Detto
questo, e prima d’affrontare ciò che più interessa, cioè l’importante ruolo del
cervello sociale nel processo evolutivo del genere Homo (v. infra),
cerchiamo ora d’affrontare il cervello per com’è fatto, per come lavora e,
soprattutto, per enucleare come s’è evoluto un cervello sociale; e poiché quest’ultimo
si presume non sia fatto di materia, ma risieda in una processualità che
dipende da una particolare configurazione presentata dalla materia che la fa
emergere in modo non lineare, bisogna sospettare che, date le informazioni
genetiche e il loro programma di attuazione, i sistemi neuronali, con la loro
plasticità, dipendano da una configurazione evoluta via via nel cervello in
quanto storicamente legato alle funzioni via via evolute nel corpo, ciò che di
fatto coinvolge più livelli cerebrali tra loro variamente implicati e interconnessi,
a partire da quelli molecolari e cellulari per arrivare a quelli non lineari legati
al corpo nel suo contesto materiale e storico; dove questi livelli non lineari,
se e solo se il loro emergere è legato al contesto storico, sono pertanto da legare
anche a quelle dinamiche che implicano e permettono la sua sopravvivenza, la sua
vita di relazione e la sua riproduzione, cioè la coesistenza dinamica,
intenzionale e collaborativa, con gli altri; come dire ch’è soprattutto la rete
pervasiva creata dalla materialità del vissuto ciò permette al cervello di
manifestare storicamente una sua plasticità fenotipica, individuale se pur legata
a un insieme sociale; ciò che richiede, alla fin fine, di sapere districare l’architettura
di un insieme dato dalle connessioni neuronali che s’implementano nel sistema
nervoso d’un corpo creato dalla trasmissione delle informazioni genetiche e
addestrato nel suo ciclo vitale da un contesto storico, dunque non il corpo e
il cervello d’un singolo e isolato individuo, ma quello d’un organismo animale che
ha imparato a prodursi e riprodursi attraverso un lavoro coordinato e
collettivo, lavoro che produce/riproduce incessantemente sull’insieme il
governo d’un cervello sociale, dunque il corpo e il cervello d’un animale
sociale (v. infra); partiamo dunque
da lontano per potere arrivare a possedere quelle informazioni che ci
permettano di parlare del cervello sociale in quanto storicamente ereditato e partiamo
da un meccanismo molecolare reattivo alla mutevolezza dell’ambiente circostante
esistente già negli organismi unicellulari, e che per questi si traduce nella
capacità di muoversi e percepire, e che si ritrova più o meno simile nei
meccanismi cui sottostanno gli impulsi elettrici nervosi presenti in un neurone
e in una pluralità di neuroni che, nei vertebrati e negli invertebrati, sono
dotati delle stesse funzioni; e questo meccanismo reattivo all’ambiente ci
informa del fatto che l’evoluzione della conformazione del cervello in generale,
dagli organismi inferiori agli animali superiori, s’è manifestata partendo dal
fatto che la pressione selettiva ha favorito nel suo decorso la sovrapposizione
di nuove strutture a strutture già preesistenti (bricolage), dove le strutture incorporate sono state in grado di mantenere
le proprie funzioni, seppure nell’ambito d’una messa a giorno legata all’organo
incorporante; ed è forse utile ora, per capire l’evoluzione del cervello del
genere Homo, valutare anche come
queste strutture emergono nel corso dello sviluppo dell’embrione, là dove,
riprendendo un’affermazione della teoria della ricapitolazione embriologica (se
pure non da oggi screditata), l’ontogenesi d’un individuo, soprattutto in fasi
particolari del periodo uterino, pare riassumere la filogenesi della specie;
l’embrione si classifica come tale a partire dalla prima divisione cellulare e
fino a che non è terminato il processo di organogenesi, ossia di formazione degli
abbozzi degli organi principali, processo che termina alla fine del secondo
mese di gestazione (e dove, a seguire, lo si chiama poi feto), e in questo arco
temporale l’embrione, a partire dalla seconda settimana, è formato da tre
strati cellulari o foglietti embrionali, l’endoderma, il mesoderma e
l’ectoderma (v. anche infra), il cui
primo compito è quello d’iniziare a predisporre quella che sarà l’impalcatura
sulla quale s’organizza il corpo (o Bauplan,
v. infra), a cui seguirà il
differenziamento cellulare e tissutale, cioè la progressiva formazione degli
organi nel nostro organismo che si presenta a simmetria bilaterale (cioè con un
solo piano di simmetria che si delinea lungo l’asse anteroposteriore, ciò che divide
il corpo dall’alto al basso in una parte destