi in
direzione anteriore (seconda parte) fino a che non circonda il resto del proencefalo
(il diencefalo) e il mesencefalo (tratteggio della terza parte):
Figura
n. . Fonte: O’Shea, 2012, p. 65.
Mentre
il mesencefalo non si segmenta, la vescicola che forma il rombencefalo, come
detto, si differenzia poi in metencefalo e mielencefalo, dove nella parte ventrale
del metencefalo si sviluppa il ponte di Varolio e in quella dorsale il
cervelletto (che si vede nella figura precedente), mentre dal mielencefalo (che
si presenta al di fuori dell’encefalo, cioè della scatola cranica, all’altezza
del forame occipitale) si sviluppa il bulbo spinale o midollo allungato, la cui
parte finale continua poi nel midollo spinale ch’evolve dalla parte restante
del tubo neurale, quella caudale; la figura seguente mostra, sempre in sezione
frontale, lo schema dello sviluppo cerebrale nell’embrione comprensivo delle
cinque vescicole (telencefalo, diencefalo, mesencefalo, telencefalo e
mielencefalo) che si sono sviluppate dalle tre iniziali vescicole del tubo
neurale (proencefalo, mesencefalo, rombencefalo):
Figura
n. . Fonte (modificata): Umiltà, 2011,
p. 68.
Dalla
parte caudale del tubo neurale, ch’è poi quella che meno muta la sua forma
nell’evoluzione dell’embrione in quanto non si vescicola come la parte rostrale,
s’evolve, come detto, il midollo spinale la cui forma è grossomodo cilindrica,
con la caratteristica struttura di coppie di nervi sensitivi e motori che si
dipartono dalla superficie dorsale e ventrale del midollo spinale; la figura
seguente mostra una sezione del midollo spinale dell’embrione dove si notano le
coppie a simmetria bilaterale di nervi sensitivi e motori e il canale
ependimale (v. infra), ognuna delle
quali coppie e il segmento di midollo spinale con il quale comunicano si
troverà, a processo completato, in comunicazione entro una determinata vertebra
nella colonna vertebrale (l’epèndima è poi la membrana di rivestimento interna
del canale centrale del midollo spinale e dei 4 ventricoli cerebrali, v. infra, e questo canale ependimale non
presenta soluzione di continuità con i detti ventricoli ed è, al pari di
questi, riempito di fluido cerebrospinale, o liquor, v. infra, e
sottoposto a una lieve pressione positiva; con il termine nervi, utilizzato
anche in precedenza, s’intendono i fasci d’assoni che trasmettono le
informazioni da e verso il SNC):
Figura
n. . Fonte: Einon e Rose, 1997, p. 994.
Il
midollo spinale, ancora, è contenuto nel canale della colonna vertebrale che
occupa per intero nei primi tre mesi di gestazione, salvo poi, mentre la
colonna vertebrale aumenta di lunghezza, fermarsi nel corpo sviluppato
all’altezza della prima vertebra lombare (v. infra) e presenta una regione centrale di sostanza grigia (che
contiene le sinapsi e i corpi cellulari dei neuroni e delle cellule
gliali) circondata da una sostanza bianca (formata da fasci di assoni in
maggioranza mielinizzati che trasmettono le informazioni in entrata e in
uscita), un insieme che ha una conformazione segmentale ripetuta, è cioè
composto di 30 segmenti (31, contando il segmento coccigeo), suddivisi in
quattro regioni, specificamente quella cervicale, toracica, lombare e sacrale (v.
infra); alla fin fine, dal tubo
neurale emergono così il cervello e il midollo spinale, cioè un SNC grazie al
quale il corpo è operativo all’interno d’un dato ambiente storicamente situato,
e questo perché il midollo spinale fornisce i percorsi più importanti per
l’immissione di informazioni al SNC su qual è lo stato della situazione esterna
al corpo, e in pari tempo sempre il midollo spinale, per il tramite
dell’emissione di informazioni dal SNC, assicura all’attività operativa del
cervello la realizzazione delle sue funzioni di controllo sull’agire del corpo
all’esterno, nella realtà d’un divenire; da non dimenticare, infine, che
l’encefalo (la porzione anteriore del SNC, racchiuso nella scatola cranica) è
attraversato da 4 ventricoli cerebrali numerati I, I, III e IV (cioè da 4 cavità
separate, ma tra loro in comunicazione per il tramite di fori o canali, in cui
circola poi il liquor, v. infra), di cui I e II (di forma grossomodo ellissoidale) si trovano
nella metà destra e sinistra degli emisferi cerebrali (ventricoli laterali), III
(a forma d’imbuto) si presenta nel diencefalo e IV (a forma di losanga) si
reperisce tra il ponte di Varolio e il midollo allungato (il suo pavimento, o
fossa romboidale, è importante in quanto contiene i centri d’origine/terminazione
di numerosi fasci di fibre nervose); la figura seguente mostra gli stadi di
sviluppo del cervello a cinque vescicole dal cervello a tre vescicole, compresi
i ventricoli e il canale ependimale (l’acquedotto di Silvio, presente in
figura, è un canale longitudinale che si trova nel mesencefalo e che mette in
comunicazione il ventricolo III con il IV):
Figura
n. . Fonte: Einon e Rose, 1997, p. 996.
La
tabella seguente cerca di riassume quanto detto fino ad ora:
SVILUPPO
DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE (SNC)
|
SUDDIVISIONE
SNC
|
SVILUPPO EMBRIONALE DEL TUBO
NEURALE
|
SVILUPPO SUCCESSIVO
|
PRIMA VESCICOLAZIONE
|
SECONDA VESCICOLAZIONE
|
PROENCEFALO
|
TELENCEFALO
|
EMISFERI CEREBRALI (CORTECCIA
CEREBRALE, NUCLEI DELLA BASE)
|
CERVELLO
|
ENCEFALO
|
DIENCEFALO
|
TALAMO OTTICO, IPOTALAMO E PARTI
DEL SISTEMA LIMBICO
|
MESENCEFALO
|
MESENCEFALO
|
MESENCEFALO
|
TRONCO ENCEFALICO
|
ROMBOENCEFALO
|
METENCEFALO
|
PONTE DI VAROLIO, CERVELLETTO [1]
|
MIELENCEFALO
|
BULBO SPINALE (MIDOLLO ALLUNGATO)
|
MIDOLLO SPINALE [2]
|
MIDOLLO SPINALE [2]
|
REGIONE CERVICALE
|
MIDOLLO SPINALE
|
MIDOLLO SPINALE
|
REGIONE TORACICA
|
REGIONE LOMBARE
|
REGIONE SACRALE
|
[1] Il cervelletto,
posteriore al ponte di Varolio e al midollo allungato, è collegato al
mesencefalo e al tronco
encefalico
tramite tre paia di fasci di assoni (o peduncoli cerebrali), e pertanto non
possiede un collegamento diretto
con
la corteccia cerebrale, ed è per questo considerato come facente parte a sé e
non appartenete né al cervello né al
tronco
encefalico, ragion per cui l’encefalo sarebbe di conseguenza considerato
formato da cervello, cervelletto e
tronco
encefalico.
[2] È escluso dai
processi di vescicolazione.
Tabella
n. .
La
figura seguente mostra invece la visione laterale dell’encefalo e del midollo
spinale in un adulto di Homo sapiens,
ciò ch’evidenzia il passaggio embrionale da tre a cinque vescicole e
l’articolarsi finale del SNC (nel telencefalo sono indicati anche i lobi, i
solchi e i giri della corteccia cerebrale, la posizione non visibile dei nuclei
della base (o gangli basali), mentre è tratteggiata la posizione nascosta del
diencefalo e quella di fatto della porzione del tronco encefalico):
Figura
n. . Fonte: Mattelli e Umiltà, 2007, p.
19.
Ora
è forse è utile illustrare, a mo’ d’esempio, il rapporto che esiste tra la
formazione della struttura cerebrale, sostenuta da un SNC anch’esso in
formazione, e lo sviluppo del comportamento embrionale e fetale; a partire
dalla 3a settimana dal concepimento inizia il battito cardiaco
mentre, con la 7a settimana, i neuroni di quello che sarà il SNC
iniziano a mostrare un’attività elettrica, tanto che entro l’8a
settimana si manifestano comportamenti riflessi ch’implicano un’avvenuta
sinaptogenesi e la differenziazione di semplici connessioni sinaptiche (o archi
riflessi) nel midollo spinale e in aree inferiori del cervello, per esempio,
con la flessione del collo e del tronco, e anche connessioni e attività
interneuronali (v. supra) la cui funzione
è quella di produrre in varie sequenze che coinvolgono tutti i muscoli dei
movimenti muscolari coordinati creando repertori via via più ricchi di pattern motori; a 10 settimane il feto
può muovere i bulbi oculari, aprire le labbra, chiudere parzialmente le dita
della mano e flettere le dita dei piedi e, a partire dall’11a
settimana dal concepimento, il feto può compiere movimenti di deglutizione; con
la 12a settimana, quando l’organogenesi è ormai completata, inizia
un lento processo di mielinizzazione degli assoni (che sarà completato, come
detto, verso i 30 anni) e il feto inizia a scalciare ed è capace di chiudere a
pugno la mano; a 13 settimane i muscoli del diaframma danno origine a quella
che sarà la sequenza respiratoria e a partire dalla 16a settimana il
repertorio dei pattern motori
specie-specifici può dirsi assestato; a 24 settimane si presenta il processo
della suzione e il feto è probabilmente in grado di sentire dei suoni e, a 28
settimane, l’occhio manifesta una sensibilità per le variazione di luminosità,
nel mentre, per quanto riguarda gli altri sensi, il feto è già reattivo alle
variazioni del tatto, dell’olfatto e del gusto (il tatto a partire dall’8a
settimana, l’olfatto tra l’11a e la 15a settimana, il
gusto dalla 14a settimana, con la clausola che le sensazioni
tattili, olfattive, gustative, uditive e visive, prima sono avvertite come un
insieme non differenziabile, cioè sinestetico, e che solo a seguire i neuroni
sensitivi e i recettori si specializzano); da aggiungere che, a partire dal 6°
mese, si presentano fasi cicliche di sonno/veglia; come dire che via via si
presenta un’intera gamma di sistemi riflessi semplici e complessi, che mostrano
l’avvenuto sviluppo di un’integrazione tra neuroni motori e muscoli, tra
neuroni sensitivi e recettori, cioè tutta una gamma neurofisiologica ch’è
elaborata e addestrata prima della nascita e che troverà solo nell’ambiente
postnatale la possibilità di manifestarsi con le funzioni vitali
(nutrizione/digestione, respirazione, termoregolazione e altro ancora), con le
sensazioni, con la motricità e con le attività cognitive; il che è dire che,
non appena è uscito dall’utero, l’organismo neonatale è già in possesso di reti
neurali interconnesse che gli permettono d’esplicare abilità differenziate, motorie,
sensitive e cognitive (per esempio, la sostituzione della simbiosi con la vita
di relazione figlio/madre), che sono state geneticamente predisposte nel
decorso della vita intrauterina al fine di potere realizzare gli accomodamenti
(per finestre temporali) che attendono il neonato nella sua interazione
dinamica e storica con l’ambiente extrauterino che l’accoglie (è, infatti,
l’interazione del genotipo con l’ambiente prenatale e postnatale che determina
poi la plasticità fenotipica d’un organismo, v. infra); e, anche se è vero che gli emisferi cerebrali (dopo il
periodo critico tra i 3-4 mesi di vita fetale, quando inizia a manifestarsi il
differenziamento neuronale con la proliferazione e la migrazione dei neuroni
che darà origine alle diverse aree del cervello) crescono più rapidamente
rispetto alla crescita corporea, nessuno di questi riflessi sensomotori dipende
però dalla corteccia (che, in Homo
sapiens, non è ancora pienamente funzionale alla nascita) in quanto essi
sono mediati dal midollo spinale e dalle regioni inferiori del tronco cerebrale
quali il midollo allungato, il ponte di Varolio, il mesencefalo e,
probabilmente, il talamo; in ogni caso si deve far salva la clausola che nel
feto le diverse parti del cervello hanno tempi evolutivi fra loro diversi, per
esempio, parti filogeneticamente recenti, quali la corteccia cerebrale e
cerebellare, si sviluppano in modo più lento rispetto ad altre parti e che, per
quanto riguarda specificamente la corteccia cerebrale, l’area motoria (e
specialmente quella regione che controlla la coordinazione motoria della parte
superiore del corpo) si sviluppa prima, e in modo più completo, rispetto alla
corteccia temporale e occipitale, e che nello sviluppo seguono poi l’area
sensitiva primaria e quella visiva e a seguire le altre aree corticali; si può
poi affermare che il primo abbozzo della corteccia cerebrale si ha dopo 6
settimane, che il talamo e l’ipotalamo si formano tra la 5a e la 6a
settimana, che il corpo calloso si presenta tra la 7a e l’8a
settimana (ma per la connettività bilaterale completa bisognerà attendere i
15-16 anni), che il cervelletto non si forma prima del 7o mese e
che, alla nascita, il cervello pesa ca. il 25% del suo peso adulto e presenta
all’incirca 10 miliardi di connessioni; la figura seguente mostra lo sviluppo
degli emisferi cerebrali da 3 a 9 mesi:
Figura
n. . Fonte: Einon e Rose, 1977, p. 1
000.
Per
quanto riguarda invece le funzioni dell’encefalo, e partendo dal basso con i
suoi costituenti, valgano le riassuntive note seguenti; il bulbo spinale, o
midollo allungato (dal punto di vista evolutivo, è poi la parte più antica del SNC),
è l’organo di transizione tra il midollo spinale (con il quale, come detto,
condivide molte formazioni) e la restante parte dell’encefalo e si presenta
come un tronco di cono rovesciato e una sua porzione significativa è
attraversata da fasci di assoni, il cui decorso è sia ascendente (fasci sensitivi)
che discendente (fasci motori), che veicolano il traffico di informazioni tra
il cervello (telencefalo) e il midollo spinale ed è qui, ancora, che i fasci
d’assoni che discendono dalla corteccia cerebrale s’incrociano (o decussano) sul
piano mediale spostandosi da sinistra a destra, processo che porta ciascun
emisfero a controllare i movimenti della parte opposta del corpo, cui
s’aggiunga che molte delle attività fisiologiche indispensabili alla vita
dell’organismo (funzioni vegetative), per esempio, la respirazione, la
regolazione delle contrazioni del
muscolo cardiaco (pressione arteriosa), la deglutizione, sono controllate dai suoi
centri neurali; anteriormente al midollo allungato si trova il ponte di Varolio,
che presenta una forma a rilievo trasversale e che ha il ruolo di direzione e
di controllo delle citate funzioni vegetative (compresa la regolazione delle
fasi del sonno), di controllo nei meccanismi regolativi delle espressioni
facciali, di coordinazione dei movimenti oculari e d’orientamento del corpo in
relazione alla forza di gravità e all’accelerazione (quest’ultimo aspetto
grazie ai nuclei vestibolari, un insieme che appartiene a un centro sensoriale
che riceve le informazioni a ciò preposte); posteriormente al ponte di Varolio
e al midollo allungato si trova il cervelletto (che presenta una forma di ellissoide
appiattito e irregolare, con l’asse maggiore posto trasversalmente); questo è alloggiato
nella parte posteriore e inferiore della scatola cranica (nella fossa cranica posteriore, al
di sotto dei lobi occipitali e da loro separato da un’espansione della dura
madre, v. infra) e, in quanto posto
alla congiunzione tra gli emisferi cerebrali e il midollo spinale, si trova in
una posizione strategica per potere coordinare e controllare i movimenti
complessi; il cervelletto si presenta in superficie con una corteccia, detta
corteccia cerebellare (da cerebellum,
diminutivo latino di cervello, cioè cervelletto; la sostanza grigia), ch’è più
sottile di quella cerebrale, poco più di 1 mm, e distinta in 3 strati, in cui
si trovano delle solcature di diversa profondità che ne aumentano la
superficie; in profondità, presenta un corpo midollare (la sostanza bianca, ivi
comprese piccole masse di sostanza grigia, dette nuclei centrali), il tutto suddiviso
in due emisferi (ognuno dei quali però controlla strutture omolaterali, cioè la
stessa parte di corpo, grazie a una doppia decussazione, a differenza del
cervello che presenta le vie di trasmissione tra emisferi e lati del corpo
decussate, come visto, a livello del midollo allungato) e un rilievo che n’è la
parte mediana, detta verme cerebellare, anch’essa percorsa da solchi; la figura
seguente mostra l’evoluzione del cervelletto, là dove l’archicervelletto (o
archicerebello), è l’area filogeneticamente più ancestrale, il cui primo
abbozzo si ha nei pesci, i cui circuiti neurali servono al mantenimento in equilibrio
del corpo e al controllo dei movimenti oculari (resta poi immutata in tutti i
vertebrati); il paleocervelletto (o paleocerebello) compare negli anfibi, nei
rettili, negli uccelli e, nel genere Homo,
con la stazione eretta, e la sua funzione è quella del controllo
nell’esecuzione dei movimenti; il neocervelletto (o neocerebello), invece, che
aumenta notevolmente nell’insieme il volume cerebellare, esiste solo nei
mammiferi (cioè compare in una fase avanzata della filogenesi), e la sua
importanza cresce nei primati e nel genere Homo
(in Homo sapiens il cervelletto, nel
suo insieme, rappresenta il 10% in peso e volume dell’encefalo e ne contiene, dei
neuroni presenti, all’incirca la metà), là dove i suoi circuiti neurali sono
coinvolti nella pianificazione del movimento e nella formazione di memorie
procedurali:
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 62.
Ora,
e sia permesso l’inciso, visto che al cervelletto giungono informazioni
sensoriali che riguardano la posizione e i movimenti del corpo (controllo
sensomotorio) e, oltre a ciò, il neocervelletto è anche implicato nella memoria
procedurale, si può enfatizzare il legame che esiste tra evoluzione neocerebellare
e evoluzione della memoria procedurale nel genere Homo; memoria procedurale vuol dire, infatti, che il cervelletto è in
grado di codificare e memorizzate i dati necessari all’uso di competenze motorie
acquisite (o delle abilità sensomotorie in via d’acquisizione con l’imitazione),
cioè nell’organizzazione temporale di sequenze comportamentali, dati che
possono essere anche molto complessi a livello della stratificazione delle
sequenze d’azione implicate nell’agire tecnologico, vale a dire in sequenze proprie
alla progettazione e costruzione di strumenti e manufatti (v. supra), e questo perché il cervelletto
(innervato tanto con le aree sensitive e motorie dei lobi frontali e parietali
della corteccia cerebrale che con la muscolatura del tronco e degli arti)
controlla costantemente i movimenti volontari originati nella corteccia
cerebrale motoria e messi in esecuzione dagli arti prossimali e distali in un
dato contesto ambientale e laddove le improprietà procedurali degli arti
rispetto allo schema motorio proposto dalla corteccia cerebrale sono riaggiustate,
corrette, dalle fibre afferenti/efferenti del cervelletto con un movimento immediato
e inconsapevole di retroazione negativa, cioè di modulazione, che reimposta le
improprietà e ne regola in modo esatto la portata affinché il movimento sia
compiuto correttamente (come dire che il neocervelletto è il centro d’una
raffinata modulazione e coordinazione automatica dei movimenti volontari); ed è
pertanto ragionevole affermare che, s’è assodato che l’intelligenza sociale è
legata all’evoluzione della neocorteccia (v. supra), l’intelligenza tecnica del genere Homo, di cui s’è parlato con dovizia in precedenza e che appartiene
a pieno titolo alle sue capacità cognitive, debba invece essere strettamente legata
all’evoluzione del cervelletto (che di suo, per il tramite del talamo, è poi anche
innervato con molte regioni neocorticali importanti per l’evoluzione cognitiva e
linguistica del genere Homo) e che
queste due formazioni, cervello e cervelletto, abbiano pari dignità nella
spiegazione dell’evoluzione della materialità dell’agire tecnico che sta a
fondamento d’una formazione economico-sociale (e specialmente s’è vero che a
partire dallo scimpanzé e nel genere Homo,
seppure cervelletto e neocorteccia tendano a evolversi insieme come richiedono le
loro principali connessioni anatomiche e funzionali, le dimensioni della
componente corticale e cerebellare non si presentano con un rigido rapporto
incrementale, questo perché la pressione selettiva ha fatto sì che dimensioni
del cervelletto siano state incrementate più rapidamente rispetto a quelle
della neocorteccia); anteriormente al ponte di Varolio si trova poi il
mesencefalo, che si compone della substantia
nigra, del collicolo inferiore e superiore e di parte della formazione
reticolare; la substantia nigra (così
detta perché è una formazione caratterizzata dalla presenza di cellule nervose con
pigmenti contenenti melanina e ferro che ne danno il colore scuro) è
strettamente connessa all’iniziazione e al mantenimento dei movimenti
volontari, mentre i collicoli (così detti per la forma a tronco di cono smussato)
sono coinvolti l’uno nell’udito (collicolo inferiore) e l’altro, oltre che a
essere un centro per l’elaborazione delle informazioni visive (principalmente nell’attività
di regolazione dello sguardo sul piano verticale), è coinvolto nella
generazione dei movimenti oculari (collicolo superiore); la formazione
reticolare, infine, è data da una rete di fibre orientate in tutte le direzioni
e centri nervosi, e s’estende a partire dal midollo allungato, attraversa le
strutture del tronco dell’encefalo e poi raggiunge il talamo, e presenta un
ruolo primario nel controllo e nella regolazione dello stato d’eccitazione del
cervello (la formazione reticolare, infatti, riceve impulsi da tutti i sistemi
sensoriali e invia segnali che salgono a gruppi di nuclei del talamo, che a
loro volta li proiettano alla corteccia cerebrale e discendono anche al midollo
spinale, cioè svolge un ruolo nella regolazione del livello d’attività
neuronale lungo l’asse cerebrospinale del SNC); la figura seguente mostra la
dislocazione della formazione reticolare:
Figura
n. . Fonte: Einon e Rose, 1977, p. 997.
Al
mesencefalo segue il diencefalo, dove si trovano il talamo, l’ipotalamo e parti
del sistema limbico; il talamo, che occupa la maggior parte del diencefalo, è
dato da due formazioni ovoidali di sostanza grigia, una per emisfero, legate da
un cordone nervoso posteriore (commessura mediana) di sostanza bianca e costituite
da un notevole numero di nuclei specifici, ma anche no (nel senso che questi
ultimi stabiliscono connessioni diffuse e non mirate), separati da lamine di
sostanza bianca, e da sistemi di fibre afferenti/efferenti che collegano le due
dette formazioni a diversi distretti del nevrasse (o SNC); il talamo, pertanto,
costituisce una stazione di raccolta, selezione, smistamento e integrazione delle
connessioni che vanno verso la corteccia cerebrale e che dalla corteccia cerebrale discendono, sia sensitive
sia motorie, cioè il centro verso cui si dirigono gli impulsi provenienti tanto
dai recettori, o trasduttori sensoriali, legati al mondo esterno (pelle,
lingua, orecchio, occhio, cioè trasduttori esterocettivi; è escluso l’olfatto,
che segue altri percorsi neuronali, v. infra)
quanto derivanti dal corpo (enterocettivi) e che esercita un’azione di
controllo su tutti gli impulsi che arrivano dalla corteccia; oltre a ciò, il
talamo rappresenta anche un centro d’integrazione e di coordinazione ch’è indipendente
dalla corteccia cerebrale; più in basso, alla congiunzione del talamo e del
mesencefalo, in una zona interna ai due emisferi, si trova l’ipotalamo ch’è
costituito, nonostante le ridotte dimensioni, da numerosi nuclei ipotalamici di
sostanza grigia che, mediante fasci di fibre nervose, sono in rapporto con il
talamo, con il corpo striato (formazione situata alla base di ogni emisfero e
posta a lato di ogni talamo), con i centri autonomi del tronco encefalico e del
midollo spinale e con la corteccia cerebrale, e pertanto risulta implicato in
un grande numero di funzioni, tra cui il controllo della termoregolazione corporea
(produzione/dispersione di calore, v. anche supra
e infra), della sete, dell’escrezione
urinaria (diùresi), della fame/sazietà, dell’interpretazione degli odori, della
peristalsi intestinale (v. infra), del
comportamento sessuale, del comportamento emotivo (per esempio, nelle risposte
di rabbia/aggressività/ansietà, o nelle situazioni di stress, v. infra), della
pressione ematica, del ciclo sonno/veglia (cioè del ritmo circadiano, della
durata di ca. 24 ore, che presenta regolarmente la ripetizione di processi
fisiologici regolati da fattori esterni, quali luminosità e temperatura, e da
fattori interni che si sincronizzano con la variabilità delle condizioni
esterne grazie a un orologio, detto biologico) e altro ancora; inoltre
l’ipotalamo ha il ruolo di collegare la corteccia cerebrale con il sistema endocrino
(ormonale) immettendo nel flusso sanguigno un grande numero di neurosecrezioni (v.
infra) affinché queste abbiano
effetti su bersagli periferici del sistema nervoso, per esempio, modulando la
secrezione delle ghiandole endocrine attraverso fattori di rilascio che inducano/inibiscano
la secrezione ormonale, oppure lavorando di conserva con una ghiandola
endocrina quale l’ipofisi (secondo un asse ipotalamo-ipofisario, su cui v. infra); la figura seguente mostra i nuclei
ipotalamici che permettono alcune delle sopra dette funzioni dell’ipotalamo:
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 68.
Specificamente
il nucleo preottico (segnalato in figura con termostato) che, negli organismi omeotermi
(v. supra), regola la capacità di conservare
la temperatura corporea a un livello costante (termoregolazione) grazie a
recettori del calore specifici situati sia sotto la pelle (per la temperatura
esterna) che nelle viscere del corpo (per la temperatura interna), termorecettori
che permettono al nucleo preottico, in virtù dei suoi due centri
termoregolatori tra loro in opposizione, di mantenere l’equilibrio tra
produzione di calore (termogenesi) e sua dissipazione (termolisi); i nuclei
sopraottici (in figura, dipsostato) che, per il tramite di recettori che
monitorano la pressione osmotica del plasma (osmocettori), ossia la
concentrazione del sodio nel sangue, e il volume del liquido extracellulare
(tensocettori), rispondono a un aumento della pressione osmotica e a una
diminuzione dei liquidi diminuendo la diuresi, cioè liberando la vasopressina,
un ormone antidiuretico (ADH, Antidiuretic
Hormone)
che agisce sui reni attivando il meccanismo della sete; il nucleo ventromediale
e il nucleo laterale (in figura, orexostato) regolano, il primo, la sazietà e il
secondo la fame, questo soprattutto attraverso recettori provenienti
dall’apparato gastroenterico (v. infra)
che segnalano una quantità di cibo sufficiente a produrre quei nutrienti di cui
abbisogna il corpo (riempimento) e dal monitoraggio delle modificazioni del
livello di glucosio nel sangue, questo perché, con una glicemia sotto il
livello di guardia (60 milligrammi per decilitro, 60 mg/dl, dopo 8 ore
dall’ultimo pasto), si presenta una richiesta d’assunzione di cibo (fame) ch’è prodotta
dall’elaborazione delle informazioni che arrivano al nucleo laterale e che sono
trasmessi al sistema efferente interessato, fame assente nel caso i recettori
rilevino un aumento della glicemia ematica (a 2 ore dal pasto, sotto i 140 mg/dl),
ciò che produce una segnalazione inibente l’insorgere della fame da parte del
nucleo ventromediale (sazietà); oltre ai detti meccanismi a breve termine,
interviene sui citati nuclei anche un
meccanismo a lungo termine che segnala il livello delle scorte di lipidi che,
se intaccate, devono essere ripristinate; i nuclei posteriori (in figura,
gonadostato) sono in rapporto con l’ipofisi mediante un peduncolo, e un ormone
prodotto dall’ipotalamo (detto ormone di rilascio, o Releasing Hormone, RH) è poi deputato
alla regolazione delle funzioni dell’ipofisi, ciò che crea il sopra detto asse
ipotalamo-ipofisario, di fatto la quasi totale regolazione della secrezione
ormonale da parte del SNC, e tra gli ormoni di rilascio secreti dall’ipotalamo è
presente il GnRH (ormone di rilascio delle gonadotropine, Gonadotropin Releasing Hormone, GnRH) che controlla la secrezione ormonale
delle gonadotropine (che comprendono l’ormone luteinizzante, Luteinizing Hormone, LH e l’ormone
follicolostimolante, Follicle-Stimulating
Hormone, FSH) nell’ipofisi e la cui frequenza di rilascio è diversa nei 2
sessi (femmina/maschio, anche perché l’ormone GnRH presenta una secrezione
variabile nelle femmine durante il ciclo mestruale, con un picco in prossimità
della mestruazione, mentre è costante la sua secrezione nei maschi),
gonadotropine che hanno poi il controllo delle funzioni riproduttive avendo
come bersaglio le gonadi, cioè l’ovaio e il testicolo, vale a dire la loro
capacità di produrre cellule sessuali mature (gameti) che possono essere
fecondate o possono fecondare, cui si somma la loro funzione riproduttiva nella
copula e nell’eiaculazione; da ricordare che le gonadotropine stimolano anche
la produzione di ormoni sessuali (o steroidei), androgeni nel maschio, quali il
testosterone, estrogeni nella femmina, quali l’estradiolo (anche se estrogeni sono
prodotti anche nel testicolo, così come l’ovaio produce androgeni), ormoni
steroidei che regolano per via endocrina, con meccanismi che hanno anche una
funzione di retroazione sull’ipotalamo (rilascio e sintesi dell’ormone GnRH) e
sull’ipofisi (rilascio e sintesi delle gonadotropine), ciò che crea un asse
ipotalamo-ipofisi-gonadi; in dettaglio, nelle femmine l’ormone FSH stimola la
crescita del follicolo ovarico (cioè della guaina che contiene l’uovo) e
l’ormone LH controlla la fase finale della sua maturazione, la sua rottura e la
fuoriuscita dell’uovo, la formazione e lo sviluppo del corpo luteo (ciò che si forma
al posto del follicolo dopo la sua apertura) e la secrezione di estrogeni; nei
maschi FSH agisce sulla spermatogenesi e LH stimola le cellule interstiziali del
testicolo a produrre testosterone; infine, completano poi il diencefalo alcune
parti d’una formazione, il sistema limbico (che si completa nel telencefalo),
così detto perché forma un margine (in latino, limbus) attorno al corpo calloso che unisce i due emisferi, cui
sono associati l’ipotalamo e la corteccia frontale e temporale e che include,
oltre ad altre formazioni, quali il giro cingolato, il setto e la regione
settale (setto pellucido) e i tubercoli mamillari (corpi mamillari), quelle che
qui ci interessano, l’amigdala e l’ippocampo; la figura seguente mostra la
disposizione delle strutture che appartengono al sistema limbico (non è
segnalato il giro cingolato, posto al di sopra del corpo calloso, nella
corteccia del lobo prefrontale):
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 73.
L’amigdala
e l’ippocampo sono, dal punto di vista filogenetico, le parti più antiche del
proencefalo, e si ricorda a questo proposito che nelle varie specie di
Mammiferi, pure variando l’estensione delle formazioni coperte dal sistema
limbico, il loro sviluppo e la loro organizzazione è identica, ciò che fa ritenere
che l’origine fisiologica delle emozioni e dei comportamenti quali le sperimenta
Homo sapiens sia analoga per tutti i
Mammiferi; infatti, le formazioni del sistema limbico formano una complessa rete
neuronale che presenta un ruolo
essenziale nell’origine e nella modulazione delle emozioni e delle
manifestazioni vegetative che le accompagnano, e nelle risposte comportamentali
agli stimoli d’origine emotiva (o emotigeni) legati alla sopravvivenza della
specie e dell’individuo, quali l’accoppiamento, la riproduzione e la cura della
prole, la libido (cioè la pulsione
sessuale vista nel suo aspetto psichico) e l’attività sessuale, il
comportamento alimentare (approvvigionamento/consumo), il sonno, la paura, l’attacco/difesa
(v., infra, fight or flight), cui si possono aggiungere meccanismi regolativi
della vita sociale quali la competizione per il rango o lo status all’interno del gruppo, la motivazione, nel senso
d’attribuzione d’un significato a un comportamento sociale, e la gratificazione
che ne consegue, oltre che in alcune funzioni cognitive superiori, come
l’apprendimento e la memoria (questo collaborando allo stoccaggio mnesico
definitivo di ciò che rimarrà nella memoria a lungo termine); specificamente, l’amigdala
(così detta perché è una formazione ovoidale che ricorda una mandorla e che si
presenta in ogni lato degli emisferi) è coinvolta nella gestione degli stati
affettivi (quali le risposte emozionali date dall’aggressività e dalla collera),
nella valutazione delle situazioni e dei comportamenti (in base alle coppie
dannoso/non dannoso, desiderabile/indesiderabile) e nelle decisioni prese di
fronte a situazioni ambivalenti da interpretare che sono risolte grazie allo
stoccaggio, nei circuiti neurali dell’amigdala, degli eventi avversi, cioè
dannosi e indesiderabili, che vengono compulsati in base a un algoritmo di tipo
statistico e da cui consegue la scelta (e, dato il contesto, si ricorda che i
circuiti neurali hanno una tolleranza più che ampia alle informazioni incompiute,
imprecise o sbagliate e che possono correggerle), mentre l’ippocampo (che
ricorda la forma del cavalluccio marino e che si presenta, con commensura, in
ogni lato degli emisferi) concorre al consolidamento della memoria a breve termine
in quella a lungo termine (specialmente per quel che riguarda la memoria
dichiarativa, cioè ciò che si sa), tanto che la sua neurogenesi continua anche
in età adulta; seguono a queste strutture quella che si sono evolute più di
recente, cioè i gangli della base e la neocorteccia; i gangli della base sono
un insieme di tre nuclei sottocorticali di sostanza grigia, presenti alla base
degli emisferi cerebrali, che sono in connessione con la corteccia cerebrale,
il talamo e il tronco dell’encefalo (è escluso il midollo spinale) e il loro
ruolo funzionale è quello di facilitare l’inizio e lo svolgimento dei movimenti
volontari che partono da impulsi della corteccia; la corteccia cerebrale (cortex) presenta strutture corticali tra
loro diversificate per caratteristiche morfofunzionali, specificamente si
tratta della paleocorteccia (la struttura più antica a ricoprire gli emisferi
data dalla corteccia olfattiva e dall’amigdala, la quale comprende però anche
parti sottocorticali), dell’archicorteccia (struttura più recente data dall’ippocampo)
e della neocorteccia (di cui s’è diffusamente parlato in precedenza, e che nel
genere Homo s’estende su tutta la
superficie degli emisferi relegando le parti più antiche alla faccia interna
dei due lobi temporali, v. supra);
queste strutture della corteccia cerebrale sono poi irrorate da una vasta rete
di vasi sanguigni (e, pur rappresentando il cervello solo 1/50 del peso medio
di un corpo umano, ca. 1 400 g, richiedono il 20-25% del sangue circolante, una
spesa energetica che, nel processo evolutivo, è probabilmente avvenuta a spese
del metabolismo d’altri tessuti, v. supra)
e sono in continuazione con il midollo spinale ch’emerge dal forame occipitale;
insieme ci danno quello che chiamiamo cervello, cervello ch’è avvolto, lo
stesso che il midollo spinale, da tre membrane di natura connettivale
sovrapposte, le meningi (nell’ordine, la dura madre, l’aracnoide e la pia
madre) e da un liquido cerebrospinale (o cefaloradichiano), detto liquor, che riempie lo spazio fra la
dura madre e l’aracnoide, nel quale galleggia il suo tessuto molle protetto
dalla pia madre; la sua superficie esterna è formata da miliardi di cellule
nervose (con un corpo di varie forme e di sue espansioni ramificate, i dendriti
e gli assoni, v. infra)
interconnesse, o neuroni (ca. 30 miliardi nella corteccia per 100 miliardi
complessivi presenti nel SNC), ed è la sostanza grigia distribuita su uno
spessore di pochi millimetri (da 3 a 4 mm), su 6 strati (o lamine) tra loro sovrapposti
e diversi fra loro per densità neuronale (per esempio, lo spessore delle aree
sensoriali primarie è sottile, e più consistente è quello delle aree motorie e
associative), strati codificati con numero romano, da I a VI (il IV strato, a
sua volta, è suddiviso in 3 sottostrati, a, b, c); i neuroni, oltre che a una
distribuzione orizzontale sugli strati, obbediscono anche a una distribuzione
verticale, detta colonnare, in quanto sono suddivisi in colonne che iniziano
dalla superficie della corteccia e arrivano alla sostanza bianca sottostante
l’ultimo strato, cioè sottocorticale e con uno spessore di qualche centinaio di
μm, e ogni colonna presenta un minimo di 500 neuroni fino a un massimo di 10
000, e pertanto si calcola che la corteccia sia formata da un centinaio di
milioni di colonne e, poiché i neuroni di ciascun strato si proiettano con i
loro assoni verso le più differenti parti del cervello, le colonne
costituiscono dei veri e propri moduli corticali di computo che elaborano, per
il tramite di catene sovrapposte d’elaborazione interna, l’informazione in
arrivo da qualsivoglia punto della superficie corporea e la smistano in varie
aree e regioni cerebrali; ciascuna colonna, inoltre, opera come un modulo
separato, cioè con una sua autonomia nell’elaborazione dell’informazione in
entrata, ma è anche integrato con quelle colonne che costituiscono l’area
corticale cui questa e quelle appartengono, ed è inoltre connessa con tutte le
altre aree nonché con i gangli e i nuclei sottostanti; la neocorteccia, lo si
ripete, si presenta poi con delle circonvoluzioni, delle scissure (quelle con
le pieghe più profonde) e dei solchi (quelli con le pieghe meno profonde) che
delimitano delle pieghe addossate le une alle altre e ne aumentano la
superficie a più del doppio, questo grazie a una meccanica evolutiva (detta
girificazione) che ne permette un’aumentata estensione senza che sia aumentato
il volume degli emisferi e, conseguentemente, del cranio (infatti, 2/3 della
neocorteccia si trovano nascosti nei solchi e s’è calcolato che, se le porzioni
della corteccia non fossero girificate, cioè distese e stirate, coprirebbero
una superficie di ca. 2 600 cm2, estensione ch’è grossomodo quattro
volte l’estensione coperta dalla corteccia d’uno scimpanzé); sotto la corteccia
si trovano i fasci dei prolungamenti periferici dei neuroni avvolti da cellule
gliali (che
presentano un numero almeno dieci volte superiore rispetto al numero dei
neuroni, v. infra), che formano, dato
il colore del loro rivestimento, la sostanza bianca (si tratta di fibre
mieliniche); una scissura interemisferica, la scissura longitudinale, suddivide
poi il cervello in due emisferi simmetrici, di destra e di sinistra, collegati da
una commissura data da un fascio di ca. 200 milioni di fibre nervose trasversali
a conduzione rapida, dette corpo calloso, che collegano fra loro zone omologhe
della corteccia nei due emisferi (grossomodo ogni emisfero controlla, come
detto, i movimenti consapevoli della metà opposta del corpo, l’emisfero di
destra la parte sinistra e viceversa, grazie alle fibre nervose che decussano
all’altezza del midollo allungato e che permettono al cervello di comunicare
con il midollo spinale); la figura seguente mostra la sezione frontale
dell’encefalo, dove sono indicate le posizioni di molte delle formazioni sopra
citate (si ritrovano anche, non descritte sopra, l’insula, o lobo dell’insula,
e il chiasma ottico; l’insula è una
zona corticale che si trova all’interno della scissura laterale, v. infra; il chiasma ottico è una zona
dell’encefalo dove i nervi ottici, in parte decussandosi, si dispongono a X,
cioè a forma di chiasma):
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 58.
La
figura seguente mostra lo schema anatomico della sezione laterale dell’encefalo
(è indicata anche l’ipofisi, una ghiandola endocrina che forma con l’ipotalamo
il sopra citato asse ipotalamo-ipofisario):
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 59.
Dati
gli emisferi, due scissure, dette di Rolando (o scissura centrale) e di Sylvius (o di Silvio, o scissura
laterale), permettono di distinguere su ogni emisfero quattro lobi,
corrispondenti alle parti del cranio sotto cui si trovano, vale a dire
frontale, parietale, temporale e occipitale (di cui s’è già detto sopra); la
figura seguente mostra prima dall’alto e poi dal lato sinistro degli emisferi
cerebrali e la loro suddivisione in lobi per mezzo delle sopra citate scissure
(le zone di corteccia cerebrale poste fra due scissure sono poi dette giri):
Figura
n. . Fonte: Mattelli e Umiltà, 2007, p.
72.
La
superficie cerebrale può poi essere suddivisa in regioni funzionali, per
esempio quelle dedicate alle funzioni sensoriali (nel lobo parietale, dette
postrolandiche) e quelle da cui dipendono le funzioni motorie (nel lobo
frontale, dette prerolandiche), come mostra la figura seguente (dove la
scissura di Rolando è definita solco perché meno profonda della scissura di
Silvio):
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 57.
Le funzioni
postrolandiche sono specializzate nel ricevere ed elaborare informazioni
sensoriali e percettive che provengono dall’ambiente attraverso gli organi di
senso (vista, udito, olfatto, tatto e gusto), cioè da recettori quali possono
essere gli occhi (informazione in arrivo, quest’ultima, che si proietta alla
corteccia visiva primaria, posta nella parte più posteriore del lobo occipitale),
oppure informazioni che provengono da recettori della pelle (che si proiettano
a una striscia del lobo parietale, la corteccia somatosensoriale); le funzioni
prerolandiche sono invece regioni che organizzano le informazioni in vista di
una risposta motoria nell’ambiente, quali la corteccia motoria primaria, poi
legata alle aree psicomotorie implicate nel coordinamento e nella
pianificazione di movimenti elementari in vista della realizzazione di gesti
complessi (su quest’aspetto, v. infra);
queste regioni, ancora, obbediscono al principio organizzativo della mappatura,
come dire che la corteccia costruisce delle rappresentazioni spaziali, o mappe,
della realtà ch’essa ricava dai recettori del corpo, non disegnate in scala, ma
secondo proporzioni che traslano la potenza dell’elaborazione neurale dedicata alla
diverse regioni del corpo (mani, labbra e punta della lingua, per fare un
esempio, sono sovrarappresentati rispetto ad altri distretti corporei; su
quest’aspetto, v. infra); la figura
seguente mostra la mappatura delle aree motrici e sensorie dell’emisfero
sinistro:
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 84.
Esistono
anche molte altre regioni, per esempio, quella della corteccia associativa che,
se non è poi direttamente collegata né con i sistemi di controllo motori né con
l’avvio dell’elaborazione dell’informazione sensoriale, lo è con altri ingressi
sottocorticali, e si conoscono quella parietale, quella temporale e quella
frontale, quest’ultima detta anche corteccia prefrontale; ma si deve ricordare
che, se pure molte funzioni sono localizzabili anatomicamente, per numerose di
queste localizzazioni, man mano che ci s’allontana dalle funzioni motorie e
sensoriali, non è possibile definirne con grande precisione la funzione; in
ogni caso, basandosi sulla disposizione laminare (o a strati) del tessuto
corticale nelle varie regioni anatomiche, cioè sul loro spessore e sulla forma
e dimensione dei neuroni (o citoarchitettonica cerebrale), è stato possibile ripartirle
e definirne i confini per identificare delle aree funzionali del cervello creando
una cartografia utile come punto di riferimento (e che ha, a tutt’oggi, un
largo impiego); questa cartografia si basa su 47 aree (ma il numero può variare
secondo gli studiosi), dette di Brodmann, indicate con A e numerate (A1, A2, A3,
con sottoclassificazioni, A3a, A3b etc.);
per fare un esempio, la corteccia somatosensoriale primaria è presente nelle
aree A3, A1, A2; la corteccia motoria primaria è chiamata area A4, quella
premotoria area A6, quella visiva primaria è chiamata area A17 e quella
secondaria A18, l’area di Wernicke (v. supra)
è contenuta nell’area A22 di Brodmann, quella della corteccia uditiva rimanda
all’area A41e A42 (quest’ultima solo in
parte), l’area di Broca (v. supra)
è presente in parti delle aree A44 e A45 o che la corteccia prefrontale comprende
le aree da A9 a A14 e da A45 a A47 etc.;
la figura seguente illustra le varie aree anatomofunzionali di Brodmann
reperite nei lobi cerebrali dell’emisfero destro (veduta laterale):
Figura
n. . Fonte Roth, 2002, p. 433.
Comunque
questa modularità funzionale, così detta per il fatto che localizza delle
funzioni cerebrali in una specie di logica endofrenologica, deve tenere conto
dell’evidenza che, s’è vero che aree distinte e specializzate localizzano
l’esecuzione di specifiche funzioni, è anche vero ch’esiste un’elaborazione
distribuita su tutto il cervello per cui queste aree non agiscono da sole, ma
ciascuna rappresenta un nodo all’interno di reti distribuite o sull’intera
struttura corticale o su regioni corticali multiple, su reti, in ogni caso, fra
loro interconnesse e cooperanti, simultaneamente o in tempi differenziati, e
con diversi livelli d’integrazione legati al divenire storico delle pressioni
selettive, per cui il rischio più alto presentato da questa modularità
funzionale e di presentare astoricamente azioni, pensieri, decisioni e
sentimenti come semplici prodotti epifenomenici di processi cerebrali;
comunque, indipendentemente da tutto questo, dalla mappatura, dalla localizzazione
delle funzioni e dall’elaborazione distribuita in reti, resta che si può però attribuire
la maggiore complessità e flessibilità del comportamento del genere Homo al fenomeno storicamente situato dell’encefalizzazione,
ossia all’acquisizione di nuove funzioni neurali associate alle parti più
anteriori del telencefalo, nel lobo frontale della corteccia, e senza
dimenticare il ruolo cognitivo del cervelletto, insieme che si lega anche all’aumento
delle dimensioni di cui si sono presentate le stime e s’è discusso in
precedenza; detto in linea di massima questo, e visto che il cervello di Homo sapiens è fatto di elementi chimici
comuni quali il carbonio, l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto, lo zolfo, il fosforo
e alcuni metalli presenti in tracce, elementi comuni che formano molecole che,
a loro volta, costituiscono le cellule del tessuto cerebrale, vale a dire le
cellule nervose, o neuroni (v. supra),
cellule che presentano poi una molteplicità di forme, una funzionalità
elettrica e chimica e una connettività, cioè una modalità con cui il neurone si
collega con altri neuroni in reti all’interno delle formazioni sopra descritte
del Sistema nervoso centrale (SNC), è giusto che per arrivare all’evoluzione
del cervello e al ruolo concomitante dell’evoluzione del cervello sociale, ripartiamo
ora dal neurone, specificamente dalla sua rappresentazione semplificata quale è
mostrata nella figura che segue:
Figura
n. . Fonte: Edelman, 1993, p. 41.
Si
ripete che un neurone, che di solito ha forma irregolare, è composto da un
corpo cellulare (di forma sferica o piramidale), il soma (o pirenòforo o
pericàrio), che contiene anche il DNA che esprime la combinazione dei geni che
ne determinano le proprietà, da cui si dipartono dei prolungamenti
citoplasmatici, ossia dei prolungamenti ramificati in entrata, in prossimità
del soma, detti dendriti, e un unico prolungamento in uscita, detto assone, la
cui parte finale forma una terminazione nervosa che si ramifica e trasmette il
segnale in uscita verso varie cellule bersaglio (da non dimenticare che negli
assoni sono poi compresenti due sistemi di comunicazione che agiscono in modo
autonomo, se pure contemporaneamente, quello che dà origine ai potenziali
d’azione e alla trasmissione dell’informazione, v. infra, e quello del trasporto assonale che funziona come un vero o
proprio sistema circolatorio, questo perché l’assone trasporta e trasferisce, a
vari livelli di velocità, un carico, o cargo, di sostanze di varia natura; un
tipo di materiale trasportato è quello che si muove solo dal soma alla
periferia, in senso centripeto, e che viaggia alla velocità di 0,2-2 mm/die, e questo è il materiale basale,
cioè l’insieme delle sostanze che permettono il rinnovo del materiale
costitutivo dell’intera rete neuritica; l’altro tipo di materiale trasportato,
che viaggia a una velocità che da 200 mm può arrivare a 400 mm/die, è invece costituito da fattori
trofici per i neuroni, da enzimi per la sintesi dei trasmettitori impiegati
alle sinapsi, da sostanze legate alle funzioni neurosecretorie (v. infra), da molecole inviate dalla
periferia da altre cellule e di cui i neuroni necessitano e altro ancora, v. infra); come dire che il neurone, di là
dalle sue funzioni, è un insieme di tre parti costituenti ch’è poi ricoperto da
una membrana che isola la cellula nervosa dall’ambiente esterno, il tutto in un
ordine di grandezza che va da 4 a 100 µm (micron,
v. supra); un assone, detto
presinaptico, può entrare in contatto con una cellula non nervosa, per esempio,
muscolare, nel qual caso il neurone, tramite i suoi neurotrasmettitori,
determina la contrazione della cellula muscolare; oppure può entrare in
contatto con il soma di un altro neurone, detto postsinaptico, che può essere
anche molto vicino o fibroso e molto distante (la lunghezza dell’assone va da 1
mm a 1 m e oltre), oppure entrare in contatto con i suoi dendriti (che sono
corti) come avviene nella maggioranza dei casi; quando l’attività elettrica
(l’impulso nervoso, detto potenziale d’azione o spike, v. infra) condotta
dall’assone presinaptico raggiunge il sito della sinapsi con un altro neurone (vale
a dire la zona del collegamento funzionale fra due cellule nervose, la fessura
sinaptica, v. supra), esso causa la
liberazione delle vescicole sinaptiche (i cerchietti, contenenti una media di 5
000 molecole) contenenti uno o più neurotrasmettitori (v. supra); dopo l’interazione con gli opportuni recettori (qui a forma
di y) proiettati dal neurone postsinaptico nella fessura tra la membrana
presinaptica e quella postsinaptica, il neurotrasmettitore stimola a sua volta
un’attività elettrica nel neurone ricevente, e in questo modo c’è una
comunicazione tra un neurone e l’altro; o, detto meglio, si stimola un’attività
che dipende dalla frequenza del potenziale d’azione nell’assone presinaptico,
dalla quantità di neurotrasmettitore liberato dall’assone presinaptico (ad ogni
sinapsi si liberano tra le 2 000 e le 200 000 molecole per ogni potenziale
d’azione in arrivo) e dallo stato chimico dei recettori, o canali ionici del
sito postsinaptico, che si legano ai trasmettitori e fanno passare gli ioni
carichi fino all’interno della cellula attivando il meccanismo di trasmissione
del potenziale d’azione, essendo poi il potenziale d’azione il potenziale
elettrico della membrana in cui si manifesta in un dato arco temporale
un’inversione della polarità elettrica (che si misura in millivolt, mV), e un neurone produce, in un secondo, fino a un
migliaio di potenziali d’azione, ciò che ne dà la frequenza (da cui dipende poi
la liberazione dei neurotrasmettitori); la figura seguente mostra la
comunicazione semplificata tra i neuroni (il potenziale sinaptico segnalato in
figura è la risposta elettrica del neurone postsinaptico, ciò che indica che il
recettore è stato attivato):
Figura
n. . Fonte: O’Shea, 2012, p. 37.
Infatti,
si deve sapere che, in ogni caso, il tutto parte dalla membrana plasmatica,
semimpermeabile, della cellula nervosa ch’è estremamente sottile (all’incirca un
milionesimo di 1 cm, 1x10-6 cm) e che a riposo è polarizzata (-70
mV), ossia manifesta un disequilibrio elettrico (detto potenziale di membrana a
riposo) regolato dalla predominanza degli ioni negativi rispetto agli ioni
positivi al suo interno (nello spazio intracellulare, cioè nel citoplasma) e
degli ioni positivi rispetto agli ioni negativi al suo esterno (nello spazio
extracellulare, ossia nel liquido interstiziale), ioni che producono delle
differenze di potenziale elettrico tra i citati spazi dovuti al fatto che sono
presenti delle limitazioni alla loro mobilità tra l’interno e l’esterno,
mobilità selettiva tarata sulla membrana appunto per limitare
l’ingresso/egresso degli ioni carichi e così potere manifestare a riposo questo
disequilibrio legato al predominio interno degli ioni negativi; ioni che poi,
in presenza d’uno stimolo che supera una data soglia, modificano la
permeabilità della membrana, tanto che degli ioni positivi entrano, attraverso
i sopra citati canali ionici presenti nella membrana, all’interno della
membrana stessa, ciò che comporta una perturbazione del potenziale a riposo,
ossia una variazione di carica elettrica dovuta all’immissione dei citati ioni
positivi che prima annulla la differenza di cariche tra l’interno e l’esterno
della cellula (cioè la depolarizza) e poi li rende dominanti, cioè inverte la
polarizzazione interna che da negativa diventa positiva (per esempio, da -70mV
a +50 mV, con un’escursione elettrica di 120 mV (il che vuol dire, tenendo
conto del detto spessore della membrana, che è presente un voltaggio di 120 000
V/cm, 120/1 000 V x 1/1 000 000 cm =120 000 V/cm), generando così un impulso
elettrico che stimola, partendo dalla zona d’innesco (detto cono d’emergenza,
ch’è il punto in cui l’assone si dirama dal corpo cellulare), le parti
successive dell’assone, cioè la propagazione del potenziale d’azione (onda di
depolarizzazione) lungo tutto l’assone fino al terminale sinaptico; questo
potenziale d’azione dura per poco più d’un millisecondo (in media, 1,5 ms, pari
a 0,0015 s), salvo subito ricomportare un’uscita di ioni positivi e un ritorno
alla predominanza interna degli ioni negativi (cioè una ripolarizzazione), vale
a dire il ritorno allo stato di potenziale di riposo della membrana (-70 mV); la
figura seguente illustra le diverse fasi del potenziale d’azione, da uno stato
di riposo all’altro nel corso del tempo (A, fase di riposo; B, fase di
depolarizzazione; C, fase di ripolarizzazione; D, fase di sottoelongazione e A,
fase di riposo, là dove la sottoelongazione è una seconda fase transitoria che
segue il picco prima del ritorno alla fase di riposo e dove il picco è misurato
in millivolt):
Figura
n. . Fonte (modificata): O’Shea, 2012,
p. 42.
Si
ricorda che i canali ionici sono voltaggiodipendenti (cioè sensibili al
voltaggio della membrana, ciò che fa sì che possano variare la loro
permeabilità in base alla differenza di potenziale esistente tra la superficie
interna/esterna della membrana cellulare di cui fanno parte) e che, nello
specifico, sono delle proteine quelle che formano delle aperture nella
membrana, aperture che, contenendo dei sensori che rivelano i cambiamenti di
voltaggio, aprono e chiudono dei cancelli (le parti mobili della proteina) presenti
tanto all’interno quanto all’esterno della membrana come risposta a questi
cambiamenti; la figura seguente mostra la sequenza della trasmissione
dell’impulso nervoso (che è veloce e può arrivare a ca. 120 m/s) attraverso la
membrana dell’assone e dove gli ioni (ossia gli atomi provvisti di carica, v. supra) che passano nei canali sono, in
ingresso dall’esterno, il sodio (Na+) e in uscita dall’interno il
potassio (K+), ioni positivi (cationi) che derivano dal cloruro di
sodio (NaCl) e dal cloruro di potassio (KCl) e che sono disciolti nel liquido
salino che circonda tutte le nostre cellule; e visto che la concentrazione
degli ioni Na+ è superiore di 10 volte all’esterno del neurone,
all’incirca la situazione degli ioni K+ all’interno del neurone
(all’interno gli ioni Na+ sono 10 volte inferiori a quelli K+,
che sono 10 volte superiori), una pompa di natura enzimatica situata nella
membrana del neurone mantiene i due ioni positivi a concentrazioni differenti
(l’enzima coinvolto è detto ATPasi perché scinde una molecola di ATP, l’adenosina
trifosfato, v. supra, generando
l’energia necessaria per pompare Na+ fuori dal neurone), e questo
gradiente di concentrazione, il sopra detto potenziale di membrana, equivale a
un campo elettrico dell’ordine di 70-100 000 V/cm (dato che lo spessore in cui
esiste è di 70-100 Å) che impedisce il passaggio transmembrana e mantiene
sostanzialmente chiusi i canali ionici; lo scambio di ioni è poi regolato dai
detti canali ionici, voltaggiodipendenti, i cui cancelli si aprono e si
chiudono in sequenza ordinata permettendo le differenze di polarità sopra
citate; infatti, il canale del sodio presenta due cancelli, uno d’attivazione (canale
m, in figura) , e l’altro
d’inattivazione (canale h, in figura)
e, mentre nello stato di potenziale di membrana a riposo il primo è chiuso e
l’altro è aperto (fase A, stato di riposo), quando anche il cancello
d’attivazione (m) è aperto, lo ione
Na+ entra nel neurone grazie alla differenza di gradiente di
concentrazione, ciò che modifica la polarità presente all’interno del neurone
(fase B, depolarizzante), mentre quando il canale del potassio, che presenta un
unico cancello d’attivazione (n), è completamente
aperto (e il cancello d’inattivazione h si
chiude), s’attiva, sempre grazie alla differenza di gradiente di
concentrazione, l’uscita dello ione K+, il che riporta l’interno del
neurone alla polarità iniziale (C, fase depolarizzante, seguita da D, fase di
sottoelongazione), cioè allo stato di potenziale di membrana a riposo (fase A,
stato di riposo); si ripete che gli ioni passano, sempre in senso
perpendicolare alla direzione dell’impulso, attraverso i canali ionici dedicati
in entrata e in uscita e con una sequenza d’apertura/chiusura dei detti cancelli
ionici della membrana cellulare che si sviluppa in serie se il numero di
cancelli di sodio aperti è sufficiente, ciò che fa entrare il meccanismo in un
circolo di retroazione positiva che
porta al picco del potenziale d’azione, a cui è poi pari l’impulso creato dalla
depolarizzazione che dalla zona d’innesco via via s’origina e si sposta in
posizioni successive lungo la membrana dell’assone fino a che ritorna al suo
stato di riposo a causa della chiusura ritardata dei cancelli d’inattivazione del
sodio e dell’apertura ritardata di quelli del potassio:
Figura
n. . Fonte (modificata): O’Shea, 2012,
p. 42.
La
figura seguente mostra invece più in dettaglio come un potenziale d’azione è
convertito in un segnale molecolare a livello della sinapsi tramite il rilascio
di neurotrasmettitori dalle vescicole sinaptiche; il potenziale d’azione
(rappresentato da una freccia), infatti, provoca una depolarizzazione della
membrana presinaptica (grazie all’aumento in entrata degli ioni calcio, Ca++),
ciò che fa sì che si manifesti la fusione tra la membrana presinaptica e le vescicole
contenenti il neurotrasmettitore (detta esocitosi vescicolare, dove la quantità
di neurotrasmettitori ceduti allo spazio esterno dipende poi dalla
concentrazione di calcio entrata a seguito del potenziale d’azione), cioè
rendendone possibile il rilascio che, riversato nella fessura sinaptica, si
lega ai recettori chemiodipendenti dei canali ionici postsinaptici (cerchi
aperti nella figura in basso) causando così la loro apertura/chiusura nella
membrana postsinaptica (e si noti che mentre nell’assone i canali sono
voltaggiodipendenti, qui non è uno stimolo elettrico ad aprire i canali, ma lo
stimolo chimico del neurotrasmettitore), ossia provocando una sua
depolarizzazione, ciò che permette il passaggio del potenziale d’azione,
dell’impulso nervoso, in un’eventuale catena di neuroni in quanto potenzia la
trasmissione dell’impulso lungo la catena abbassando il valore del potenziale
di riposo della membrana postsinaptica (cioè abbassando la soglia a un valore
negativo inferiore a -70 mV, per esempio, - 50 mV); nel caso, invece, la
membrana postsinaptica fosse resa iperpolarizzata dal neurotrasmettitore, cioè
ne fosse alzato il valore del suo potenziale di riposo (alzando la soglia di -70
mV a un valore negativo più alto, per esempio, - 90 mV), il potenziale d’azione
ne sarebbe inibito in quanto non potrebbe più propagarsi e si dovrebbe fermare
a livello di questa sinapsi; come dire che il fatto che un impulso sia o no
trasmesso deriva dalla contabilizzazione di tutti i potenziali eccitatori e
inibitori che influenzano il neurone presinaptico, e che solo se si presenta il
raggiungimento della soglia critica (in aree particolari del neurone che
assumono il nome di zone d’innesco) si genera il potenziale sinaptico che fa sì
che il neurone postsinaptico scarichi il potenziale d’azione (e maggiore è
l’eccitazione, più alta sarà la frequenza della serie d’impulsi, cioè il numero
d’impulsi per secondo; la figura seguente mostra il superamento della soglia
critica e la scarica del potenziale d’azione (in figura, le sinapsi sui
dendriti d’un neurone presentano un bottone sinaptico bianco e sono
eccitatorie; la prima freccia indica la direzione del potenziale d’azione verso
il soma, dove sono però presenti sinapsi con bottone nero di tipo inibitorio;
il proseguire della freccia oltre il soma verso le diramazioni assoniche indica
che la valutazione sommatoria delle sinapsi eccitatorie/inibenti ha superato la
soglia critica e che pertanto il potenziale d’azione, freccia a destra e a
sinistra e bottoni sinaptici bianchi, può scaricarsi su altri neuroni):
Figura
n. . Fonte: Calissano, 1992, p. 35.
e
poiché i potenziali d’azione presentano un’ampiezza e un’intensità invariabili,
è proprio la variazione di frequenza dei picchi nervosi (nerve spikes) che fa la
differenza nella trasmissione sinaptica, e questa si può presentare per
sommazione temporale e per sommazione spaziale, nel qual ultimo caso si
possono, per esempio, creare dei circuiti locali fra neuroni fra loro vicini
che possono discriminare o potenziare delle informazioni); di fatto, dunque, i
segnali elettrici che arrivano ai dendriti d’un neurone da altri neuroni a
migliaia e migliaia, possono essere di natura eccitatoria o inibitoria, e sono
segnali che, integrati dal neurone, infine possono o scaricare o inibire la
scarica del potenziale d’azione che s’è propagato lungo l’assone fino alle sue
terminazioni nervose, e il neurotrasmettitore facilita quello ch’è il passaggio
del potenziale d’azione, o aiuta a impedirlo (per esempio, dei 50 e passa
neurotrasmettitori sintetizzati dai neuroni, il glutamato ha una funzione
eccitatoria, mentre la glicina e l’acido γ-aminobutirrico, o Gamma-AminoButyric Acid, GABA,
presentano un’azione inibitoria, altri, quali la dopamina e la noradrenalina
possono, secondo il tipo di recettore cui si legano (v. infra), manifestare azione eccitatoria o inibitoria, e normalmente
un neurone utilizza un solo tipo di neurotrasmettitore e, meno frequentemente, un
massimo di 2 o 3; ancora, è doveroso ricordare che il numero reale dei
neurotrasmettitori utilizzati dai neuroni è a tutt’oggi sottostimato, v. infra); neurotrasmettitore che, dopo il
suo rilascio, può subire il destino di essere reincamerato dal neurone che l’ha
prodotto per essere riciclato, questo per il tramite d’un processo denominato
ricaptazione (reuptake) in cui, al
posto dell’esocitosi, si presentano dei trasportatori proteici localizzati
nella membrana presinaptica che, oltre a rimuovere con un meccanismo di
ricattura le molecole di neurotrasmettitore dalla fessura sinaptica, le riciclano,
ossia ne permettono l’immagazzinamento vescicolare per un riuso successivo,
meccanismo ch’è però più lento del processo che sarà citato a seguire, anche se
presenta il vantaggio di non dovere risintetizzare il neurotrasmettitore; oltre
a questo meccanismo di ricaptazione esiste, infatti, anche quello della
disattivazione enzimatica, là dove il neurotrasmettitore è subito demolito con
una reazione di scissione da parte d’appositi enzimi situati nella parte
postsinaptica della giunzione (per esempio, l’acetilcolina (abbreviato in ACh) ch’è
scissa dall’enzima colinesterasi specifico, o acetilcolinesterasi, AChE, in
20-30 000 molecole per ogni secondo), questo al fine di liberare il recettore
per renderlo disponibile a un nuovo ciclo d’apertura dei canali ionici; si
ricorda che il tempo che interviene tra la liberazione del neurotrasmettitore,
il successivo legame al recettore e il cambio di permeabilità della membrana è
dell’ordine di qualche millisecondo e una fessura sinaptica può condurre molte
centinaia di potenziali d’azione al secondo (in figura sono segnalati i
mitocondri, il cui ruolo è di produrre l’energia di cui abbisogna il soma, il
bottone sinaptico, che altro non è che la parte terminare dell’assone, lo
spazio della fessura sinaptica in nanometri, 200 nm; infine, è segnalata la
spina dendritica, lunga ca. 700 μm, cioè un’estensione del dendrite che riceve
l’eventuale sinapsi):
Figura
n. .
Fonte: Robert, 1984, p. 232.
Ancora,
in molti tipi di neuroni, le due membrane della giunzione sinaptica (quella terminale
presinaptica e quella terminale postsinaptica) oltre che a regolare il flusso
del potenziale d’azione (con azioni di rinforzo o inibizione), in molti tipi di
neuroni queste possono anche memorizzarlo per un dato periodo di tempo (questo
al fine d’una riattivazione degli schemi dell’attività neurale, per esempio,
nel sonno), cioè registrarne la tipologia e l’intensità, ciò che ci informa del
fatto cruciale che la memoria, il comportamento e la plasticità nervosa trovano
la loro prima spiegazione nei ruoli di regolazione/registrazione assunti dalla
giunzione sinaptica (v. infra); da ricordare anche che la conduzione
dell’impulso può essere continua nelle fibre amieliniche (detta conduzione
puntiforme, laddove il flusso di ioni genera una corrente locale che depolarizza
la zona adiacente della membrana) e discontinua nelle fibre mielinizzate dove
si presenta a salti, cioè dove investe solo le zone prive di rivestimento
mielinico intervallati tra una guaina mielinica e l’altra (v. supra), quelli che si definiscono come
nodi di Ranvier, nodi dove si localizzano i canali ionici sensibili al
voltaggio; è, infatti, da ricordare che la mielina e molto più ricca di lipidi complessi
(ca. il 70-80%, più il 20-30% di proteine) rispetto alle normali membrane
cellulari, ciò che esclude la presenza d’acqua, cioè la possibilità di potere
essere attraversata da ioni Na+ e K+ (v. supra), ciò che la rende un perfetto
isolante che facilita il salto da un nodo di Ranvier all’altro e che, come
visto, accelera la rapidità di trasmissione dell’impulso nervoso, tanto che qui
la conduzione è detta saltatoria (a proposito della rapidità di trasmissione, è
da ricordare che gli assoni sono per natura conduttori lenti e che per
migliorarne la conduzione bisognerebbe o aumentare la conduttività elettrica
aumentando in pari tempo il diametro degli assoni o isolando a tratti la
membrana assonica; nel primo caso ciò porterebbe ad assoni giganti in quanto, per
esempio, per raddoppiare la velocità sarebbe necessario quadruplicare il diametro, essendo la velocità di conduzione
proporzionale alla radice quadrata del diametro, ciò che porterebbe sì a una
velocità più elevata ma, dato lo spazio occupato da parte della corteccia
cerebrale, alla presenza d’un numero di neuroni decisamente inferiore, motivo
per cui la pressione della selezione ha optato, nello sviluppo dei cervelli ad
alte prestazioni, a una miniaturizzazione dei neuroni e all’aumento del loro
numero, cioè all’aumento della velocità di conduzione per il tramite
dell’isolamento degli assoni con la mielina tra un nodo di Ranvier e l’altro,
all’incirca dopo 1 mm e prima d’un altro mm, ossia mielinizzandoli, tanto che
l’impulso nervoso salta da un nodo all’altro con un notevole aumento della
velocità di conduzione, essendo poi il ritardo prodotto dalla guaina isolante
nel complesso irrisorio); la figura seguente mostra un neurone con assone
mielinizzato:
Figura
n. . Fonte: Costandi, 2014, p. 17.
La
sinapsi poi, oltre che chimica come quella appena descritta, può essere
elettrica, e
questa si ha quando il segnale elettrico d’un neurone raggiunge un altro
neurone direttamente per il tramite di pori proteici che perforano le membrane
d’entrambi in zone preposte (e non indirettamente con la mediazione del
neurotrasmettitore), segnale ch’è trasmesso sì molto rapidamente, solo che
l’informazione trasferita è esclusivamente eccitatoria e non modulabile e che,
in questo caso, la conduzione può essere anterògrada (indirizzata in avanti) e
retrograda (indirizzata all’indietro), cioè bidirezionale, e non solo anterograda
e monodirezionale (dal neurone presinaptico a quello postsinaptico) come nella
sinapsi chimica, e queste sinapsi elettriche, le più antiche, dal punto di
vista filogenetico e più abbondanti nel sistema nervoso degli invertebrati (a
differenza di quelle chimiche, predominanti nei mammiferi), sono presenti nei
circuiti neuronali necessari all’attivazione di risposte immediate (per
esempio, nel comportamento di fuga, dato che questo comportamento, in una
specie, è dettato grossomodo da una distanza prefissata, v. infra, e non richiede una complessa
elaborazione dell’informazione); le sinapsi, come visto, possono poi essere
presenti in un numero elevato sulla membrana (fatto salvo che una sinapsi
presente in un neurone gli permette di comunicare solo con un altro neurone, vicino
o lontano che sia non importa, e che un neurone può ricevere segnali da migliaia
d’altri neuroni attraverso le migliaia di sinapsi presenti sulla sua superficie,
tanto che s’arriva valutando il tutto a un totale complessivo di sinapsi nel
cervello di Homo sapiens ch’è stato
valutato dell’ordine di 1014) ed è da precisare che la forma più
semplice di trasmissione sinaptica coinvolge un canale ionico ligando-dipendente (dove il ligando, qui, è un neurotrasmettitore; in
inglese è detto Ligand-gated ion channel,
LGIC e in italiano recettore ionotropo) che si apre legandosi a un
neurotrasmettitore, forma semplice perché questa classe di recettori transmembrana
media un accoppiamento diretto e veloce tra il legamento del neurotrasmettitore
e la generazione d’un rapido segnale elettrico nel neurone postsinaptico, cioè
provoca un mutamento nella configurazione del recettore che genera
un’alterazione nella permeabilità di ioni quali il sodio, il potassio, il cloro
o il calcio, ciò che, a sua volta facilita o arresta, nell’arco di pochi
millisecondi, il passaggio del potenziale d’azione generando una
depolarizzazione o una iperpolarizzazione della membrana (v. supra), mutamento di permeabilità che
così come rapidamente è comparso, rapidamente s’attenua e scompare facendo
ritornare la membrana alla configurazione precedente la comparsa del ligando; per esempio, il già citato GABA
provoca nel recettore ionotropo un aumento della permeabilità per l’anione
cloro (lo ione negativo Cl-, v. supra),
ciò che provoca un’iperpolarizzazione della membrana che innalzando il valore
del suo potenziale di riposo inibisce la propagazione del potenziale d’azione;
la figura seguente mostra un recettore ingrandito di ca. 700 000 volte (si
ricorda che i recettori hanno il ruolo di trasdurre il segnale dall’esterno all’interno
del neurone, questo perché i neurotrasmettitori che attivano questi recettori
sono sostanze idrofile, cioè sostanze che con difficoltà possono passare
attraverso la membrana cellulare; ancora, visto che la meccanica che permette
la trasduzione del segnale varia da recettore a recettore, la variabilità delle
risposte cellulari ai neurotrasmettitori è da intendersi non come una diretta
conseguenza delle proprietà chimiche del neurotrasmettitore stesso, ma come
specificità della risposta cellulare d’un recettore alle varie tipologie dei
neurotrasmettitori):
Figura
n. . Fonte: Calissano, 1992, p. 28.
Esiste
però anche un’altra classe di recettori transmembrana, detti metabotropi (così
detti in quanto la loro attivazione richiede una spesa energetica da parte del
neurone), dove l’insieme però non si presenta così semplice, diretto e veloce come
per il recettore ionotropo, così come l’effetto non s’attenua e scompare
altrettanto rapidamente, e questi recettori possono modificare la trasmissione
del messaggio attivando un meccanismo indiretto con i canali ionici; infatti,
questi canali s’attivano solo quando, a seguito d’un legame mediato tra il
recettore e il neurotrasmettitore, s’è già presentata una cascata di reazioni
intracellulari (una complessa catena di reazioni biochimiche o metaboliche) nel
neurone postsinaptico, cascata che causa poi l’aumento di molecole segnale
all’interno del neurone postsinaptico stesso che producono un’alterazione, per
un periodo di tempo più o meno breve, della conformazione o dislocazione del
recettore stesso; questa classe di molecole segnale sintetizzata dalla cascata è
poi detta anche dei secondi messaggeri (là dove i primi messaggeri sono i
neurotrasmettitori che trasmettono l’informazione nei recettori ionotropi, e
senza escludere che uno stesso neurotrasmettitore possa legarsi a entrambi i
recettori, cioè dare avvio e a una trasmissione veloce come primo messaggero e
a un’altra lenta come secondo messaggero); il numero totale di secondi
messaggeri endocellulari, cioè che operano all’interno della cellula
postsinaptica, è però limitato (il più impiegato dai neuroni è l’adenosinmonofosfato
ciclico, o AMP ciclico, abbreviato in AMPc, oppure c-AMP), e il loro ruolo, una
volta avvenuta che sia la serie di reazioni a catena da loro promossa, è quello
d’amplificare il segnale iniziale (e, in certi casi, quest’amplificazione è di
molti milioni di volte), tanto che un meccanismo relativamente semplice è così in
grado di regolare un’estrema varietà di risposte cellulari che danno inizio a
cambiamenti a lungo termine nello schema (o pattern)
d’espressione dei geni e della sintesi proteica, cambiamenti che possono, a
loro volta, causare delle modificazioni nella robustezza della sinapsi e delle
modificazioni stabili delle strutture neuronali (ed è pertanto ragionevole partire
da questa seconda classe di recettori per indagare e per individuare il
meccanismo che porta alla modificazione delle strutture neuronali ch’è
concomitante con il processo d’apprendimento e di formazione della memoria nel
cervello, v. infra); e si ritrovano
legati ai recettori metabotropi i neuropeptidi, una classe di sostanze chimiche
capace di condizionare la trasmissione dell’impulso nervoso in quanto, agendo
su substrati neurali, può sincronizzarne e modularne i molteplici impulsi
presenti in vista di funzioni più complesse (e, a questo proposito, si parla di
neuromodulazione) e può, infine, in quanto sostanza liberata direttamente a
contatto con la parete dei capillari, entrare nel circolo sanguigno e
comportarsi come un ormone, come capita a molti neuroni liberati
dall’ipotalamo, ch’esercitano la loro azione su ghiandole endocrine, come
l’ipofisi, o sono appunto riversarti nell’emolinfa (e si parla di neuromodulazione
ormonale), nel qual ultimo caso può esercitare i suoi effetti sui bersagli
periferici che sono distanti, tanto nel Sistema nervoso centrale (SNC) quanto
in quello periferico (SNP), e questa classe dei neuropeptidi è data da macromolecole costituite
da una breve catena d’aminoacidi (quali endorfine, encefaline, vasopressina e
altre ancora, v. infra) che, come i
neurotrasmettitori, possono essere sintetizzati dai neuroni e contenuti, prima
del loro sversamento, o esocitosi, in un’apposita vescicola, più grande di
quelle sinaptiche, senza però essere ricaptati come i neurotrasmettitori dal
neurone che li ha prodotti (per inciso, le vescicole sinaptiche hanno un ordine
di grandezza di 40-60 nm, quelle che contengono i neuropeptidi vanno da 90 a 250
nm) e, sversati nello spazio intersinaptico, essi si legano a recettori
specifici che trasducono il loro segnale con le stesse modalità d’un
neurotrasmettitore, diciamo così, normale; la figura seguente mostra tre tipi
di sinapsi, A, B, C; in A un unico tipo di neurotrasmettitore, prodotto dalla
parte presinaptica (segnalato come insieme di quadrati in figura), si lega a
un’unica tipologia di recettori (segnalata come insieme di quadrati non
conclusi) che sono situati nella porzione postsinaptica (sono indicati da una
freccia diritta); in B lo stesso neurotrasmettitore attiva sulla membrana
postsinaptica gli stessi recettori precedenti, ma, oltre a questi, attiva anche
dei recettori presenti nella membrana presinaptica (sono indicati da una
freccia curva e arrivano sempre a un quadrato non concluso); in C vi sono due
tipi di neurotrasmettitori, quelli citati in precedenza (i quadrati), cui si
aggiungono anche dei neuropeptidi (segnalati come insieme di cerchi in figura),
e qui i neurotrasmettitori si comportano gli uni come quelli citati in B
(quadrati e quadrati non conclusi) e gli altri, i neuropeptidi (cerchi), che si
legano e al recettore postsinaptico (freccia diritta verso un cerchio non
concluso) e al recettore presinaptico (freccia curva verso un cerchio non
concluso) e in questo caso, in quanto liberati contemporaneamente da un unico
potenziale d’azione, i neuropeptidi (cerchi) fungono da modulatori dell’azione
d’un altro neurotrasmettitore (quadrati), nel senso che lo possono amplificare
o inibire nei suoi effetti:
Figura
n. . Fonte: Calissano, 1992, p. 82.
Una
differenza tra neurotrasmettitori e neuropeptidi è poi data dalla velocità di
trasmissione, che è molto veloce per i neurotrasmettitori (specie se l’assone è
mielinizzato), dell’ordine dei millisecondi, ma generalmente lenta per i
neuropeptidi, dell’ordine di secondi, minuti, ore o giorni, in quanto questi
sono coinvolti in assoni che devono liberarli in cellule bersaglio che
richiedono lunghi percorsi dal luogo di produzione della loro sintesi (il corpo
cellulare) e che, oltre a questo, implicano una serie di processi fisiologici complessi
quali il consumo alimentare, la percezione del dolore (o nocicezione), i
comportamenti sociali, il controllo dello stress,
l’apprendimento, la memoria e altro ancora e anche s’è vero che esercitano però,
con la loro lentezza, degli effetti più prolungati, diversificati ed efficaci
dei neurotrasmettitori veloci; i neuropeptidi, ancora, sono tutti sintetizzati
sotto forma di precursori di maggior peso molecolare (o poliproteine) che,
prima di essere racchiusi nelle citate vescicole, sono scissi da appositi
enzimi che presentano poi il peptide in numerose copie uguali o simili, oppure
può capitare che da un singolo precursore possano anche derivare numerosi peptidi
dotati ognuno di diversificate proprietà biologiche; resta dunque che le fibre
nervose, in quanto attraversate da questa duplice modalità comunicativa ch’è
tanto veloce e diretta quanto lenta e capace di modulazione, riescono a
facilitare l’interazione del cervello con il corpo permettendo all’insieme una
notevole plasticità (v. infra), e
senza dimenticare, infine,
che alcuni neuroni possono trasmettere l’informazione anche senza sinapsi,
questo per il tramite dell’autonoma produzione d’una sostanza gassosa, quale il
monossido d’azoto (NO), che, grazie al fatto ch’è liposolubile, si diffonde
nelle membrane delle cellule circostanti immediatamente dopo essere stato
prodotto, dunque senza coinvolgere un suo stoccaggio in vescicole sinaptiche o
la presenza d’esocitosi e di recettori di membrana; in seguito, là dove arriva
(cellule bersaglio), il citato monossido altera il metabolismo cellulare attivando
un enzima per la produzione d’un secondo messaggero, il guanosilmonofosfato
ciclico (c-GMP) e si sospetta che questa sostanza gassosa con il suo secondo
messaggero sia coinvolta nell’apprendimento e nel consolidamento della memoria;
la tabella seguente cerca di riassumere e semplificare quanto detto fino ad
ora:
TRATTI DISTINTIVI
|
CARATTERISTICHE DI MASSIMA
|
POTENZIALE
D’AZIONE PRESINAPTICO
|
UNA
CORRENTE ELETTRICA, GENERATA DAL CORPO D’UN NEURONE, SI PROPAGA LUNGO
L’ASSONE E LE SUE DIRAMAZIONI FINO A RAGGIUNGERE LA FESSURA SINAPTICA CHE
METTE IN CONTATTO LA MEMBRANA PRESINAPTICA CON LA MEMBRANA POSTSINAPTICA D’UN
ALTRO NEURONE
|
DESTINO
DEL NEUROTRASMETTITORE
|
LA
CORRENTE ELETTRICA PROVOCA NELLA FESSURA SINAPTICA LA LIBERAZIONE D’UN
MEDIATORE CHIMICO CHE, DOPO ESSERSI DIFFUSO NELLA FESSURA SINAPTICA, DEVE
ESSERE DISATTIVATO ENZIMATICAMENTE O RICAPTATO DALLA MEMBRANA PRESINAPTICA
|
DESTINO
DEL POTENZIALE D’AZIONE POSTSINAPTICO
|
IL
MEDIATORE CHIMICO SI DIFFONDE NELLA FESSURA SINAPTICA E LEGANDOSI AI
RECETTORI DELLA MEMBRANA POSTSINAPTICA INDUCE UN CAMBIAMENTO NELLA SUA
PERMEABILITÀ O NEL SUO METABOLISMO CHE SI TRADUCE IN DUE POSSIBILITÀ
OPERATIVE
|
RIGENERAZIONE
DELLA CORRENTE ELETTRICA
|
LA
CORRENTE ELETTRICA RIPRENDE IL SUO VIAGGIO LUNGO UN PERCORSO CHE COINVOLGE
ALTRI NEURONI ATTRAVERSO SINAPSI DOVE I RECETTORI SI DEPOLARIZZANO FINO A CHE
UN RECETTORE POSTSINAPTICO NON ARRESTA LA SUA TRASMISSIONE
|
ARRESTO
DELLA CORRENTE ELETTRICA
|
LA
CORRENTE ELETTRICA STIMOLA UN TIPO DI RECETTORE CHE INVECE DI DEPOLARIZZARE
LA MEMBRANA POSTSINAPTICA NE PROVOCA UN’IPERPOLARIZZAZIONE CHE ARRESTA IL
PERCORSO DELLA CORRENTE ELETTRICA
|
Tabella
n. . Fonte: Calissano, 1992, p. 57.
Si
ritiene inoltre utile il riportare in una tabella tipologia e sintesi delle
proprietà di alcuni neurotrasmettitori:
Tipologia
[1]
|
Denominazione,
localizzazione, effetti (generalità)
|
Caratteristiche
di massima
|
Neurotrasmettitori
del 1° tipo
|
GABA
[2]
È
un aminoacido diffuso nel cervello (tra cui i nuclei della base, l’ipotalamo,
il cervelletto e l’ippocampo) e nel midollo spinale, la sua azione consiste
nell’inibire la propagazione dei potenziali d’azione, cioè nel regolare
l’azione eccitatoria dei neuroni; è ritenuto il più importante
neurotrasmettitore inibitorio del SNC (è implicato in ca. il 40% delle
sinapsi) ed è coinvolto nell’attività locomotoria, nei riflessi
cardiovascolari, nella funzione ipofisaria e nella sfera dell'emotività (i
neuroni che impiegano il GABA appartengono al sistema GABAergico)
|
Questi
neurotrasmettitori sono quelli strutturalmente più semplici in quanto sono
costituiti da aminoacidi [3] che non hanno subito sostanziali
modificazioni chimiche; agiscono di solito tramite recettori ionotropi, cioè
inducendo l’apertura di canali ionici nella membrana postsinaptica, ciò che
provoca rapide azioni di tipo eccitatorio o inibitorio e sono quelli più
utilizzati dai neuroni del SNC (cioè quelli più ubiquitari, ca. il 60%) e di
gran lunga più concentrati [4] rispetto agli altri
neurotrasmettitori
|
L-glutamato
È
un aminoacido presente nel SNC (è particolarmente abbondante nei neuroni
piramidali della corteccia e nell’ippocampo) e la sua azione consiste
nell’eccitare la propagazione dei potenziali d’azione, cioè nell’intervenire
sul meccanismo di regolazione della permeabilità della membrana postsinaptica
(e si parla di trasmissione glutamatergica); è importante nei processi
d’apprendimento e di memorizzazione e nella percezione delle sensazioni e del
dolore ed è inoltre responsabile del potenziamento a lungo termine (Long Term Potentiation, LTP), cioè del
rafforzamento relativamente duraturo delle sinapsi, dello loro plasticità (di
qui il suo ruolo nella memoria)
|
Neurotrasmettitori
del 2° tipo
|
Adrenalina
(o epinefrina)
È una
monoamina [5] sintetizzata dai neuroni adrenergici nel midollo allungato
e proietta a vari nuclei ipotalamici e al midollo spinale ed è scaricata in
corrispondenza delle terminazioni nervose della maggior parte delle fibre del
SNS (dette fibre adrenergiche) e delle fibre all’organo effettore; presenta
una funzione eccitatoria, e interviene nell’affettività, regola funzioni
vitali dell’organismo (non controllate dalla volontà, neurovegetative) con
effetto d’eccitamento fisiologico, quali l’aumento della pressione arteriosa,
della frequenza cardiaca, del contenuto di
glucosio nel sangue e altro ancora [6]
|
Comprendono
un gruppo abbastanza esteso di sostanze aminiche [11], dette amine
biogene [12], a molto più bassa concentrazione rispetto ai
neurotrasmettitori del 1° tipo, e sono coinvolte in modo più o meno diretto,
nell’umore, nel comportamento, nei processi cognitivi e altro ancora e,
solitamente, agiscono tramite recettori metabotropi (e, secondo il tipo di
recettore metabotropo cui si legano, possono essere eccitatorie o inibitorie),
con modificazioni più lente e meno marcate nell’instaurarsi, ma più
persistenti; sono poi classificabili come neuromodulatori la noradrenalina,
la dopamina, l’acetilcolina e la serotonina [13]
|
Noradrenalina
(o norepinefrina o levarterenolo)
Situata
nel locus coeruleus del tronco
cerebrale (v. infra), essa proietta
nella corteccia, nell’ipotalamo e nel midollo spinale ed è una monoamina liberata
in corrispondenza delle terminazioni nervose di gran parte delle fibre del
SNS, vasi, cuore, muscolatura liscia gastrointestinale, fegato e tessuto
adiposo; presenta una funzione eccitatoria e interferisce nel livello d’attenzione
e vigilanza, nel controllo dell’emotività, dell’umore, nella dinamica
sonno/veglia, cioè negli stati complessivi d’attivazione e reattività del SNC
quale risposta a stimoli soggettivi o legati all’ambiente e alla vita sociale
(e si parla di livelli d’eccitazione o di arousal
level); ancora, interviene nella coordinazione motoria, nell’assunzione
del cibo e della sete e in varie funzioni dell’ipotalamo (quali temperatura,
riproduzione, pressione sanguigna); rispetto all’adrenalina, meno presente
nel sistema nervoso, presenta una maggiore azione vasocostrittrice [7] ;
entrambe, in ogni caso agiscono come neurormoni rilasciati direttamente nel
sangue dalle cellula della midollare del surrene
|
Dopamina
[8]
È
una monoamina che si presenta in concentrazioni elevate in aree quali la substantia nigra, ipotalamo e bulbo
olfattivo e svolge il ruolo di neurotrasmettitore a livello del SNC; presenta
una funzione eccitatoria ed è implicata nella regolazione dei comportamenti
motori e nei riflessi posturali oltre che nei sistemi della motivazione e
della ricompensa e nelle risposte emotive delle esperienze piacevoli; è un
precursore metabolico della noradrenalina e dell’adrenalina
|
Acetilcolina
(ACh)
È un
estere della colina [9] con funzione eccitatoria presente nel SNP
e nel cervello (talamo e ippocampo), là dove svolge un ruolo essenziale nei
processi cognitivi, nei meccanismi di memorizzazione, nei processi
d’apprendimento e nel meccanismo sonno/veglia (i neuroni che impiegano
l’acetilcolina sono detti colinergici e le sinapsi colinergiche sono presenti
nel 5-10% del sistema nervoso); può manifestare, con determinati tipi di
recettori, una funzione inibitoria
|
Serotonina
(o 5-idrossitriptamina, -5HT)
È
una monoamina, utilizzata per l’1-2% del totale, da un’area cerebrale
ristretta della parte inferiore del tronco dell’encefalo (sistema del rafe [10])
dove proietta
in modo diffuso alla corteccia, al midollo spinale e al cervelletto e presenta
una funzione inibitoria e controlla le fasi di sonno REM bloccando gli
stimoli che sollecitano il risveglio, inoltre è implicata nella percezione
sensoriale, nella modulazione del dolore, nella regolazione dell’umore e
della temperatura, nel controllo dell’appetito e nell’induzione del sonno; la
restante parte della serotonina si trova nelle piastrine del sangue e,
soprattutto, in certe cellule dell’epitelio del tubo gastrointestinale
contenenti nel citoplasma granuli cromaffini (dette enterocromaffini), cellule
di natura endocrina che liberano serotonina nel sistema nervoso intestinale
(v. infra) dove quest’ultima regola
la motilità del tubo digerente (i neuroni che impiegano la serotonina sono
detti serotoninergici)
|
Neuropeptidi
|
Endorfine
[16], encefaline e dinorfine
Sono
sostanze proteiche che presentano un’azione morfinosimile, cioè mostrano sull’organismo
gli effetti della morfina, un alcaloide costituente principale dell’oppio, e
per questo sono detti peptidi oppiacei o oppioidi endogeni (o morfine
endogene); queste sostanze, a livello centrale del sistema nervoso, sono
coinvolte nella gestione della soglia percepita del dolore (funzione analgesica),
mentre a livello periferico intervengono nei processi digestivi (motilità
intestinale e altro ancora, v. infra)
e regolano inoltre, a livello della neuromodulazione, il
comportamento affettivo e l’apprendimento
|
I
neuroni non impiegano soltanto neurotrasmettitori di 1° e 2° tipo
(relativamente semplici), ma utilizzano anche sostanze di natura proteica,
dette neuropeptidi, che sono implicati, nel SNC e nel SNP, in modelli
comportamentali complessi e altamente specifici che modulano l’attività
neuronale; i neuropeptidi, così detti perché sono peptidi [14]
sintetizzati e messi in circolo dai neuroni peptidergici, agiscono poi su
recettori metabotropi e presentano un’azione eccitatoria o inibitoria secondo
il tipo di recettore metabotropo e del tipo di sinapsi implicata; inoltre
agiscono su recettori accoppiati alle proteine G [15]; i
neuropeptidi sintetizzati nel corpo cellulare del neurone peptidergico sono
concentrati in granuli di secrezione che migrano lungo l’assone per poi
depositarsi nelle terminazioni nervose in vescicole (di norma più grandi di
quelle dei neurotrasmettitori di 1° e 2° tipo); ora, mentre i
neurotrasmettitori possono essere ricaptati, questo non è possibile per i citati
granuli che, assolto il loro compito, non possono più essere riutilizzati (e
sono degradati enzimaticamente), tanto che i nuovi granuli devono essere
nuovamente sintetizzati dal neurone e ridiscendere in nuove vescicole; oltre che
a un ruolo di neurotrasmettitori, molti neuropeptidi servono anche come
ormoni (liberati da neuroni peptidergici o da cellule paraneuronali presenti
in tessuti od organi non nervosi, quali l’intestino, il cuore, il pancreas etc., regolati dal SNC o dal SNP che li libera con meccanismi
analoghi a quelli dei neurotrasmettitori di 1° e 2° tipo), e come ormoni sono
poi in grado di regolare le risposte fisiologiche in altre parti
dell’organismo (o neuromodulazione ormonale), tanto che arrivano a costituire
un sistema intermedio (dal punto di vista delle proprietà e delle funzioni)
fra il sistema endocrino e quello ch’utilizza la neurotrasmissione veloce (è
da ripetere, infatti, che la velocità di trasmissione per i
neurotrasmettitori di 1° e 2° tipo, è molto veloce, dell’ordine dei
millisecondi, ma generalmente lenta per i neuropeptidi in quanto si presenta
nell’ordine di secondi, minuti, ore o giorni); si stima, inoltre, che i
neuropeptidi siano più numerosi dei 100 e più tipi fino a oggi individuati
|
Gastrina
e colecistochinina (o Cholecystokinin,
CCK)
Sono
sostanze che possono esercitare un’azione ormonale locale sul sistema gastrointestinale;
la gastrina è un ormone peptidico che stimola la secrezione d’acido
cloridrico (HCl) da parte della mucosa gastrica e regola l’attività ormonale
del pancreas; la colecistochinina è
un enterormone [17] che stimola la contrazione/svuotamento della cistifellea
(o colecisti) favorendo il flusso della bile nel duodeno, la secrezione del
succo pancreatico (enzimi) e la motilità intestinale; inibisce, inoltre, la
produzione di gastrina ed uno dei neuropeptidi più abbondanti nel cervello
|
Somatostatina
È
un ormone peptidico ch’esercita un’azione ormonale sulla produzione di altri
ormoni inibendo la secrezione ipofisaria della somatotropina [18];
presenta anche un effetto inibitorio sulle secrezioni pancreatiche dell’insulina
e del glucagone [19], sulla motilità e l’assorbimento intestinale
e sulla secrezione di colecistochinina, gastrina e VIP (Vasoactive intestinal peptide) [20]
|
ACTH,
FSH, LH, GH, prolattina, ossitocina e vasopressina
Sono
sostanze che agiscono come ormoni ipofisari o come ormoni neuroipofisari;
sono ormoni l’ATCH (Adenocorticotropic hormone),
l’FSH (v. supra), l’LH (v. supra), il GH e la prolattina; sono
neuromodulatori ormonali l’ossitocina e la vasopressina: l’ACTH è l’ormone di
rilascio della corticotropina e ha come bersaglio la corteccia surrenale; l’FSH
e l’LH agiscono sulle gonadi (sono gonadotropine, v. supra) dove stimolando la produzione d’ormoni sessuali e lo
sviluppo dei gameti (maschili e femminili); il GH è un ormone somatotropo e regola
il metabolismo e la crescita (l’ACTH esercita poi un’azione antagonista nei suoi
confronti); la prolattina (o LuteoTropic
Hormone, LTH, v. infra), infine,
esercita la sua azione sulle ghiandola mammarie; l’ossitocina e la
vasopressina sono sintetizzati da neuroni localizzati nell’ipotalamo e
secreti poi nell’ipofisi; l’ossitocina provoca le contrazioni della
muscolatura uterina nell’utero non gravido o dell’utero alla fine della
gravidanza, là dove determina anche la secrezione lattea della ghiandola
mammaria, mentre la vasopressina (ADH, v. supra)
regola il riassorbimento d’acqua a livello dei reni
|
Sostanza
P (Substance P, SP)
Esplica
funzioni di neurotrasmettitore e di neuromodulatore; è presente nel SNC dove
si lega a recettori NK1 (accoppiati a proteine G); presenta inoltre un’azione vasodilatatrice e
nel tratto gastrointestinale stimola la muscolatura liscia e aumenta la
secrezione ghiandolare intestinale, salivare e pancreatica; è anche rilasciato
dai neuroni che trasmettono gli impulsi in entrata dei nocicettori al SNC (i
nocicettori sono dei recettori sensoriali periferici preposti alla percezione
dei vari tipi di dolore) e manifesta un’azione di potenziamento della
percezione del dolore, azione che può essere depotenziata grazie
all’encefalina e all’endorfina che inibiscono il rilascio di sostanza P
|
[1] Si segnalano solo
i più importanti neurotrasmettitori (non sono inoltre segnalati quelli gassosi,
il sopra citato NO, al quale sono da aggiungere il monossido di carbonio, CO,
che può avere effetti neuroprotettivi in caso di varie tipologie di stress, e il solfuro d’idrogeno, H2S).
[2] È il già detto
acido γ-aminobutirrico.
[3] Gli aminoacidi,
come detto, sono dei composti organici che presentano nella molecola un gruppo
carbossilico, -COOH, e un gruppo aminico, -NH2.
[4] Le differenti
concentrazioni dei vari neurotrasmettitori sono un indicatore della capacità di
legarsi ai corrispettivi recettori, e tanto è più elevata questa capacità,
tanto più bassa risulta la concentrazione del neurotrasmettitore.
[5] Contiene
solo gruppo aminico, −NH2 (sulle amine, v. infra).
[6] L’adrenalina è
coinvolta anche nel meccanismo combatti o fuggi (fight or flight), ciò che comporta un dispendo d’energie superiore
alla norma, ragion per cui viene immessa in circolo l’adrenalina della
ghiandola surrenale, mobilitazione energetica che produce uno stato di stress (v. anche infra).
[7] La noradrelina,
dal punto di vista chimico, manifesta l’assenza di un radicale metilico
dall’azoto della catena laterale (per cui, metilata, produce adrenalina) e
presenta effetti biologici grossomodo simili, se pure di minore effetto, rispetto
a quelli dell’adrenalina.
[8] Adrenalina,
noradrenalina e dopamina, assieme ad altri neurotrasmettitori, fanno parte del
gruppo delle catecolamine (sostanze simili per struttura poiché derivano dallo
stesso precursore, l’aminoacido tirosina), e sono secrete dall’1-2 % delle
sinapsi cerebrali; da ricordare che le catecolamine non agiscono solo nella
fessura sinaptica, ma si diffondono nel liquido extracellulare e penetrano
anche nei capillari sanguiferi, dunque nella massa ematica, pertanto la loro
azione è di tipo ormonale (sono neurormoni) e si manifesta, oltre che nel
metabolismo glucidico e lipidico, con l’accelerazione del ritmo cardiaco, con
l’ipertensione arteriosa e con l’inibizione della peristalsi intestinale.
[9] L’acetilcolina è
una molecola derivata dall’esterificazione della colina con l’acido acetico (CH3COOH),
in seguito all’azione modificatrice di un enzima detto esterasi; la colina, un
composto organico, è poi ritenuto un nutriente essenziale dell’organismo; da
ricordare che l’acetilcolina presenta due recettori, quelli nicotinici (così
detti perché la nicotina agisce
sullo stesso recettore del neurotrasmettitore acetilcolina), presenti nel SNP e
nelle fibre che inviano impulsi alla muscolatura scheletrica, che sono
ionotropi e eccitatori, e quelli muscarinici (così detti perché legano la
muscarina, un alcaloide dotato di azioni colinergiche presente nel fungo
velenoso Amanita muscaria), presenti nel
cervello, dove la loro azione metabotropa permette d’attivare secondi
messaggeri che, a loro volta, modulano numerose vie metaboliche intracellulari.
[10]
Il
sistema del rafe si trova nella parte inferiore del tronco dell’encefalo e costituisce
uno dei centri della formazione reticolare.
[11] Il termine amine è
il nome generico di un composto derivato dall’ammoniaca, NH3, per
sostituzione di uno o più atomi di idrogeno con un numero equivalente di radicali
idrocarburici monovalenti (R), cioè RNH2, R2NH, R3N.
[12] Gli aminoacidi
possono subire una reazione metabolica detta di decarbossilazione (cioè di
rimozione di uno o più gruppi carbossilici da un acido organico, con sviluppo
di diossido di carbonio), reazione fondamentale del metabolismo animale (e vegetale)
ch’è catalizzata da enzimi del gruppo aminoacido-decarbossilasi che usano come
coenzima il piridossal-fosfato, ciò che produce amine importanti per la materia
vivente, da cui la denominazione di biogene (generatrici di vita).
[13] È importante ripetere
che gli effetti nei neurotrasmettitori non sono una diretta conseguenza delle
loro proprietà chimiche, bensì che il loro effetto dipende dalla tipologia dei
recettori cui si legano in quanto ogni neurotrasmettitore si lega a più tipi di
recettori, per esempio, oltre al caso della già citata acetilcolina, per il
GABA esistono 2 recettori ionotropici (GABA A e GABA B) e uno metabotropo (GABA
C) presinaptico e postsinaptico; per L-glutamato esistono 3 recettori
ionotropici (NMBA, AMPA, Kainato) e 8 recettori metabotropi (mGluR, da 1
a 8); i recettori dell’adrenalina e della noradrenalina, fra loro
diversi, sono raggruppati in due grandi famiglie α e β che sono sempre
accoppiate a proteine G (v. infra);
per la dopamina esistono 5 recettori (D, da 1 a 5) tutti
accoppiati a proteine G; per la serotonina esistono 7 recettori (-5HT da 1
a 7) e un autorecettore (5-HT1A), alcuni accoppiati a
proteina G e altro ancora.
[14] I peptidi sono
composti organici risultanti dall’unione di due o più aminoacidi formanti una
catena grazie a un legame chimico detto peptidico (o carbamidico; v. supra), legame ch’è rappresentato dai raggruppamenti
−CO−NH− fra un aminoacido e un altro (tra il gruppo α-carbossilico d’un aminoacido
e il gruppo α-aminico d’un altro aminoacido con la perdita d’una molecola d’acqua);
i peptidi sintetizzati dai neuroni sono poi polimeri (v. supra) costituiti da un minimo di 3 a un massimo di 40 aminoacidi e
differiscono dalle proteine per il fatto che queste ultime sono macromolecole
costituite da lunghe catene polipeptidiche non ramificate (v. supra).
[15] I recettori
accoppiati alle proteine G (G-protein–coupled
receptor, GPCR) si trovano nella membrana cellulare e hanno la funzione di
trasmettere all'interno della cellula i segnali provenienti dall’esterno, dall’ambiente
extracellulare, e sono generalmente veicolati da ormoni, neurotrasmettitori, peptidi etc.; le proteine G rappresentano poi
una famiglia di molecole proteiche capace di legare e idrolizzare il nucleotide
guanosintrifosfato (Guanosine
TriPhosphate, GTP), là dove il GTP svolge la funzione di trasmettere dei
segnali all’interno della cellula che o attivano o inibiscono gli enzimi
implicati nella sintesi dei secondi messaggeri (per esempio, il già citato adenosinmonofosfato
ciclico, c-AMP).
[16] Le encefaline sono
e ormoni e neuromediatori, mentre si ritiene che le endorfine possano essere
considerate dei neurotrasmettitori.
[17] Gli enterormoni
sono sostanze ad attività ormonale, di natura peptidica o amminica, prodotte
dallo stomaco, dall’intestino e dal pancreas.
[18] La somatotropina è
poi il c.d. ormone dell’accrescimento, o Growth
Hormone, GH; è segnalato anche come somato-tropic
hormone, STH.
[19] L’insulina è un ormone
secreto dal pancreas che interviene
nel metabolismo dei glucidi e regola la sintesi lipidica; anche il glucagone è
un ormone secreto dal pancreas, ma
presenta un’azione in competizione con l’insulina in quanto è in grado di
determinare un aumento della glicemia.
[20] Il VIP è un polipeptide
appartenente al gruppo degli enterormoni e, oltre che nell’intestino, è individuabile
anche nel cervello (dove si presenta abbondante, al pari della colecistochinina).
Tabella
n. . Fonte: Calissano, 1992, pp. 62-89.
A
questo punto, detto dei neuroni e della loro modalità di comunicazione
(neurotrasmettitori e sinapsi), è necessario introdurre alcune informazioni sul
ruolo delle altre cellule presenti nel cervello, quelle gliali, che
costituiscono l’80% ca. (altri dice 90%) delle cellule presenti nel cervello e
che sopra si sono definite solo in vista del loro supporto ai neuroni; e di
queste, si sono già viste, senza però nominarli, gli oligodendrociti, le
cellule gliali che producono strati concentrici sovrapposti di lipidi e
proteine (cioè mielina) sugli assoni, ma esistono anche altri tipi di cellule
gliali oltre questa, e qui interessano le cellule della glia radiale (Radial Glia, RG), gli astrociti e le
cellule della microglìa; le cellule della glia radiale sono presenti solo
durante le prime fasi dello sviluppo cerebrale e sono determinanti per lo
sviluppo del cervello, infatti, nelle prime fasi dello sviluppo dell’embrione
il sistema nervoso non è altro che un tubo cavo (o tubo neurale, v. supra) che in un’estremità presenta la
formazione del cervello (encefalo) e nell’altra quella del midollo spinale,
cioè quello che sarà il Sistema nervoso centrale (SNC); tubo ch’è attraversato,
nel suo spessore, da fibre di glia radiale (da cellule gliali radiali), fibre
che si dividono vicino alla superficie interna producendo dei neuroni immaturi,
neuroni che risalgono le dette fibre, usate a modo d’impalcatura e di percorso
guidato, strisciando radialmente fino alla superficie esterna dove, in ondate
di migrazioni radiali successive, si producono gli strati della corteccia
cerebrale, prima lo strato più interno, poi, attraverso migrazioni che lo
attraversano, quello più esterno, e via via secondo tempistiche prefissate,
attraversando gli strati precedentemente formati che diventano così interni,
s’arriva al sesto e ultimo strato, esterno, dove termina il processo di
neurogenesi e inizia il processo di differenziamento neuronale o, detto
altrimenti, quando i neuroni raggiungono la loro posizione definitiva nel
cervello, iniziano a proiettare assoni e dendriti che daranno origine, con le
sinapsi, ai circuiti neurali che si trovano nel cervello maturo (riassumendo,
le fasi di sviluppo dei miliardi di neuroni presenti nel feto devono dunque
seguire un processo di differenziamento terminale che prevede nell’ordine, per
ognuno d’essi, l’arresto della propria replicazione, la migrazione nell’area
cerebrale deputata, la crescita dell’assone e dei dendriti, la sintesi dei neurotrasmettitori
e la formazione delle sinapsi; si calcola poi che, in un cervello maturo, siano
presenti, implicati nelle varie reti, un miliardo di triliardi di collegamenti,
e dove un triliardo è mille miliardi di miliardi, 1021); gli
astrociti sono cellule gliali che presentano prolungamenti a disposizione
raggiata, cellule che sono densamente raggruppate attorni ai neuroni del Sistema
nervoso centrale, SNC, neuroni che dagli astrociti sono alimentati (con la
circolazione sanguigna), regolati per controllarne la composizione chimica,
sorreggerne gli assoni verso le loro cellule bersaglio ed eliminare gli
elementi di scarto; ancora, gli astrociti formano fra di loro delle reti dove
queste cellule comunicano, anche su lunghe distanze, per il tramite di segnali
chimici e sempre con questo tipo di segnali comunicano anche con i neuroni
aggiungendo un ulteriore livello di complessità ai meccanismi d’elaborazione
delle informazioni a livello di SNC; gli astrociti contribuiscono inoltre alla
formazione delle sinapsi tanto durante lo sviluppo cerebrale (ne determinano,
del neurone, la localizzazione finale, la forma, la specificazione dei
neurotrasmettitori da produrre, e le cellule bersaglio; e, come detto, normalmente
il neurotrasmettitore da produrre è unico, ma si può arrivare alla presenza di
2 o 3 tipi) quanto nella definizione delle funzioni sinaptiche del cervello già
sviluppato, questo partecipando alla regolazione del flusso dei segnali chimici
tra i neuroni e partecipando come terzo elemento nella sinapsi, fenomeno detto
di sinapsi tripartita (come dire che agli assoni presinaptici e quelli
postsinaptici c’è sempre associata una cellula astrocita); ne consegue che gli
astrociti sono coinvolti nella plasticità sinaptica, cioè nel sistema di
rafforzamento delle connessioni fra neuroni, ossia legati al destino
d’efficienza e di mantenimento in essere delle sinapsi, questo probabilmente in
funzione dei fenomeni d’apprendimento e memoria che determinano le modalità
d’esistenza e funzionamento delle reti neurali; infine, gli astrociti sono
costituenti, assieme all’endotelio dei capillari sanguigni, della barriera
ematoencefalica, cioè di quella barriera che, grazie alle giunzioni strette
delle cellule endoteliali dei capillari, formano una parete pressoché continua (la
barriera è assente solo in prossimità delle ghiandole cerebrali, per esempio l’ipofisi)
per permettere regolazioni endocrine ch’impediscano il passaggio delle molecole
patogene, per esempio, tossine d’origine microbica (virus) o batterica, o d’altre molecole presenti nel sangue, ma che
in pari tempo, grazie ai peduncoli degli astrociti che avvolgono i detti
capillari, esercita un’azione di selezione attiva sulle molecole in arrivo (come
dire che le molecole possono essere rifiutate così come essere trasportate
dagli astrociti); per quanto riguarda la microglia, essa ha nei confronti del
cervello e del midollo spinale una funzione immunitaria e ha anche il ruolo di
ripulire il luogo occupato dai neuroni danneggiati e morenti o morti a seguito
d’una lesione; ma, oltre a questo, essa è in grado di potare nel cervello, per
fagocitosi, le connessioni non più utilizzate (un processo in cui la cellula
microgliale usa la propria membrana cellulare per incorporare e distruggere durante
l’attività di potatura la sinapsi o, durante la fase immunitaria, un microbo),
vale a dire di potare le sinapsi disfunzionali, ciò che ha l’effetto di
rinforzare e le sinapsi non coinvolte e, con le risorse cellulari liberate
dalla potatura (o pruning), di
poterne creare delle nuove (per rimanere in metafora, germogliatura, o sprouting) contribuendo alla plasticità
cerebrale con una possibile riconfigurazione dei circuiti presenti; detto
questo, durante lo sviluppo del Sistema nervoso centrale (SNC) il numero dei
neuroni in Homo sapiens (ma lo stesso
vale per i mammiferi) raggiunge il suo acme di ridondanza nel periodo
prenatale, quando il cervello del feto produce una quantità di neuroni
all’incirca tre volte superiore di quelli che rimarranno (si stima sui 250 000
al minuto), per poi presentare un altro picco di crescita nella corteccia
frontale all’altezza della pubertà, sugli 11-12 anni, mentre in seguito dei
neuroni sono potati nel periodo immediatamente prenatale (ultimi tre mesi) e
postnatale (con una prima potatura all’altezza dei 3 anni e un’altra dopo la
pubertà, nell’adolescenza, all’incirca tra i 18-20 anni), e questi neuroni
prodotti in sovrabbondanza sono poi massicciamente potati dalla sopra citata
microglia; e, sia detto per inciso, sono sovrabbondanti, cioè sottoposti a
selezione, solo quei neuroni che non riescono ad assolvere le loro funzioni nel
tessuto nervoso (all’incirca, la metà dei neuroni presenti), come dire che sono
programmati a morire solo quei neuroni impossibilitati a creare delle sinapsi
funzionali (il che non impedisce, poi, che così come sono potati i neuroni
anche delle sinapsi funzionanti siano potate al fine di riconfigurare, come
detto, i circuiti neuronali in vista e in funzione dell’apprendimento e della
memoria); ora, per ritornare alla potatura sinaptica (synaptic pruning), questa si verifica, come visto, a ondate successive
nel tempo per favorire il detto rimodellamento delle sinapsi e della plasticità
cerebrale nella fase dello sviluppo fisico e dell’adeguamento neurale
all’ambiente (detto altrimenti, ci sono delle finestre temporali entro le quali
si determina, attraverso la potatura delle connessioni non rispondenti allo
scopo, quali delle sinapsi presenti saranno conservate, per esempio, la
potatura delle sinapsi nel lobo occipitale, nelle aree deputate alla vista,
avviene alla fine del primo anno d’età, mentre la potatura delle sinapsi nella
corteccia prefrontale si ha grossomodo verso gli 11-12 anni, quando s’afferma
l’intelligenza di tipo operativo e s’è completato il processo di socializzazione), questo fino a
raggiungere, attraverso il rimodellamento continuo dei circuiti neurali (nuove
sinapsi/nuove potature) un equilibrio più o meno stabile delle popolazioni
neuronali dopo lo sviluppo (dopo i 18-20 anni e fino ai 30 anni), senza che questo
impedisca la plasticità sinaptica e nuovi fenomeni di neurogenesi (come si
sospetta avvenga, per esempio, con i neuroni del bulbo olfattivo e
dell’ippocampo in Homo sapiens che si
formano e si rinnovano nel corso dell’intera esistenza, probabilmente creando
nuovi circuiti sinaptici legati alla plasticità neurale richiesta
dall’apprendimento e dalla memoria), e senza dimenticare, lo si ripete, che il
processo della potatura sinaptica continua anche in età adulta (si ricorda che,
a differenza delle cellule staminali embrionali, totipotenti, v. infra, nel corpo umano adulto resta solo
un esiguo numero di queste cellule, nel citato bulbo olfattivo e nel midollo
osseo, dal quale midollo nascono costantemente cellule del sangue); infatti, è
da ribadire che l’apprendimento e la memoria implicano la plasticità sinaptica,
cioè il rafforzamento e l’indebolimento delle connessioni sinaptiche
all’interno delle reti neuronali, processo che implica anche la potatura delle
sinapsi come fattore d’un corretto funzionamento del cervello, giacché il
cervello, oltre che più neuroni, crea anche più connessioni di quelle di cui ha
bisogno, salvo poi eliminare le sinapsi superflue o errate al fine di
riconfigurare così lo sviluppo dei percorsi neuronali (il picco di un sovrappiù
sinaptico relativamente stabile si ha nella corteccia cerebrale tra i 4 e gli 8
anni, ed è probabilmente utilizzabile per reindirizzare i neuroni verso altre
funzioni, ove fosse necessario; ma si sospetta che picchi di un surplus di connessioni neuronali, poi
sfoltite in vista di un’efficiente funzionamento dei circuiti neuronali, sia un
fenomeno proprio anche all’età adulta); la figura seguente illustra il
meccanismo della potatura in funzione della plasticità sinaptica (cioè
dell’uso), dove in A sono raffigurate le fibre nervose (gli assoni) che
crescono in direzione delle cellule bersaglio (gli assoni sono disegnati come
linee che presentano, al loro termine, un punto più marcato, che rappresenta i
coni di crescita, coni che, raggiunta la cellula bersaglio, segnalata con un
cerchio, creano una sinapsi; sulla cellula bersaglio, v. infra); in B si nota che gli assoni sono in numero superiore a
quello delle cellule bersaglio, ciò che crea una ridondanza di possibili
connessioni; in C si vede che gli assoni che non sono riusciti a creare una
sinapsi funzionale (che dipende dal fattore trofico NGF; v. infra) sono stati potati, come dire che
s’è presentata una selezione fra i neuroni:
Figura
n. . Fonte: Calissano, 1992, p. 176.
E
s’interessa sapere ora quali sono i meccanismi di base che guidano la
formazione dei circuiti nervosi, il tutto parte dal fatto che le cellule
nervose e gli assoni in via di sviluppo sono in grado d’identificare, nella
loro migrazione attraverso il sistema nervoso, dei segnali chimici secreti
nelle loro vicinanze nella matrice extracellulare (v. infra; generalmente si tratta di proteine con un gradiente di
concentrazione dato, sintetizzate in punti precisi e con un alto gradiente,
gradiente via via decrescente se ci s’allontana dalla fonte), e di modificare i
propri percorsi nel momento dell’identificazione, e questi segnali chimici
possono essere, oltre che a breve o lungo raggio (cioè provenienti da molecole
direttamente extracellulari o da molecole diffusibili, poste sulle lunghe
distanze), di vario tipo, per esempio, all’inizio della migrazione possono
essere di tipo repellente, dati da molecole chemiorepulsive (chemio- si ritrova anche
scritto chemo-), cioè in grado d’allontanare le cellule nervose e gli assoni in
via di sviluppo da un dato percorso, salvo poi essere segnali chimici di tipo
attraente, dati da molecole
chemiotattiche che delineano e favoriscono il percorso da seguire per arrivare
alla cellula bersaglio e, infine, possono essere segnali che sanciscono
l’avvenuto raggiungimento della cellula bersaglio, ciò che immobilizza il cono
di crescita e lo trasforma nell’arco di poche ore, in una sinapsi; sinapsi che
però non diventa funzionale se non dopo un tempo più o meno lungo, giorni o
settimane, e senza dimenticare che presinapsi e postsinapsi si formano con
attività di coordinazione e, infine, sempre che l’avvenuta sinapsi non sia in
seguito potata; come dire, a riassunto, che devono essere presenti due sistemi
interagenti, ossia un sistema articolato di segnali emessi dal sistema
cellulare che dev’essere innervato e un sistema, altrettanto articolato, di
ricezione dei segnali e d’una loro trasduzione capace d’attirare, dirigere e bloccare
al bersaglio i neuroni in gioco; specificamente, l’assone in via di sviluppo
presenta una struttura apicale specializzata, detta cono di crescita, che
contiene numerose protuberanze citoplasmatiche che escono a ventaglio, dette
filopòdi che, grazie ai recettori posti sulla loro superficie che permettono
d’identificare le molecole che fungono da segnali chemiotattici (di direzione),
o da fattori trofici (in funzione chemiotattica), riescono a trasdurre questi segnali in movimenti appropriati (e la
cui direzione può variare anche di 180°), vale a dire che, esplorando
l’ambiente, s’estendono e si ritraggono grazie a questi recettori in grado
d’identificare i segnali di direzione, segnali che iniziano una reazione
biochimica che porta alla riorganizzazione degli elementi strutturali
all’interno dei coni di crescita in modo da favorire (con ancoramento dei
filopodi che trascinano con sé il cono di crescita) o impedire un dato fronte
d’avanzamento che, una volta dato, allunga l’assone mediante il deposito di
materiale costitutivo prodotto dalla cellula e trasportato nei pressi del cono
di crescita; per esempio, i già citati segnali di tipo repulsivo con la
reazione che innescano fanno collassare un lato del cono di crescita, tanto che
il cono di crescita si ricostruisce sull’altro lato (formando strutture note
come lamellopòdi), ciò che porta ad una deviazione e allontanamento dell’assone
in fase di crescita etc.; infine, gli
assoni in via di sviluppo che per primi migrano lungo un particolare fascio
nervoso sono detti pionieri, e quelli che migrano lungo percorsi già definiti
danno origine a fasci di fibre nervose che connettono regioni cerebrali fra
loro distanti (e si parla di processi di fascicolazione), e questa formazione
delle sinapsi (o sinaptogenesi) in Homo
sapiens, così come nei Vertebrati, inizia nell’embrione e continua nella
prima vita postnatale e fino all’età adulta, e questa formazione è, come visto,
legata al processo di riconoscimento della cellula bersaglio, ciò che produce
quando la sinaptogenesi è terminata (e comprendendo in questo processo
temporale anche la potatura dei neuroni) l’architettura dei circuiti nervosi
funzionali; la figura seguente mostra tre tipi di coni di crescita (A, B, C),
la cui forma varia i rapporto all’adesività del substrato sul quale si muovono
i filopodi di cui sono dotati:
Figura
n. . Fonte: Calissano, 1992, p. 137.
Per
quanto riguarda poi la potatura dei neuroni soprannumerari, si sospetta che
avvenga per inappropriata stimolazione o per deficit d’alimentazione cellulare, questo date le concentrazioni
dei fattori trofici che sono limitate e inducono competizione fra i neuroni che
devono raggiungere lo stesso bersaglio, vale a dire per un deficit legato all’assenza di quei fattori di crescita (Growth factor, GF, v. infra) fra loro diversi, o da loro
combinazioni, che sono tipici di ogni popolazione neuronale e che garantiscono
ai neuroni e la crescita e la sopravvivenza finale (o neurotrofine, v. infra), ciò che li porta infine, poiché
immaturi per il corretto funzionamento nel SNC, a essere eliminati tramite una
morte cellulare programmata, o apoptosi (v. supra),
gestita nella fase finale dalla microglia; specificamente, al centro del
meccanismo apoptotico si trova una famiglia di proteine chiamate caspasi che
sono presenti in tutte le cellule del corpo e che, se il processo è inibito,
sono inattive, ma che, se il processo s’attiva, danno inizio al processo
d’autodemolizione spostandosi all’interno del nucleo cellulare e
disintegrandolo, questo formando una popolazione d’elementi frammentati, o
corpi apoptotici, che, individuati dalla microglia, sono inglobati per
fagocitosi; non dimenticando, infine, ch’è solo la presenza ripetuta dei
potenziali d’azione nelle sinapsi (quindi l’uso per via epigenetica) che evita
che s’attivi la morte cellulare programmata, cioè l’inibizione del meccanismo
apoptotico presente in ogni neurone (v. infra);
ora, e detto brevemente della formazione dei circuiti nervosi (su cui si
ritornerà), in animali come quelli del genere Homo, il cervello consiste di strati, o lamine, e di strutture
pressoché sferiche chiamate nuclei, tutte strutture che si sono sviluppate per
compiere delle funzioni nell’ambito d’una rete di connessioni e tutte formate
da un numero molto grande di neuroni, a volte maggiore e volte minore che nella
corteccia (la quale contiene, come detto, all’incirca 30 miliardi di neuroni,
per un totale distribuito nel Sistema nervoso centrale, SNC di ca. 100 miliardi
di neuroni in media), neuroni che si connettono, lo si ricordi, senza che poi
le membrane dell’uno tocchino quelle d’un altro se non per il tramite delle
sinapsi; il cervello è poi collegato al contesto esterno mediante dei neuroni
specializzati, detti trasduttori sensoriali (v. infra), che formano gli organi di senso e forniscono al cervello i
segnali d’ingresso (e si parla di neuroni sensoriali o afferenti), mentre i
segnali in uscita dal cervello passano attraverso i neuroni collegati ai
muscoli e alle ghiandole (detti neuroni motori o efferenti), o, detto
altrimenti, il SNC formato da cervello e midollo spinale, riceve ed elabora le
informazioni sensoriali e il Sistema nervoso periferico, SNP, trasporta le
informazioni che provengono dal corpo, e quelle che verso il corpo sono
inviate, attraverso le fibre nervose (v. infra),
là dove dalla parte anteriore del midollo spinale provengono fasci di neuroni
motori (o motoneuroni) che si diramano ai muscoli del corpo trasportando le
informazioni provenienti dal cervello riguardanti i movimenti volontari e dove
alla parte posteriore del midollo spinale arrivano fasci di fibre sensoriali
che trasportano le informazioni provenienti dal corpo che devono arrivare al
cervello; tolti questi neuroni afferenti/efferenti, la maggior parte dei
tessuti del cervello riceve però segnali unicamente da altre parti del cervello
e, analogamente, invia segnali ad altre aree senza nessun intervento da parte
del contesto esterno; più in dettaglio, tutti i sistemi sensoriali (vista,
udito, tatto, gusto e olfatto) condividono uno schema comune che parte dalla
trasduzione sensoriale (dove la trasduzione è la capacità d’una cellula di convertire
l’energia, luminosa o sonora, per esempio, in un segnale elettrico, in impulsi
nervosi, come dire che l’unica cosa che noi vediamo è un segnale elettrico
proveniente dagli occhi, o che ascoltiamo i segnali elettrici che provengono
dalle orecchie), trasduzione ch’è il processo durante il quale i recettori
specializzati rilevano dei mutamenti nell’ambiente e per il tramite della conversione
dell’energia in arrivo li convertono in impulsi elettrici che sono inviati al
talamo che, a sua volta, li smista e li ritrasmette alla regione deputata della
corteccia cerebrale che li elabora; e ciascun organo di senso ha una sua
specializzazione nella percezione degli stimoli (dell’energia con cui lo
stimolo si manifesta) cui è vocato, energia ch’è tradotta nel linguaggio
elettrochimico del cervello affinché la loro elaborazione e interpretazione
produca, per l’organismo che li percepisce, un’esperienza coerente della
realtà; per quanto riguarda la generazione dei movimenti volontari (ch’è una
delle funzioni primarie del SNC), i neuroni che proiettano direttamente ai
neuroni motori dei nervi cranici e del midollo spinale sono presenti nel
sistema motorio del cervello, una struttura corticale che ha il compito della
loro pianificazione, controllo ed esecuzione, cioè sono presenti (con gli
assoni in assoluto più lunghi), oltre che per una parte della corteccia
cerebrale, in varie strutture sottocorticali (gangli basali, o della base,
posti al di sotto della corteccia frontale, e cervelletto) e nel citato midollo
spinale; partendo dalla corteccia cerebrale, la corteccia motoria è la parte
posteriore del lobo frontale (anteriore alla scissura centrale o rolandica, v. supra) che contiene diverse aree motorie
specializzate, la corteccia motoria primaria, che controlla direttamente i
movimenti volontari
del tronco e degli arti situati nelle metà opposte del corpo, o controlaterali,
e, in pari tempo, regola l’attività di più articolazioni (questo per il
tramite d’una rappresentazione schematica del corpo, detta mappa somatotopica,
che a gruppi di neuroni adiacenti fa corrispondere una mappa di muscoli
anatomicamente adiacenti, cioè delle aree contigue dei distretti del corpo e
dove lo spazio di rappresentazione occupato è legato non alle reali dimensioni,
ma all’importanza funzionale, traslata in potenza d’elaborazione neurale, che
assumono i singoli distretti corporei), e la corteccia motoria secondaria;
quest’ultima è data dalla corteccia premotoria, che codifica l’intenzione
d’eseguire un dato movimento selezionando quello appropriato in base alle
informazioni sensoriali disponibili (visive, tattili, acustiche), e dalla
corteccia motoria supplementare, ch’è coinvolta nella pianificazione e
coordinazione del movimento complesso; la principale via di uscita nella
corteccia primaria è poi costituita dagli assoni dei voluminosi neuroni di tipo
piramidale (detti cellule di Betz), presenti nel quinto dei 6 strati che
formano la corteccia primaria, e che proiettano lunghe fibre nervose fino al
midollo spinale dove formano delle sinapsi con i neuroni motori che trasmettono
i segnali ai muscoli contribuendo così a una delle principali vie nervose del
SNC (detta via corticospinale diretta, o piramidale) che innerva anche altri
centri sottocorticali, principalmente a livello del tronco encefalico (v. supra), e queste fibre attraversano il
sistema nervoso spostandosi in senso verticale, e, quando passano per il tronco
cerebrale (come detto, all’altezza del midollo allungato) decussano, vale a
dire che a quest’altezza i due fasci di fibre scambiano le loro fibre in modo
che tutte quelle di destra si portano a sinistra e viceversa, ciò che così
garantisce che ciascun emisfero del cervello controlli, attraverso il midollo
spinale, i movimenti della parte opposta del corpo; ancora, l’esecuzione di
movimenti semplici non è preceduta da attivazioni dell’area motoria secondaria,
ma solo da quelli dell’area motoria centrale, mentre l’esecuzione di movimenti
complessi fa sì che i neuroni localizzati nella corteccia motoria secondaria,
di fatto quelli presenti nell’area della corteccia motoria supplementare,
s’attivino prima dell’esecuzione dei movimenti stessi (area che s’attiva anche
se la sequenza complessa degli atti motori è solo pensata e non eseguita); la
corteccia premotoria s’attiva invece quando la sequenza motoria è implementata
da stimoli esterni, ed è in quest’area che sono presenti i neuroni specchio
(v., supra) che s’attivano in
coincidenza tanto con l’esecuzione d’un atto motorio, quanto nel momento
dell’osservazione d’un gesto eseguito da altri (ciò che avrà un’enorme
importanza nello sviluppo del cervello sociale perché, come detto, e sempre che
questa congettura sia corretta, trasformano l’informazione visiva nella capacità
di potere conoscere l’intenzione dell’azione altrui, cui è da aggiungere la
capacità d’apprendere, per imitazione, l’esecuzione di un’azione osservando gli
altri, v. infra); per quanto riguarda
le strutture sottocorticali, bisogna ricordare che l’esecuzione d’un atto
motorio passa anche attraverso il controllo dei gangli basali e del cervelletto
che lo modulano rendendo il movimento equilibrato e continuo (o, detto
altrimenti, un atto motorio richiede la collaborazione coordinata tra la
corteccia cerebrale e il controllo dei gangli basali e del cervelletto);
infine, abbiamo il midollo spinale, ch’è composto da 30 segmenti che si
ripetono (o mielòmeri), ciascuno contenente un paio di neuroni spinali (che
escono tra una vertebra e l’altra) per un totale di 31 paia, e dove una parte
d’un neurone spinale contiene i neuroni motori efferenti (discendenti) che
estendono le loro fibre ai muscoli del corpo e producono poi dei segnali che
determinano la contrazione dei muscoli (e questi si trovano nella parte
posteriore del midollo spinale, cioè nella radice dorsale del midollo spinale),
mentre l’altra parte d’un neurone spinale
comprende i neuroni sensitivi efferenti (ascendenti), che portano
informazioni dalla periferia del corpo al SNC (e questi si trovano nella parte
anteriore del midollo spinale, cioè nella radice ventrale del midollo spinale,
e le principali vie ascendenti si raccolgono poi nelle colonne dorsali); le due
parti d’un neurone spinale si congiungono per formare, prima dell’uscita dal
canale vertebrale, una sola radice spinale, quella da cui hanno origine i nervi
periferici il cui ruolo è quello di trasmettere le informazioni del SNC a una
corrispondente zona del corpo e di tramettere le informazioni che provengono
dalle zone del corpo alle zone deputate del SNC; da ricordare che le sinapsi
che legano i neuroni motori ai muscoli da loro controllati sono poi chiamate
giunzioni neuromuscolari e danno origine a un insieme congiunto detto unità
motoria; ancora, che il midollo spinale, oltre ad obbedire alle informazioni
motorie pianificate dal cervello, è anche in grado d’avviare in modo autonomo
alcuni movimenti semplici e stereotipati, definiti riflessi; la figura seguente
mostra a destra la sezione trasversale del midollo spinale con la
rappresentazione tridimensionale d’un mielomero (A), dove la sostanza, bianca
citata è data dalle fibre mielinizzate ascendenti e discendenti (zona
periferica), mentre la sostanza grigia contiene fibre amieliniche (v. supra) e corpi cellulari (zona
centrale); a sinistra (B) la figura mostra una rappresentazione dorsale del SNC
(cervello e midollo spinale) la numerazione dei 30 mielomeri (31 segmenti, citando
anche i 2 rudimentali nervi coccigei), cioè l’origine dei nervi spinali e la
numerazione corrispondente alle vertebre implicate, specificamente 8 paia cervicali
(da C1 a C8), 12 paia toracici (da T1 a T12), 5 paia lombari (da L1 a L5) e 5
paia sacrali (da S1 a S5), e dove si nota che il midollo spinale (ca. 40 cm di
lunghezza) termina a livello della prima vertebra lombare (L1), e questa
lunghezza del midollo inferiore rispetto a quella della colonna vertebrale fa
sì che non ci sia simmetria tra la dislocazione delle regioni del midollo e
quelle della colonna vertebrale dai cui fori si formano le radici spinali, ragion
per cui, se i segmenti del midollo lombare sono all’altezza delle due ultime
vertebre toraciche (T11 e T12) e della prima vertebra lombare (L1), e se i
segmenti del midollo sacrale e coccigeo sono all’altezza delle prime due
vertebre lombari (L1 e L2), s’impone che aumenti la lunghezza delle radici
spinali dei segmenti lombari, sacrali e del segmento coccigeo (come evidenzia
la figura); il termine rigonfiamento (cervicale, lombosacrale) indica poi ch’è
presente in sito un alto numero di cellule e di fibre nervose coincidenti con
le innervazioni agli arti:
Figura
n. . Fonte: Mattelli e Umiltà, 2007, p.
30.
Ora,
i neuroni presentano una morfologia assai variata, reperibile in base alla
forma del soma, alla lunghezza dell’assone e alla distribuzione ramificata dei
dendriti, ed è la forma che in parte determina la funzione (ma senza che la
complessità della forma sia un indice delle prestazioni del cervello), ossia il
modo in cui questi si posizionano e si connettono e arrivano a comporre la
neuroanatomia d’una data area del cervello (e assoni molto lunghi connettono i
neuroni appartenenti a strutture nervose differenziate, mentre assoni corti
collegano neuroni fra loro vicini, e sono per questo detti interneuroni, e il
ruolo di questi ultimi è poi quello di modificare l’attività degli altri
neuroni, cioè di trasmettere l’informazione tra neuroni appartenenti allo
stesso circuito, o tra neuroni differenti in diverse aree del cervello); si
calcolano poi ca. 10 000 tipi di neuroni funzionalmente differenti; la figura
seguente mostra una selezione di neuroni della corteccia cerebrale in grado di
farne intuire la diversità:
Figura
n. . Fonte: Einon e Rose, 1997, p. 990.
Ne
consegue che le possibili disposizioni anatomiche dei neuroni sono molte, e
talvolta i neuroni sono organizzati in mappe (v. supra), ed è attraverso questa mappatura che si mettono in
relazione, per esempio, i punti appartenenti agli strati bidimensionali di
recettori del corpo con i punti corrispondenti sui citati strati che formano il
cervello; e d’una mappa ch’investe il sistema motorio, quello somatotopica, s’è
detto sopra, e, in linea generale, si può dire che il corpo è rappresentato sulla
superficie del cervello in modo ordinato, per cui a parti adiacenti del corpo
corrispondono aree adiacenti del cervello, per esempio, nei sistemi sensoriali
del cervello che danno origine a mappe somatosensoriali, quali quella visuale
(o retinotopica), sonora (o tonotonica) e olfattiva; in ogni caso la
maggioranza delle fibre nervose presenti nel cervello è costituita da quelle
che hanno il ruolo di connettere le mappe, quali il corpo calloso che, come
detto, connette, in quanto fascia che contiene ca. 200 milioni di fibre
mieliniche, parti dell’emisfero destro e dell’emisfero sinistro lungo la linea
mediana; nonostante le mappe, le funzioni cognitive non sono però distribuite
solo secondo la modularità funzionale che, come detto, suddivide in cervello in
regioni distinte, ognuna composta da neuroni che svolgono funzioni
specializzate (per esempio, le già citare aree di Brodmann), ma presenta anche
una elaborazione cognitiva distribuita in molteplici reti che collaborano e
dove ciascuna regione specializzata rappresenta un nodo all’interno di reti
distribuite sull’intero cervello, dove ogni rete contiene regioni cerebrali
multiple e interconnesse che cooperano tra di loro e dove, all’interno di ogni
rete l’informazione è elaborata in modo seriale, ovvero trasferita da una
regione a quella seguente e processata nel tempo per stadi successivi, ed è
probabile che queste reti lavorino simultaneamente e, a un superiore livello d’organizzazione,
dalle relazioni esistenti tra di esse s’integri un’attività di tipo non lineare che produce la complessità
delle funzioni cognitive o, detto altrimenti, è possibile che l’interazione
locale dei 100 miliardi di neuroni produca anche proprietà emergenti non
prevedibili dati gli elementi semplici di partenza (i neuroni), ossia che il
sistema di reti neurali presenti non permetta di dedurre, date le modalità di
funzionamento locale dei neuroni nelle sinapsi, l’andamento non lineare dell’insieme;
ed è opportuno, a questo punto, precisare che in ogni fase di crescita dei
neuroni e delle sinapsi sono presenti delle regolazioni provenienti da fattori
epigenetici, giacché la storicità dell’ambiente è in grado di modularli nei
processi di riorganizzazione o ristrutturazione neurale, compresi quelli che
presiedono alla plasticità cerebrale; per inciso, l’epigenetica (dove il
prefisso epi-, dal greco ἐπί, sta a significare dopo) indaga sul processo della
regolazione cellulare che indica dove, quando e quali geni sono attivati, ossia
mostra come i geni, nella loro espressione, interagiscono con l’ambiente senza
modificare la sequenza del DNA; infatti, non è il DNA a determinare l’attività
cellulare, bensì la cellula in cui il genoma è incorporato che determina quali sequenze
del DNA usare, così come è sempre la cellula a decidere (prima programmando
l’espressione genica e poi regolandola) dove, quando e come farlo durante le
varie fasi dello sviluppo che vanno dalla fecondazione alla senescenza; il DNA,
presente in ogni cellula (v. anche supra),
è costituito da ca. 3 miliardi di basi che comprendono ca. 20 000 geni (i testi
consultati riportano ognuno un numero variabile di geni che arriva, come
massimo, a 25 000), e un gene è una sequenza di basi precisa che fornisce
istruzioni per produrre le proteine che attivano i processi vitali, e ogni
cellula è in grado di attivare (o, se è il caso, silenziare) solo alcune delle
sequenze o geni contenuti nel suo DNA, ossia di determinare la sua espressione
genica, per cui, pur essendo il DNA uguale in tutte le cellule, ogni tipo di
cellula esprime solo determinati geni; espressione genica che, pur restando il
genotipo identico, può poi variare nel corso del tempo rendendo unica
l’espressione del fenotipo; per capire il meccanismo dell’espressione genica è poi
necessario sapere che i filamenti del DNA
sono avvolti, nel nucleo della cellula, intorno a 30 milioni di proteine
chiamate istoni (ci si immagini un istone come una spola cui s’avvolge un filo),
e dove l’insieme degli istoni è chiamato cromatina; la cromatina, essendo
compatta, impedisce l’espressione dei geni ed è qui che interviene un insieme
di istruzioni chimiche, insieme detto marcatura epigenetica, ch’è in grado di lasciare
compatte (o impacchettate) certe regioni della cromatina o di decompattarne altre
(decompattare nel senso che il DNA, per essere trascritto in RNA messaggero,
mRNA, e proteina, deve essere srotolato, secondo il processo di biosintesi per
cui si ha la trascrizione dai geni in mRNA e a seguire la traduzione degli mRNA
in proteine), cioè di lasciare che determinate sequenze di basi (i geni) non possano
o possano a loro volta fornire istruzioni per permettere a quel tipo di cellula
di fare quello che deve fare (come dire che l’epigenetica influenza, con il
cambiamento dello stato di trascrizione della cromatina, l’espressione dei geni
rendendoli srotolati e trascrittibili o attivati, oppure impacchettati e non trascrittibili
o silenziati); ancora, nella modificazione chimica del DNA cromosomiale può avvenire
il fenomeno della metilazione (uno dei più importanti processi di modificazione
del DNA nei Vertebrati), dato dall’unione di un gruppo metile (composto che
contiene un atomo di carbonio e tre d’idrogeno, -CH3) con una zona
specifica della sequenza del DNA (la base citosina, C), o a una proteina
istonica, grazie a un enzima detto DNA-metiltransferasi (DNMT), ciò che marca
il cromosoma in modo che la sua struttura possa essere modificata; sono dunque
le marcature epigenetiche che definiscono la tipologia della cellula, cioè l’identità
dei suoi comportamenti, ciò che fa sì che di fronte a un DNA identico in tutte
le cellule alcune possano essere definite, per esempio, cellule epatiche, altre
muscolari, altre epiteliali e altre ancora cerebrali (neuroni) fino al
repertorio dei 250 tipi cellulari presenti nel corpo di Homo sapiens; detto altrimenti, l’epigenetica affronta il problema
di come ca. 20 000 geni, ognuno dei quali, lo si ripete, è presente in ogni
cellula del corpo umano, possano essere usati per generare il detto repertorio,
là dove ogni tipo cellulare ha una struttura e una funzione caratteristiche e
contiene un diverso sottoinsieme di 100 000 proteine (tipologia ch’è poi
replicata nelle molte migliaia di miliardi di cellule dell’organismo nel suo
insieme); ogni tipo di cellula, infatti, si produce in momenti diversi durante
lo sviluppo prenatale e ogni tipo deve migrare verso le regioni appropriate di
quello che sarà poi il feto completamente formato (quale esempio, v., supra, le migrazioni nel tubo neurale); tutto
un insieme di processi regolatori in cui delle molecole di segnalazione (a
volte proteine, in altri casi piccole molecole, generate internamente alla
cellula o che si diffondono da altre regioni del feto) si comportano come marcatori
epigenetici che attivano/silenziano alcuni segmenti specifici di DNA per
assicurare che una data proteina sia sintetizzata in una data finestra
temporale durante lo sviluppo e dove alterazioni nelle tempistiche d’intervento
di questi marcatori epigenetici per fattori legati all’ambiente interno e
esterno possono tradursi in cambiamenti enormi nel fenotipo adulto, producendo
nuove variazioni su cui può intervenire l’evoluzione; ragion per cui
l’epigenetica non vede i geni come unità che agiscono in modo indipendente, ma
li vede in continua interazione l’uno con l’altro, così come li vede in
continua interazione con i livelli multipli dell’ambiente in cui sono inseriti;
come dire che l’epigenetica studia le attività cellulari che modulano
l’espressione del DNA e concorrono, nell’interazione dell’organismo con
l’ambiente fisico e sociale, a determinare un fenotipo senza interferire in
alcun modo con il genotipo, cioè senza procurare alcuna variazione nella
sequenza dei geni, e fatta salva la questione che alcune modificazioni epigenetiche
(le caratteristiche acquisite che traducono un’espressione dei geni, cioè una
marcatura) possono anche essere ereditabili per una o due generazioni
(l’ereditarietà a lungo termine, o transgenerazionale, è però rara perché i
marcatori ereditati sono normalmente cancellati sia dopo la fecondazione che
durante lo sviluppo dell’embrione, o embriogenesi); da ricordare che, nei
Mammiferi, non è invece cancellato l’imprinting
genetico, o genomico, su ca. 100 geni, detti imprinted, lasciato in eredità allo spermatozoo e all’ovocita
durante la loro formazione, v. infra,
geni imprinted presenti in duplice
copia che necessitano di un imprinting
con marcatori epigenetici ereditati dei genitori per garantire solo a una copia
non silenziata, o materna o paterna, di potersi esprimere quando necessario,
cioè per permettere il corretto sviluppo dell’embrione (questo imprinting funziona poi grazie al sopra
citato processo di metilazione che fa sì che un gene imprinted trattenga la marcatura per segnalare la sua origine
materna o paterna, là dove poi i geni con imprinting
paterno permettono la formazione d’una placenta adatta a nutrire l’embrione e
quelli con imprinting materno ne permettono
l’organizzazione); la figura seguente segnala l’importanza delle componenti
genetiche ed epigenetiche durante lo sviluppo embrionale dove si nota che
l’influenza genetica è massima al momento di formazione dell’embrione e via via
scema a favore dell’influenza epigenetica che deve tenere conto dell’ambiente
uterino per manifestare l’espressione genica, per continuare dopo i 9 mesi
tenendo anche in conto l’ambiente esterno:
Figura
n. . Fonte: Calissano, 1992, p. 118.
Detto
questo, e ritornando ai neuroni, si può affermare che queste cellule s’assemblano
per sinapsi in reti neurali con modalità dipendenti, oltre che dalla predeterminazione a livello genetico (che
fornisce informazioni per la formazione dei circuiti), anche dal rafforzamento
dovuto all’esperienza individuale e all’interazione con l’ambiente inteso nel
senso più ampio del termine (e dove sono le informazioni sensoriali che
arrivano a plasmare i circuiti), reti che pertanto si ridefiniscono in modo
epigenetico nel corso del tempo creando l’unicità della plasticità fenotipica
di un cervello; ora, prima d’affrontare il problema di come s’arriva alla
plasticità fenotipica del cervello (questo adottando l’ipotesi del darwinismo
neurale, v. infra), è necessario
approfondire il problema della formazione dei circuiti nervosi cui s’è sopra
accennato portando l’attenzione sui vari tipi di molecole che sono implicate
nel processo di crescita e di migrazione dei neuroni (e, visto che un assone è
detto anche neurite, si parla per questo di neuritogenesi); riprendiamo dunque
la questione sopra citata del cono di crescita sottolineando che le molecole
che ne permettono il movimento guidato risiedono sulla sua superficie esterna, sono
incastrate nel doppio strato lipidico che ne forma la membrana e sono, nella
maggior parte dei casi, di natura proteica; superficie esterna da dove regolano
poi l’attività d’un sistema di proteine contrattili presenti all’interno del
cono di crescita, proteine, queste ultime, che trasformano parte dell’energia
presente nel neurone in lavoro meccanico, cioè in motilità, utile tanto all’esplorazione
dell’ambiente extracellulare da parte del cono di crescita quanto alla motilità
dell’assone in via d’accrescimento che segue il detto cono; tipologia di proteine,
ancora, che si ritrovano là dove bisogna poi mediare qualsivoglia richiesta di movimento
cellulare (dalla contrazione muscolare al movimento dello spermatozoo, dal
flusso citoplasmatico all’esocitosi etc.)
e dove la varietà dei movimenti richiesti non è dovuta alle proprietà
intrinseche di queste proteine contrattili (formare dei polimeri altamente
ordinati), bensì all’intervento di quelle proprietà regolatorie che ne
controllano le varie occorrenze consumando energia (cioè convertendo l’energia
chimica contenuta nelle citate molecole di ATP, per esempio) e generando lavoro,
tanto che i sistemi contrattili sono costituiti da poche proteine fondamentali,
quali l’actina, la miosina e la tubulina, e da un notevole numero di proteine
accessorie che consumando energia ne regolano, appunto, il lavoro secondo le
esigenze; specificamente per i neuroni, la motilità del cono di crescita è data
da un citoscheletro che, come risposta a seguito di stimoli extracellulari, fa
da supporto a delle proteine che assemblano e disassemblano in modo
estremamente rapido dei microfilamenti di actina che, mutando continuamente la
loro localizzazione all’interno della cellula, producono alla periferia un movimento
protrusivo ch’è il risultato d’una interazione con l’impalcatura cellulare via
via riarrangiata (il citoscheletro del neurone è poi dato da un articolato
assemblaggio di proteine che influenza le interazioni d’ogni parte della
cellula, ciò che produce cambiamenti nella sua forma e nel suo dinamismo, e si
manifesta come un’impalcatura reticolare di sostegno e compartimentazione
interna di proteine fibrose formata da microtubuli, microfilamenti e filamenti
intermedi presenti nel citoplasma); ancora, tra i fattori che regolano l’orientamento
nella neuritogenesi sono state poi individuate alcune famiglie di proteine (con
funzione chemiotattica/chemiorepulsiva) a nome netrina, semaforina, efrina e altre
ancora, con i loro recettori, cui vanno aggiunte anche le neurotrofine (v. infra) e le citochine (sostanze
proteiche ormonosimili), che presentano una funzione regolatoria; infatti, nella
crescita degli assoni e nella formazione dei circuiti nervosi svolgono poi un
ruolo cruciale anche dei fattori epigenetici, quali il fattore trofico a nome
NGF (Nerve Growth Factor o fattore di
crescita delle fibre nervose), un fattore che agisce a distanza (cioè
diffusibile), e fattori in sé relativamente statici, quali le proteine
strutturali CAM (Cell Adhesion Molecule
o molecole d’adesione fra le cellule), SAM (Substrate
Adhesion Molecule o molecole d’adesione al substrato) e CJM (Cell Junctional Molecules o molecole di
giunzione fra le cellule); esiste, infatti, una classe di polipeptidi (su cui
v. supra), detti fattori di crescita
(GF) la cui funzione è quella di regolare molte proprietà dello sviluppo
dell’organismo, e in questa classe v’è anche il NFG, che induce come fattore
trofico la crescita di fibre nervose del sistema nervoso e che, nel mentre queste
s’accrescono, ne guida e orienta anche la crescita fino alla formazione della
sinapsi, come dire ch’è anche un fattore chemiotattico (o neurotropico); per
capire il meccanismo d’insieme, ci s’immagini delle cellule della cresta
neurale (v. supra) nel momento in cui
il loro destino è quello di differenziarsi morfologicamente e funzionalmente in
un tipo dato e determinato di neuroni (v. infra),
questo grazie alla presenza nelle zone circostanti di piccole quantità di NGF,
quantità che ne permette la crescita e che, nel mentre alimenta i neuroni, li
rende anche pronti a orientarsi verso quelle cellule che producono una maggiore
quantità di questo fattore trofico (pari alla diffusione di un dato gradiente
di concentrazione che il cono di crescita segue), ciò che crea dei collegamenti
tra i coni di crescita degli assoni e le cellule produttrici di NGF (o cellule
bersaglio); cellule produttrici di NGF che lo liberano e lo diffondono a
distanza (come detto, il NGF è un fattore diffusibile) perché il loro destino è
proprio quello d’alimentare il neurone affinché questo possa innervarsi con il
cono di crescita dell’assone in arrivo per potere infine formare, con il
neurone, una sinapsi, e con la sinapsi, un circuito nervoso; una volta che la
sinapsi s’è formata essa, come detto sopra, non è ancora funzionale (cioè in
grado di trasmettere il potenziale d’azione) perché, in questa prima fase essa deve
formare un sistema di collegamento tra il neurone e la cellula erogatrice di
NGF, il cui NGF emesso è captato da appositi recettori presenti nella giunzione
sinaptica e trasportato dall’assone all’interno del neurone (o trasporto
assonale retrogrado) dove, nel soma, può poi continuare a svolgere il suo ruolo
trofico, pena la degenerazione e la morte del neurone stesso (infatti, affinché
il neurone sia funzionante e funzionale, quest’azione neurotrofica di
rifornimento da parte delle cellule bersaglio dev’essere costante, ciò che
permette di sostenere che, soprattutto durante lo sviluppo del sistema nervoso
pre e postparto, la sopravvivenza dei neuroni NGF-dipendenti, così come il
numero e la natura dei loro collegamenti sinaptici, può essere regolato dal
rifornimento esogeno di NGF da parte di queste cellule agli assoni, ciò che
permette la plasticità e la dinamicità dei circuiti neuronali influenzati
dall’ambiente embrionale prima e dall’ambiente esterno in seguito, cioè
l’intervento dell’NGF che potrebbe agire come fattore trofico selettivo dei
meccanismi che regolano lo sviluppo del sistema nervoso, v. infra); solo in seguito, la sinapsi diventerà
però funzionale, come detto dopo giorni o settimane, e questo avverrà anche
dopo la scelta del neurotrasmettitore da sintetizzare e utilizzare, scelta su
cui interviene, ancora, anche il NGF; da sottolineare poi che il NGF non esplica
la sua azione su tutti i neuroni del sistema nervoso, ma soltanto su
determinati neuroni del sistema periferico e dell’encefalo; nel sistema
periferico, per esempio, il NGF interviene nei lunghi neuroni dei gangli
simpatici, che utilizzano la noradrenalina (nei neuroni adrenergici), oppure nei
neuroni posti nella posizione ventromediale dei gangli sensoriali, che
impiegano la sostanza P; nell’encefalo, per esempio, il NGF interviene nell’ipotalamo,
porzione ch’è
in rapporto con l’ipofisi mediante un ristretto peduncolo (v. supra), ed è per questo che il NGF può
arrivare a controllare la liberazione di ormoni ipofisari, ormoni che regolano,
a loro volta, le ghiandole più importanti dell’organismo (v. supra), ed è qui, nell’ipotalamo, che il
NGF potrebbe intervenire nel dosare la sua erogazione da parte delle cellule
bersaglio, ciò che lo farebbe intervenire, come accennato sopra, quale fattore
trofico selettivo di stampo epigenetico; ancora, il NGF è presente nell’ippocampo,
dove svolge un ruolo fondamentale nei processi affettivi e cognitivi (apprendimento
e memoria), o nelle aree dove i neuroni utilizzano l’acetilcolina (nei neuroni
colinergici); ancora, il NGF agisce sulle cellule del sistema immunitario come
i mastociti (cellule del tessuto connettivo), su date popolazioni di linfociti
di tipo B (cellule che si sviluppano per intero nel midollo osseo) e su altre
d’origine timica (il timo è una ghiandola che promuove lo sviluppo di quei
linfociti che completano la loro crescita fuori dal midollo osseo, o linfociti
T), tanto che si può affermare che, in ogni caso, il NGF opera al crocevia tra
il sistema nervoso, il sistema endocrino e il sistema immunitario, ossia al
crocevia di tre sistemi che sono alla base del funzionamento d’ogni organismo
complesso; oltre al NGF, che interviene su una popolazione neuronale esigua (ma
non per questo irrilevante, visto che coinvolgono anche l’umore e il
comportamento), esistono altri fattori NFG-simili (cioè che ne condividono
parte della struttura, ma la cui azione è diretta verso altri tipi di neuroni) che sono poi dotati di
capacità d’azione su altre popolazioni neuronali, ciò che dà origine a
un’intera classe di fattori di crescita neuronale specifica, ossia di
polipeptidi, complessivamente denominati come neurotrofine, che svolgono un ruolo
determinante nei processi di formazione del sistema nervoso (si tratta, oltre
al NGF, del fattore neurotrofico di derivazione cerebrale o Brain derived neurotrophic factor, BDNF,
della NT-3, NT-4/5, dove NT sta per neurotrofina o Neurotrophin e, infine, della famiglia di fattori neurotrofici derivati
dalle cellule gliali, o Glial cell line-derived
neurotrophic factor, GDNF, e del fattore neurotrofico ciliare, Ciliary neurotrophic factor, CNF); le
neurotrofine, durante lo sviluppo dell’embrione, permettono complessivamente la
sopravvivenza del neurone e ne regolano la crescita nonché, come visto, lo
provvedono dell’identità morfologica e funzionale ed è da sottolineare che ogni
popolazione neuronale, data l’identità e la funzione, si differenzia poi (sempre
nell’embrione) per il tipo di neurotrofina a cui obbedisce nel percorso di
crescita verso la cellula bersaglio, e che una molteplicità di neuroni, al fine
di potersi differenziare e arrivare a formare le previste connessioni nei
circuiti neurali, devono obbedire all’azione di vari tipi di neurotrofine poste
tra loro in sequenza (per quanto riguarda poi i neuroni in crescita, come detto
questi competono tra loro per l’accesso all’alimentazione promossa dalle
neurotrofine, tanto che quelli che non riescono ad avere accesso a una quantità
sufficiente di neurotrofine vanno incontro ad apoptosi, ed è anche con
quest’attività di potatura che le neurotrofine partecipano alla formazione dei
circuiti neurali); ancora, che nello sviluppo che segue l’embrione, le
neurotrofine controllano la stabilità (che eventualmente potenziano) e la
plasticità delle sinapsi, nonché la sopravvivenza di alcune popolazioni di neuroni
prodotti nella neurogenesi dell’adulto; le neurotrofine interagisco poi con due
classi principali di recettori, il recettore Trk (Tropomyosin receptor kinasi, o recettore tirosinchinasi) e il
recettore p75 (che fa parte della famiglia dei recettori del fattore di necrosi
tumorale, Tumor necrosis factor, TNF),
dove attraverso il Trk le neurotrofine promuovono la sopravvivenza dei neuroni e
ne innescano la differenziazione, mentre con i segnali trasmessi da p75
promuovono, al contrario, la morte delle cellule; da ricordare, infine, che sono
i fattori neurotrofici quelli che sopprimono un programma latente di morte
cellulare (o apoptosi, v. supra), un programma
endogeno ch’è presente in tutte le cellule dell’organismo, compresi i neuroni,
e che s’attiva nel caso il NGF non impedisca la sintesi di proteine che ostacolano
l’espletamento delle funzioni fisiologiche con effetti che cagionano la morte
della cellula; per quanto riguarda le molecole d’adesione cellulare e al
substrato e delle giunzioni cellulari (CAM, SAM e CJM), esse fanno parte di
quelle famiglie di molecole che sovrintendono all’interazione delle cellule nel
corso dello sviluppo embrionale e che sono coinvolte nella forma e nell’organizzazione
delle cellule, dei tessuti, degli organi e dei sistemi (nella morfologia
evolutiva, e dinamica, dell’organismo), sono cioè molecole che sono dotate
della proprietà d’indurre a questa proliferante massa cellulare un’adesione
selettiva mirata che permette d’avere un piano d’organizzazione complessiva (detto
Bauplan, v. supra) che produce, alla fin fine, la forma tridimensionale
disposta nello spazio dei detti tessuti e organi con i loro confini, ossia sono
molecole morforegolatrici (o morfomolecole); queste morfomolecole, solitamente
delle proteine, sono presenti sulla superficie delle cellule o nei substrati,
come la matrice extracellulare (v. infra),
ed è importante sottolineare ch’è poi l’espressione e l’interazione di tali
molecole che porta a cambiamenti nella forma e nel movimento delle cellule, al
collegamento tra cellule e nuovi tipi di regolazione dell’espressione genica e,
dato che questi cambiamenti nel tempo degli stati cellulari sono il risultato causale
di precedenti stati cellulari e di interazioni cooperative che hanno luogo in posizioni
particolari durante lo sviluppo e, soprattutto, sono cambiamenti irreversibili,
li si può classificare come fenomeni epigenetici espressi da un processo
storico, e questo vale anche se i Baupläne,
ossia l’organizzazione principale delle forme degli animali che dipende
dall’asse, dalla simmetria (assiale, radiale etc.), dal tipo e dal numero d’annessi, e ch’è caratteristico d’una
specie all’interno d’un genere, non si sono modificati da tempo immemore; infatti,
questi cambiamenti nel tempo sono cambiamenti legati a un’induzione che, in un
dato territorio corporeo ch’è reattivo a un segnale estraneo, imprimono una
determinata direzione al differenziamento cellulare e alla specializzazione,
come dire che questa reattività manifesta una competenza a reagire all’ambiente
determinando una data morfogenesi causale; o, detto altrimenti, il destino
dinamico d’una cellula, quale che sia, dipende sia dalle cellule che sono
presenti all’intorno, sia dalla posizione in cui essa si trova nel momento in
cui inizia il suo differenziamento cellulare (cioè esprime le differenti combinazioni di
geni presenti nel nucleo) e la sua specializzazione, sia da dove essa, nel
tempo che precede quest’ultimo evento, s’è trovata, e questo perché i
meccanismi genetici che determinano la sua specializzazione a venire sono strettamente
legati al luogo dove essa è in dato momento dello sviluppo, non sono cioè predeterminati,
ma spazialmente dipendenti in quanto le cellule si differenziano, cioè
producono configurazioni precise di proteine, solo in risposta a precisi
segnali che sono emessi solo in alcune sedi dell’embrione in sviluppo e non in
altre (ciò che rimanda alla topobiologia, disciplina che con il suo nome
intende alludere al fatto che molte delle interazioni fra le cellule dipendono
dal luogo, in greco τόπος, tòpos, dove esse avvengono); come dire,
ancora, che nell’induzione (cioè nella modificazione che date proprietà di un territorio
corporeo subiscono per la vicinanza di segnali estranei) ciò che conta nel
determinare la forma sono i segnali che attraversano i confini d’una cellula, ossia
i segnali che la precedono da un lato del confine e che la seguono in
quell’altro lato, evento che demarca le varie cellule che daranno origine alle
parti funzionali dell’organismo e che dipendono dal fatto che possono unirsi fra
loro solo le cellule che possiedono lo stesso tipo di molecola d’adesione
cellulare (ciò che darà origine a un nuovo confine, quello della forma), ossia
che i confini sono una conseguenza diretta del fatto che date cellule non possono
aderire tra di loro perché presentano molecole d’adesione diverse, ciò che
comporta il fatto che queste cellule si staccano e migrano verso un altro luogo
(un’altra sede), e questa migrazione ha luogo sulla superficie di altre
cellule, e solo in seguito le cellule aderiscono di nuovo tra loro formando
nuove combinazioni, e l’adesione e il movimento sono regolati dalle
morfomolecole (o molecole morforegolatrici); queste morfomolecole le si distingue
nelle citate tre famiglie CAM, SAM e CJM, strutturalmente e funzionalmente
diverse, e dove ogni famiglia è sintetizzata durante lo sviluppo secondo finestre
temporali diverse e dove ogni famiglia è espressa in regioni differenti
dell’organismo in fase di sviluppo, come dire che si tratta della produzione di
forme biologiche complesse che si sviluppano e nel tempo e nello spazio; di
queste tre famiglie qui interessano le CAM e le SAM, essendo le CJM coinvolte,
date le cellule aggregate dalle CAM, nella formazione degli strati epiteliali;
le CAM, dunque, sono una famiglia di morfomolecole (che, a sua volta,
appartiene alla superfamiglia delle immunoglobuline, o Ig, ossia a molecole ad azione
anticorpale, prodotte da linfociti di
tipo B, v. supra, di cui le CAM sono poi,
per opportunismo evolutivo, le progenitrici) ch’è stata poi suddivisa in tre
sottofamiglie, le N-CAM (Neural-Cell Adhesion Molecule o molecole
d’adesione cellulare neurale, di cui ne esistono una ventina di tipi diversi,
generate da una modulazione del taglio, o splicing,
del mRNA d’un unico gene che codifica per queste proteine e ne produce, con lo splicing, varianti alternative), le
Ng-CAM (Neuron-glia Cell Adhesion
Molecule o molecole d’adesione cellulare neuroni-glia) e, infine, le L-CAM (Liver-Cell Adhesion Molecule o molecole
d’adesione cellulare epatica, di cui qui non parliamo), morfomolecole che
esprimono proteine integrali, cioè proteine che possiedono tre regioni (o
domini), non omologabili alle regioni dei recettori per neurotrasmettitori e
ormoni, di cui una è affacciata nel citoplasma all’interno della cellula
(intracellulare), una attraversa il doppio strato lipidico della membrana (transmembrana)
e una s’affaccia all’esterno della cellula (extracellulare), ed è quest’ultima
regione nelle N-CAM che interagisce con l’analoga regione extracellulare di
un’altra cellula N-CAM, là dove le molecole localizzate sulla superficie delle
due cellule contigue appartengono alla stessa famiglia e dove l’adesione si
media con un’attività vincolante e fortemente cooperativa, nel senso che
piccole differenze nella concentrazione sulla superfice della membrana si
traducono in notevoli modificazioni nella velocità d’adesione fra elementi
vicini; pertanto, vista l’identità fra le due regioni, si parla d’un legame di
tipo omofilico (o di un’adesione omotipica), questo a differenza del legame fra
Ng-CAM, cioè fra un neurone e una cellula gliale, dove l’omologo extracellulare
del neurone sulla cellula gliale è di famiglia differente, e dove pertanto si
parla di legame eterofilico (o d’adesione eterotipica); in ogni caso, le CAM
possono modulare le attività intracellulari con una modalità globale o locale, là
dove nella modulazione globale viene coinvolta l’intera superficie d’una
cellula e dei suoi recettori, questo grazie allo stato del citoscheletro al
quale sono legati, attraverso la membrana, numerosi recettori e molecole CAM
che, provocando profonde modificazioni all’interno della cellula stessa, ne
alterano la forma, la velocità di migrazione e anche la proliferazione; nel
caso invece la modulazione sia locale, risulta alterato soltanto un tipo dato
di molecole presente sulla superfice del neurone o della cellula gliale; ancora,
nello sviluppo dell’embrione le CAM compaiono precocemente come derivati di
tutti e tre i foglietti embrionali (v. infra)
mentre, a seguire, le CAM compaiono in un insieme più ristretto di tessuti; le
sottofamiglie di CAM, inoltre, hanno differenti specificità di legame e una
cellula può esprimere più di un tipo di CAM in qualsiasi momento dello
sviluppo; per quanto riguarda le SAM (anch’esse appartenenti alla superfamiglia
delle immunoglobuline, v. supra), si
tratta di morfomolecole che modulano l’adesione di singole cellule (o di loro
aggregati) al substrato sul quale esse, com’è il caso degli assoni dei neuroni,
s’ancorano per crescere e per muoversi verso le cellule bersaglio; in
quest’adesione cellula-substrato, le SAM si legano alle cellule tramite
specifici recettori che, solitamente, fanno parte della matrice extracellulare
(Extracellular matrix, ECM), un complesso
reticolato di macromolecole, formate da proteine e carboidrati, che riempie tutti
gli spazi posti al di fuori della cellula e che funziona come un’impalcatura di
sostegno; è, infatti, l’intelaiatura di questa matrice che fornisce poi i siti
d’ancoraggio alle cellule per il tramite delle SAM che ha anche la capacità di modularne
numerose proprietà, come dire che le SAM intervengono nell’attivazione (o nell’inibizione)
della migrazione delle cellule, nella mediazione (indiretta) della loro
adesione e nella stabilizzazione della loro morfologia; infine, legate
direttamente a quest’ultima proprietà, le SAM intervengono nella modulazione
dello stato del citoscheletro della cellula, modulazione che si riflette poi
(tramite un’azione globale sui recettori e sulle proteine di superfice) sulla
sintesi proteica e sul controllo della proliferazione cellulare; le SAM,
prodotte dalle cellule e liberate nella detta ECM, devono la loro azione sulle
cellule alla trasduzione dei suoi segnali grazie ad appositi recettori presenti
a livello della membrana citoplasmatica d’ogni cellula; recettori, inoltre, che
possono legare più d’una molecola SAM, e poiché ciascuna SAM può possedere
differenti tipologie di recettori, ecco che nell’insieme le possibilità
combinatorie cellula-substrato sono molteplici (per inciso, tra questi
recettori con cui le cellule s’ancorano alla matrice extracellulare e
rispondono alla trasduzione dei segnali delle SAM, è da ricordare la famiglia
delle integrine); nella formazione del sistema nervoso, si ricorda poi che l’espressione
delle CAM e delle SAM varia in funzione di numerosi parametri che
caratterizzano, durante l’embriogenesi, la progressiva comparsa del tubo e
della cresta neurale (v. supra),
nonché delle tre vescicole che danno luogo alle varie parti del cervello (v. supra) e che, in seguito, queste
morfomolecole presentano delle distribuzioni specifiche in vari distretti
cerebrali fino a livello di singoli gruppi neuronali; infine, parlando in
generale dell’organismo, si può affermare che le SAM e le CAM, nel loro insieme,
possono correlare la posizione delle cellule, così come l’interazione di gruppi
o collettivi di cellule, con l’espressione genica (cioè manifestare il
dispositivo epigenetico), da cui ne consegue che la forma d’ogni organo e
tessuto, e quindi indirettamente la sua funzione, è il risultato finale
dell’agire di queste molecole morforegolatrici, insomma che queste molecole
possono costituire una rete di modulazione che permette la creazione di veri e
propri schemi di sviluppo dell’organismo (Bauplan)
seguiti, quando lo sviluppo s’è completato, dai conseguenti e relativi schemi
funzionali di tessuti e organi; e così come nel corpo, anche nel cervello, s’è
vero che l’azione combinata delle CAM (N-CAM, Ng-CAM) e delle SAM, sintetizzate
dai neuroni ed espresse nei vari distretti cerebrali in funzione del tempo, della
regione e del tipo di cellula, può creare un numero praticamente illimitato
d’interazioni la cui funzione è quella di modulare la crescita direzionale
degli assoni, la formazione delle sinapsi, l’associazione di gruppi di neuroni
affini, la loro organizzazione in colonne (v. supra) e via elencando, cui sono da aggiungere il ruolo dei
meccanismi trofici (NGF e NGF-simili) e il ruolo del meccanismo di retroazione
continuo fra il programma genico, le sopra citate molecole che fungono da
intermediarie (neurotrasmettitori, CAM e SAM), e gli stimoli provenienti
dall’ambiente (interno/esterno), cioè i meccanismi selettivi di tipo
epigenetico che rimandano all’uso; la figura che segue mostra che le cellule si
connettono l’una all’altra grazie alle CAM, proteine presenti sulla membrana
esterna della cellula:
Figura
n. . Fonte: Edelman, 1993, p. 100.
La
figura che segue mostra invece le SAM che formano matrici extracellulari sulle
quali le cellule si muovono (prima della freccia) e poi si fermano (dopo la
freccia e prima del confine); M1 e M2 sono morfògeni
(cioè sostanze capaci d’induzione, quali NGF, ormoni etc., i
cui gradienti, in quanto informano le cellule sulla posizione da assumere,
oltre che a controllarne l’organizzazione e il differenziamento, sono in grado di
determinare o modificare la forma d’un organo) espressi nei luoghi di scambio
molecolari da parte di cellule adiacenti (M1 sul Tessuto 2 e M2
sul Tessuto 1), ciò che segna il confine fra due tessuti diversi, fra il
Tessuto 1, dato da cellule connesse da una combinazione di CAM e di SAM, e il
Tessuto 2, dato da cellule connesse da una diversa combinazione di CAM e di SAM
(in figura, con un’altra forma):
Figura
n. . Fonte: Edelman, 1993, p. 100.
Da
sottolineare è poi anche il fatto che questa ultima figura mostra anche il
processo topobiologico di base dell’embriogenesi, secondo il quale le cellule
si muovono oppure si fermano in un luogo specifico; infatti, dopo l’attivazione
o la disattivazione di una serie di geni, le cellule sono rilasciate oppure
trattenute, nel qual caso producono nuovi segnali per nuove combinazioni; di
conseguenza si hanno ulteriori cambiamenti nell’espressione delle CAM e delle
SAM e modifiche dei tipi di tessuti e di cellule da parte dei segnali
induttivi, o morfogeni, tanto che i risultati di tali processi ci danno le
forme e i tipi di tessuti che costituiscono l’embrione; da ricordare che sono
geni specifici quelli che controllano la formazione di specifiche CAM e SAM e
che questi geni, ereditabili all’interno d’una data specie, sono perciò
determinanti il meccanismo di sviluppo della forma assunta dalla specie (cioè
il suo Bauplan, la sua morfologia
come risultato finale); e a proposito di Bauplan,
è stata identificata la tipologia d’un gene, che dà origine alla famiglia dei
geni omeotici, che specifica le proteine che si legano a porzioni d’altri geni
e che, in seguito, regola la produzione delle proteine specificate da queste
altre porzioni di geni, ciò che fa sì che un gene omeotico sia deputato a
controllare le traiettorie dello sviluppo e i passi di differenziamento che,
dato uno schema corporeo, portano allo sviluppo d’una data e determinata
regione del corpo, per esempio, un arto, un occhio, una parte della colonna
vertebrale etc.; e senza dimenticare poi
che una specie corrisponde a una particolare combinazione di geni (la cui
frequenza è stabilita, in media, dalla selezione naturale nel corso
dell’evoluzione), e che, s’è vero che i geni controllano l’intero processo, lo
fanno però solo indirettamente, ossia controllando quali sostanze
morforegolatrici sono espresse o quali geni omeotici devono intervenire, e che
il destino microscopico d’una cellula nelle traiettorie dello sviluppo e nei
passi di differenziamento verso la morfologia finale è determinato, lo si
ripete, da eventi epigenetici che dipendono dall’effettiva storia d’uno
sviluppo, storia ch’è unica per ciascuna cellula dell’embrione in via di
formazione, ciò che, ancora, rende unico, vale a dire storicamente situato,
quell’organismo all’interno della popolazione d’una data specie, e senza
dimenticare che unicità vuol dire variabilità degli organismi all’interno d’una
data popolazione, unicità/variabilità sulla quale si basa il dispositivo che
porta la selezione naturale a produrre tipi differenti d’organismi; ciò ch’è in
grado di spiegare, volendo, come l’evoluzione possa, in un ambiente mutato, adottare
cambiamenti morfologici d’un organismo, sviluppatisi con modalità relativamente
rapide, ma di vasta portata, questo supponendo, per esempio, che nel corso
della storia evolutiva d’una specie una mutazione genetica alteri il controllo
dei tempi d’una molecola morforegolatrice o delle sue modalità di connessione,
ciò che ne ritarderebbe l’espressione tanto da consentire alle cellule di
questa regione dell’embrione di dividersi in modo superiore rispetto alla
norma, con la conseguenza di portare a uno schema corporeo di maggiori
dimensioni e di diversa forma, cioè a una morfologia inedita che, se capace
d’una maggiore capacità adattativa a un mutamento ambientale, o all’occupazione
d’una inedita nicchia ecologica, può spingere a una maggiore riproduzione di
questi organismi grazie alla loro fitness,
con il risultato evolutivo d’aumentare la frequenza del gene mutante in quella
data popolazione che verrà così premiata dalla selezione naturale; ora,
ritornando al sistema nervoso e al cervello, questi si formano in base a
processi simili a quelli sopra descritti poiché all’interno del sistema nervoso
i processi che avvengono durante l’embriogenesi sono topobiologici, come dire
che la mappatura prodotta dall’emissione di prolungamenti da parte dei neuroni
verso le aree bersaglio è permessa dalle dinamiche di crescita e selezione
create dalle molecole morforegolatrici (dinamiche che implicano poi la morte
selettiva dei neuroni in competizione fra loro), ciò che infine assesta, in un
dato arco temporale legato ai meccanismi epigenetici, le strutture neurali,
ossia le loro funzioni; tanto che le informazioni sopra esposte relativamente
ai NGF, alle CAM e alle SAM, hanno permesso poi di teorizzare un inquadramento
globale sotto l’etichetta d’una sintesi logica che assume il nome di darwinismo
neurale o
teoria della selezione dei gruppi neuronali (Groups Neuronal Selection Theory, GNST); il che è affermare, stando
a quanto il darwinismo ha scoperto e validato per via sperimentale, che le
stesse regole che valgono per le dinamiche di crescita e selezione in una
popolazione d’organismi valgono anche per le popolazioni di cellule che li
costituiscono, come dire che qui si parla d’un sistema selettivo evolutivo ch’investe
gli organismi d’una specie e che implementa a sua volta, all’interno d’ogni organismo
di quella specie (e per l’intero corso dell’esistenza di questo organismo), dei
sistemi selettivi di tipo somatico, e dove con soma (σῶμα, tradotto con corpo) s’intende poi, in biologia, l’insieme delle
popolazioni cellulari il cui destino è quello d’essere utilizzate per arrivare
a formare dei tessuti e degli organi, dunque per assemblare il corpo d’un organismo
pluricellulare, popolazioni cellulari dette, per questo, somatiche; e il tutto del
sopra citato inquadramento globale sotto l’etichetta GNST si basa sul fatto che
in un sistema selettivo, evolutivo o somatico che sia, la diversità esiste già in
un repertorio di partenza, tanto tra la popolazione d’una specie quanto d’una
popolazione cellulare somatica e la specificità d’un corpo (la sua
individualità specie-specifica) o d’una popolazione cellulare somatica (la sua
unicità in un corpo) emerge solo a posteriori come risposta adattativa
all’ambiente, tanto da parte dell’embrione che, a partire dalle cellule
germinali ereditate (spermatozoo e ovulo), darà origine a un corpo con la sua
plasticità fenotipica storicamente situata, quanto da parte delle popolazioni
cellulari somatiche di quel corpo fattosi storico; che queste popolazioni siano
poi, per esempio, costituite da linfociti come nel sistema immunitario, o da neuroni
come nel sistema nervoso, ciò ch’emerge è che l’approccio popolazionistico del
darwinismo è sempre fatto salvo, ricorrendo in un caso alla teoria della
selezione clonale immunitaria (v. infra)
e, nell’altro, alla teoria della selezione dei gruppi neuronali; s’è detto,
dunque, selezione somatica dei gruppi neuronali, là dove il gruppo neuronale
rappresenta l’unità di selezione della teoria e con il termine gruppo neuronale
s’intende poi l’insieme dei neuroni (presumibilmente, da 50 a 10 000 neuroni,
non necessariamente dello stesso tipo) che interagiscono cooperativamente in
quanto temporalmente e localmente interconnessi dal punto di vista sinaptico, gruppo
ch’è poi capace di rispondere in modo coerente a un segnale (e dove ogni gruppo
presenta confini precisi e una specificità di risposta); e, stando sempre all’ipotesi
del darwinismo neurale, esistono delle tappe somatiche precise nelle modalità
per variazione e selezione della popolazione neurale d’un organismo con cui il
sistema nervoso di quest’ultimo si plasma in modo adattativo, epigenetico, alle
contingenze d’un ambiente; e questo si dice visto che quello che accade alle
cellule tutte dipende da dove accade e che, affinché una dinamica topobiologica
s’affermi (cioè che si verifichi un evento in un certo luogo), è necessario che
in precedenza si siano verificati altri eventi in altri luoghi; rigidità
evolutiva ch’è specie-specifica giacché i vincoli globali cui sono sottoposti i
geni sono caratteristici d’una specie, rigidità che però, a livello delle
cellule, si manifesta poi come intrinsecamente plastica, variabile; per
esempio, è impossibile, trovare un’identica configurazione di neuroni nella
stessa posizione e nello stesso momento visto che la selezione garantisce sì
l’esistenza di configurazioni neurali funzionalmente comuni a tutti gli
esemplari d’una specie, ma garantisce anche che il farsi storico delle
configurazioni sia fenomeno unico, prettamente individuale, cioè dinamico e
plastico dal punto di vista topobiologico; ciò che, infine, lega in un tutto
unico l’uguaglianza genetica d’una specie e la diversità epigenetica degli
individui che la compongono; dato dunque il cervello inteso come sistema
selettivo che opera per tutta la durata di vita d’un organismo, la prima popolazione
neurale a formarsi per variazione e selezione dei gruppi neuronali è quella
legata all’embriogenesi (v. supra),
vale a dire allo sviluppo embrionale che si ha quando si forma la neuroanatomia
del SNC, là dove le regolazioni epigenetiche dell’espressione dei geni nei
processi di sviluppo dell’embrione e del feto (v. supra) arrivano a produrre una serie di repertori primari, cioè una
popolazione di gruppi neuronali e di circuiti varianti nelle aree cerebrali; e
si dice repertorio perché l’identità per ritrovare i circuiti che lo formano è
data dal fatto che i neuroni che scaricano insieme si cablano anche insieme,
cioè effettuano tra di loro, grazie a configurazioni di scarica correlate nel
tempo, dei collegamenti sinaptici; repertorio primario che varia tra gli
organismi d’una stessa specie giacché, nonostante le strutture neuroanatomiche
siano simili tra gli organismi detti, nei dettagli individuali dei numerosi
circuiti neurali l’espressione dei geni non è controllata dal DNA, il che è riaffermare
che l’embriogenesi che porta alle caratteristiche neuroanatomiche d’una data
specie è un’inevitabile fonte di variazioni dovute ai fenomeni di plasticità epigenetica
che sono alla base della formazione e del mantenimento delle sinapsi e d’una
prima conformazione complessiva della popolazione neurale del cervello (d’una
impalcatura delle connessioni tra gruppi neuronali sotto forma, appunto, di
repertori primari in cui, lo si ripete, il ruolo del codice genetico non è
quello di fornire uno schema dettagliato e preciso per la formazione di questi
repertori, ma piuttosto quello d’imporre un insieme di vincoli al processo di
selezione somatica dei neuroni durante la competizione topobiologica); una
volta che si siano formate le basi neuroanatomiche (e dove, lo si risottolinea,
i processi embrionali implicanti le CAM e le SAM hanno, con la loro storia
cellulare che obbedisce a processi statisticamente variabili, una funzione
fondamentale nel creare un grande repertorio primario di gruppi neuronali fra
loro diversi che sono, come detto, il risultato d’una competizione
topobiologica, dunque di produrre un modello di connessioni altamente variabile
di natura stocastica e diverso da individuo a individuo d’una stessa specie), ecco
che interviene sul repertorio primario la già citata interazione con l’ambiente
in cui si trova l’organismo già formato (interazione legata allo sviluppo delle
funzioni corporali e delle funzioni cerebrali che seguono i cambiamenti dovuti
alla crescita e all’esperienza e dove, in generale, non sono implicati
cambiamenti nelle configurazioni neuroanatomiche); e qui la ricezione degli
stimoli sensoriomotori dell’ambiente, non sempre prevedibili, si trasduce nelle
strutture sinaptiche delle cellule nervose che attivano i circuiti neurali, già
presenti nel repertorio primario (dunque con una tipologia delle connessioni
già data), dove particolari combinazioni in intensità dei segnali trovano
alcuni gruppi neuronali più veloci o più adatti di altri a rispondere, ciò che
promuove una miriade d’inediti eventi selettivi nelle popolazioni di sinapsi,
favorendo, in base all’utilizzazione, il consolidamento o l’indebolimento di combinazioni
particolari di sinapsi nelle popolazioni neurali, vale a dire una modificazione
della loro intensità nel corso dell’esperienza che dipende da complessi eventi
biochimici locali e che possono differire da una localizzazione cerebrale
all’altra e che danno origine, con i rafforzamenti delle connessioni, alla
plasticità sinaptica; consolidamento
o indebolimento che produce poi sulla precedente configurazione della
popolazione neurale un funzionamento bidirezionale opportunistico che tiene
conto della realtà esperienziale, ciò che, amplificando le varianti che sono più
adatte (la loro riproduzione differenziale), crea configurazioni di
risposta convenienti all’organismo, cioè adattative, che danno origine a repertori
secondari di gruppi neuronali; repertori secondari che rispondono in modo più
efficiente a segnali precisi perché precedentemente selezioni e rafforzati e che
sono poi convalidati da sistemi di proiezione assonali, ognuno dei quali
sistemi, quando dovuto, rilascia un dato tipo di neurotrasmettitore o
neuromodulatore che influenza contemporaneamente grandi popolazioni neuronali
che vincolano le risposte neurali legate all’apprendimento, alla memoria e al controllo
delle risposte del corpo; sistemi che dal loro nucleo originario sottocorticale
proiettano poi in modo aspecifico nelle varie zone corticali fasci ascendenti e
diffusi di assoni e che sono classificati come sistemi di valore (v. infra) poiché la loro attività è primariamente
vincolata alle risposte necessarie per la sopravvivenza (per esempio, regolazione
delle funzioni corporee) e a meccaniche di ricompensa (della fame, della sete, del
sonno etc.) e, a seguire, a
convalidare gli eventi selettivi nei gruppi neuronali prodotti come risposta
all’ambiente; sistemi di valore, ancora, che sono costituiti da gruppi
neuronali agenti nelle parti (dal punto di vista filogenetico) più antiche del
cervello, e come tali rappresentano effetti imperativi prodotti dalla selezione
naturale, cioè eventi rilevanti legati alla logica evolutiva dell’organismo che
intervengono, a seguire, sulla selezione somatica con modalità epigenetiche; in
tutto questo, ciò che soprattutto importa è poi nel fatto che i repertori
secondari determinano delle correlazioni statistiche spaziali e temporali dei
segnali sinaptici fra gruppi neuronali, correlazioni statistiche che per potere
contribuire al comportamento adattativo devono riprodurre (categorizzare) le
proprietà spaziotemporali dei segnali che originano nell’ambiente; si vengono
così a creare connessioni reciproche fra repertori secondari temporalmente
sincronizzati tra aree corticali e tra aree corticali e sottocorticali (processo
detto di rientro, reentry),
connessioni d’assoni che funzionano in parallelo e che sono distribuite
sull’intera struttura corticale in quanto ogni area è simultaneamente connessa
a molte altre aree e la loro coordinazione avviene poi per il tramite d’un
flusso continuo di segnali bidirezionali entro le connessioni e tra le
connessioni (questo significa che quando sono selezionati alcuni gruppi di
neuroni in un’area, possono essere in pari tempo selezionati altri gruppi di
neuroni appartenenti ad altre aree, gruppi di neuroni diversi da quelli della
prima area, ma connessi tra loro grazie al processo del rientro); ed è grazie
alla segnalazione rientrante e al rafforzamento temporaneo delle
interconnessioni tra le varie aree che s’ottengono la correlazione e il
coordinamento di questi eventi di selezione, là dove è poi l’emergere d’un coordinamento
selettivo dei complessi schemi d’interconnessione tra gruppi di neuroni operati
dai processi di rientro ciò che sta alla base del comportamento; infatti, è proprio
in questo modo che l’agire del rientro consente di mettere in correlazione
caratteristiche diverse dell’ambiente, raccolte in maniera indipendente (cioè
selezionate nel corso dell’esistenza) attraverso canali e sottocanali
sensoriali, ed è questa selezione in fase perenne di ristrutturazione sinaptica
dei gruppi neuronali che permettere di riprodurre (categorizzare e
ricategorizzare) la continuità spaziotemporale dell’ambiente di vita
dell’organismo e di garantire, in questo modo, un comportamento adattativo; come
dire, ancora, che il campionamento probabilistico di informazioni sull’ambiente
non è mai statico, ma è modulato dal movimento e dal comportamento
dell’organismo attimo dopo attimo, ed è questo processo dinamico di
categorizzazione e ricategorizzazione percettiva dettato dalla contingenza che permette
di potere spiegare il cambiamento nel modo di funzionare del cervello e dell’intero
organismo a seguito degli innumerevoli eventi selettivi effettuati tra i gruppi
neuronali; tutto questo perché (e fatto salvo il fatto che la selezione, per
potere funzionare, deve prevedere il fenomeno della degenerazione, degeneration; v. infra), l’organismo reagisce a oggetti ed eventi d’un ambiente che
è senza etichette, dove non esistono schemi a
priori né ordinamenti deduttivi che permettano d’etichettare in anticipo gli
oggetti e gli eventi che lo attualizzano, tanto che un organismo può ripartire
in un ambiente gli oggetti e gli eventi categorizzandoli sì in confini secondo
un quadro unitario, ma in confini che sono sempre relativi, mai assoluti, e dove
il quadro unitario è sempre dipendente, cioè categorizzato e ricategorizzato, o
dalle esigenze adattative o dall’intenzionalità; affermato questo in generale, l’esempio
che segue cerca di mostrare come la capacità di categorizzare sia poi
incorporata nel sistema nervoso, specificamente con il ricorso alla
categorizzazione percettiva, ossia alla discriminazione selettiva d’un oggetto
o d’un evento da altri oggetti o eventi per scopi adattativi, il tutto grazie a
un campionamento separato delle diverse caratteristiche dell’oggetto (per
esempio colore, movimento, orientamento etc.) o dell’evento; siano, sempre per
esempio, due mappe di gruppi neuronali che in ingresso ricevono segnali fra
loro indipendenti (ingresso 1 e ingresso 2) e dove ogni mappa assolve una
funzione diversa, la mappa 1 che ipotizziamo risponda a un tipo di caratteristiche
locali, quali la presenza di angoli nel campo visivo, la mappa 2 che risponde invece
ad altre caratteristiche locali, quali il movimento complessivo dell’oggetto;
queste 2 mappe sono però tra loro connesse da fibre nervose, molto fitte ed
estremamente numerose, in modo tale che la segnalazione risulti parallela e
bidirezionale e il rientro metta in corrispondenza la mappa 1 con la mappa 2
(come mostra la figura che segue); se dopo un certo periodo di tempo i gruppi attivi
della mappa 1 (indicati con un piccolo cerchio bianco) si connettono mediante
il rientro ai gruppi attivi della mappa 2 (indicati con un piccolo quadrato
nero), ecco che queste connessioni sinaptiche risultano essere rinforzate,
ragione per cui, per effetto della segnalazione rientrante che rafforza le
dette connessioni, si presenta l’associazione delle configurazioni di risposta
delle due mappe, cioè l’associazione degli angoli nel campo visivo con il
movimento complessivo dell’oggetto, associazione di configurazioni che assume
il nome di coppia di classificazione, là dove, a causa del rafforzamento
sinaptico, le risposte agli stimoli in
ingresso del momento (ingresso 1, ingresso 2) fra loro indipendenti, se pure
correlate, sono poi anche collegate alle configurazioni di risposta che si sono
presentate in un tempo precedente:
Figura
n. . Fonte: Edelman, 1993, p. 140.
Ora,
la coppia di classificazione è l’unità minima che aiuta a spiegare come possa
avvenire la categorizzazione, questo grazie al fatto che la connessione fra le
due mappe è topografica, ossia correla eventi che accadono in un certo punto
dell’ambiente esterno grazie alla connessione tra uno strato di recettori
sensoriali (che da questo ambiente ricevono segnali in ingresso) e una mappa
tale che posizioni adiacenti nel citato strato corrispondano a posizioni
adiacenti nella mappa; questa connettività non è però limitata a una coppia di
classificazione poiché si possono coordinare, nello stesso modo, anche le
interazioni tra molteplici mappe; proprietà che fa sì che, nella selezione dei
gruppi neuronali che avviene all’interno delle mappe, siano prodotti inediti
tipi di segnali che, in seguito, con il fenomeno del rientro, sono presenti
nelle mappe assieme a segnali dell’ambiente esterno (fenomeno detto di sintesi
ricorsiva), come dire che non solo gli eventi si correlano topograficamente su
diverse mappe, ma anche che nel tempo, attraverso rientri successivi e
ricorsivi nelle mappe, emergono nuove proprietà selettive; dunque,
semplificando, le categorizzazioni avvengono associando i segnali provenienti
da molteplici mappe connesse mediante rientro al comportamento sensomotorio
dell’organismo, ciò che permette di realizzare una struttura d’ordine superiore,
detta mappa globale, che altro non è che una struttura dinamica e plastica che varia
nel tempo composta da mappe locali (motorie e sensorie) connesse da rientro
multiplo e in grado d’interagire con regioni del cervello non organizzate a
mappe, cioè non mappate, quali l’ippocampo, i gangli basali e il cervelletto,
ciò che permette di formare una rappresentazione spaziotemporale continua
d’oggetti ed eventi, cioè di coordinare percezione e azione e d’interagire nel
corso del tempo in modo adattativo con l’ambiente esterno; la figura seguente
illustra una mappa globale dove strati di recettori sensoriali e muscoli e
articolazioni danno origine a una mappa primaria a sua volta connessa dal
rientro, in modo bidirezionale (frecce diritte), con una mappa secondaria;
mappa secondaria a sua volta legata, sempre in modo bidirezionale, con una regione
non mappata qual è l’ippocampo (frecce curvate); ancora, la mappa secondaria è
poi legata in modo bidirezionale (frecce diritte) con le aree parietali e
frontali a loro volta legate, sempre in modo bidirezionale (frecce ad angolo),
con la corteccia motoria; corteccia che è poi connessa in modo bidirezionale
con un’area non mappata, il cervelletto (frecce curvate), cervelletto che
riceve anche segnali dagli strati di recettori sensoriali, dai muscoli e dalle
articolazioni; questo insieme di connessioni appena descritto produce un
segnale d’uscita modificato che interviene sui muscoli; muscoli che creano
movimento (freccia grande), movimento che a sua volta altera il campionamento
sensoriale che interviene poi (freccia grande) modificato sugli strati di recettori
sensoriali, di muscoli e di articolazioni, facendo ripartire il mappaggio
globale:
Figura
n. . Fonte: Edelman, 1993, p. 140.
È
quindi la mappa globale che, nel detto ciclo dinamico e plastico, mette
continuamente in corrispondenza i gesti e la postura dell’organismo con il
campionamento indipendente di vari tipi di segnali sensoriali, ed è la
selezione dei gruppi neuronali all’interno delle mappe locali di questo mappaggio
globale che produce le specifiche risposte categoriali, questo perché è
l’attività sensomotoria sull’intera mappa globale che seleziona i gruppi
neuronali che forniscono i segnali in uscita (decisi in base alla statistica
delle correlazioni fra segnali), cioè i comportamenti adeguati (adattativi) da
cui consegue la categorizzazione; categorizzazione che avviene sempre in
riferimento a sistemi di valore interni (dove un valore è poi un vincolo
necessario) che ne definiscono l’adeguatezza, cioè limitano i domini d’appartenenza
delle categorie a un ventaglio d’opzioni ritenute pertinenti, ma senza
determinare, in un contesto spaziotemporale, specifiche categorizzazioni,
dunque manifestandosi come precondizioni perché vi sia una risposta percettiva
o comportamentale; per esempio, e se n’è già accennato in precedenza, la
selezione evolutiva fissa in modo specie-specifico (cioè negli organismi d’una
data specie) le basi di questi sistemi di valore che si manifestano nelle
regioni del cervello preposte alla regolazione delle funzioni corporee, quali
il battito cardiaco, la respirazione, le risposte sessuali e quelle relative
all’alimentazione, le funzioni endocrine, le reazioni del sistema autonomo,
cioè nelle categorizzazioni vincolate da quei valori che soddisfano in maniera
adeguata i requisiti dei sistemi fisiologici da cui dipende l’essere in vita,
requisiti valoriali selezionati poi nelle strutture fenotipiche e nei circuiti
neurali durante il percorso evolutivo d’una data specie; la figura seguente mostra
l’organizzazione topologica d’un sistema di valore e nello specifico sono
illustrate le proiezioni ascendenti diffuse del locus coeruleus, un gruppo relativamente piccolo di neuroni (poche
migliaia) del tronco cerebrale che rilascia noradrenalina, e per questo detto
sistema noradrenergico (per esempio, questo sistema è attivato nelle risposte
di stress e panico); si noti che le frecce
che si dipartono dal locus coeruleus
rappresentano delle proiezioni aspecifiche inviate all’intero cervello
(neocorteccia, talamo, ipotalamo, cervelletto, midollo spinale) nel mentre si rilascia
il neuromodulatore noradrelina:
Figura
n. . Fonte: Edelman e Tononi, 2000, p.
107.
Sopra
s’è poi detto che la selezione, per potere funzionare, deve prevedere il
fenomeno della degenerazione, degenerazione che non va però intesa come termine
semanticamente apportatore di negatività, ma come termine che indica una
modificazione del modo con cui si produce una risposta in uscita da un circuito
neurale, dove la modificazione è nella
probabilità di potere rimpiazzare uno dei circuiti (presente nei repertori del
cervello) che smette di funzionare e al cui posto se n’attiva un altro, di
struttura non identica, ma in grado di manifestare la stessa risposta in uscita
(o risposta degenerata), questo perché circuiti con diverse strutture
presentano una parte associativa in comune (prevista dal sistema selettivo
nella sua logica di ridondanza delle alternative possibili per una stessa
funzione) che permette di riprodurre un risultato in uscita equivalente a
quello del circuito non più funzionante, come dire ch’esiste una varietà di
circuiti neurali che mappano in concorrenza gli stessi stimoli in modo fra loro
diverso, ma in modo compatibile con la funzione, ciò che rende prevedibile da
un lato la possibilità dell’emergenza di contingenze non programmabili e,
dall’altro, favorisce l’adattabilità a quella specifica contingenza imprevista
(così come una parte comune, se il segnale in ingresso cambia, può associarsi
con circuiti diversi e produrre risultati differenti); questo perché il
cervello, per fare fronte a un ambiente imprevedibile, deve avere effettuato un
campionamento della realtà e deve sapere categorizzare in modo dinamico i campioni
che da questo provengono in una varietà plurima di modi, il che è dire che i
circuiti devono ordinare e distinguere in categorie percettive gli stimoli in
ingresso per insiemi fra loro parzialmente interfunzionali, selezionabili in
modo competitivo affinché possano poi essere efficaci, cioè d’ausilio alla
sopravvivenza dell’organismo; la degenerazione, dunque, efficace com’è nel
fornire vie alternative per una specifica funzione, non può stabilire dei
vincoli per un sistema selettivo, anzi, rappresenta un allentamento dei
vincoli, ma non si dimentichi che questo allentamento è sempre nel ventaglio
delle configurazioni di valori selezionate per via evolutiva, perché, riprendendo
la questione dei sistemi di valore, sono di fatto questi, con i loro vincoli,
che aiutano il cervello e il corpo a mantenere le condizioni necessarie alla
vita; questi sistemi, infatti, sono detti omeostati, cioè capaci d’autoregolazione,
ed è proprio l’associazione tra moto e campionamento dei segnali sensoriali, da
cui deriva il comportamento, a modificare i livelli omeostatici; questo perché,
a parte i moduli di comportamento specie-specifici selezionati in maniera diretta
dall’evoluzione, la maggior parte delle categorizzazioni che portano a un
comportamento che modifica i livelli omeostatici si verifica per selezione
somatica di gruppi neuronali, tanto che la categorizzazione non s’identifica
con il valore ma si basa su valori, ossia è un evento (epigenetico) dello
sviluppo che può avvenire solo in presenza di una selezione di gruppi neuronali
promossa dall’esperienza; detto altrimenti, sono presenti una molteplicità di gruppi
neuronali, prodotti in un primo tempo dall’evoluzione embrionale e selezionati,
riselezionati e ritrascritti incessantemente nella loro forza sinaptica nel
tempo che insegue la crescita del corpo e dell’esperienza adattativa all’ambiente
e ognuno di questi gruppi neuronali ha una sua specificità di categorizzazione
percettiva ch’è il risultato d’una selezione esperenziale; gruppi, come visto, che
sono poi tra loro coordinati in modo dinamico grazie agli scambi ricorsivi dei
segnali che legano in un insieme le diverse selezioni operate nel corso dello
sviluppo secondo una processualità multidirezionale che correla senza sosta
questi gruppi tra di loro fino a che il corpo è in essere e che fornisce una risposta
univoca data dall’integrazione di questa molteplicità di gruppi mappati (delle
loro informazioni) che si traduce in circuiti autorganizzati (cioè come scarica
coerente, cioè sincrona, di gruppi neuronali in particolari circuiti), un
prodotto della selezione di popolazioni neurali dovuta alle variazioni
esperienziali subite o agite dall’organismo, un risultato non estensibili a
nessun altro organismo della stessa specie, che diventa poi la base per la formazione
d’una categorizzazione e ricategorizzazione percettiva e operativa della realtà
vissuta e agita da parte del cervello, che poi altro non è che il prodotto d’un
adattamento cognitivo all’ambiente della popolazione neurale complessiva d’un
organismo; la figura seguente illustra le modalità connettive tra le unità di
selezione, i gruppi neuronali; sono presenti 5 gruppi di neuroni (dal gruppo 1
al gruppo 5), dove i neuroni del gruppo 1 e del gruppo 5 sono in contatto con
neuroni dello stesso gruppo (connessioni intrinseche) e con neuroni di gruppi
esterni (connessioni estrinseche); il gruppo 2 presenta solo connessioni
intrinseche; il gruppo 3 riceve segnali anche da una sorgente estrinseca, con
segnali sovrapposti che possono essere stimolati selettivamente; nel gruppo 4
sono presenti connessioni di tipo intrinseco, estrinseco e con segnali
d’ingresso d’una sorgente estrinseca; i gruppi differiscono poi per dimensione
(come sopra detto, da 50 a 10 000 neuroni) e per il tipo di connettività,
determinato questo dalla specifica neuroanatomia delle aree in cui si trovano:
Figura
n. . Fonte: Edelman, 1993, p. 136.
La figura
seguente illustra invece i tre capisaldi della teoria della selezione dei
gruppi neuronali, che qui riassumiamo; si parte dalla selezione nella fase di
sviluppo, ch’è un effetto della regolazione delle molecole d’adesione cellulare
(CAM), delle molecole d’adesione del substrato (SAM), dell’attività di
segnalazione del fattore di crescita (NGF) e della morte selettiva dei neuroni (potatura),
eventi che producono reti anatomiche diverse da individuo a individuo per i
detti fattori epigenetici, reti che compongono poi il repertorio primario;
segue la selezione esperienziale, un processo selettivo determinato dal
comportamento che consolida o indebolisce popolazioni di sinapsi e porta alla
formazione di vari circuiti, cioè a un repertorio secondario di gruppi
neuronali (in figura, la linea marcata indica le connessioni sinaptiche
consolidate e quella tratteggiata le connessioni indebolite); infine, c’è il
rientro dove i collegamenti tra i circuiti mappati si formano nel corso del
tempo mediante processi paralleli di selezione e la correlazione di gruppi
neuronali appartenenti a circuiti mappati fra loro diversi e che ricevono i
segnali in maniera separata e indipendente, e questo processo sta alla base della
costituzione di un repertorio degli eventi selettivi, dinamici e ricorsivi, che
coordinano i circuiti mappati e che favoriscono la categorizzazione percettiva
(in figura, i pallini alle estremità delle connessioni bidirezionali attive
indicano il consolidamento, in parallelo e all’incirca sincrono, delle sinapsi
delle vie rientranti lungo connessioni reciproche); si ricorda, ancora, che le
connessioni rientrati all’interno di un gruppo neuronale (connessioni
intrinseche) o di gruppi neuronali (connessioni estrinseche) possono
consolidarsi così come indebolirsi:
Figura
n. . Fonte: Edelman, 1993, p. 133.
La
figura che segue illustra grossomodo il processo di rientro delle
interconnessioni del sistema talamocorticale dove le strutture anatomiche
comprendono una densa trama di connessioni reciproche fra la corteccia e il
talamo e fra diverse regioni corticali tra loro (rappresentate da frecce
bidirezionali, dal talamo alla corteccia le proiezioni talamocorticali, e dalla
corteccia al talamo le proiezioni corticotalamiche; le altre frecce indicano
connessioni reciproche fra la corteccia, dette tratti corticocorticali), là
dove il traffico dei potenziali d’azione fra le connessioni reciproche modifica
la forza delle sinapsi, ciò che permette d’integrare e sincronizzare le diverse
attività di varie regioni celebrali specifiche:
Figura
n. . Fonte: Edelman, 2007, p. 26.
Riprendendo
le fila, s’è cercato d’illustrare l’ipotesi di come il cervello si strutturi,
nel corso dell’evoluzione d’un organismo, qui il genere Homo, al fine d’integrare in un tutto coerente fonti via via diverse
d’informazione che sono legate al mutamento d’azione imposto agli individui da un
ambiente ch’è storicamente situato, ambiente che si fa via via sempre più
dinamico dal punto di vista economico e sociale e in cui le modalità
d’integrazione slittano sempre più velocemente dal cervello individuale
specie-specifico al cervello sociale che modifica il comportamento di gruppo,
per cui ora ci si propone di riprendere l’ipotesi del cervello sociale e
d’approfondirla partendo dalla teoria della costruzione di nicchia (Niche Construction Theory, NTC) che
permette di legare tra di loro, in Homo
erectus, Homo arcaico e Homo sapiens tanto l’evoluzione della
neocorteccia e del cervelletto nella logica d’una economia tecnologicamente
avanzata che sostiene una rete sociale (e che grazie a questa si riproduce nel
tempo), quanto nella modificazione (o antropizzazione) d’un ambiente che, a sua
volta, permette tanto l’evoluzione del cervello quanto lo sfruttamento
ottimizzato delle risorse disponibili, il tutto in un dispositivo che processa
con meccanismi di causalità reciproca questi tratti e ne fa emergere una
meccanica non lineare.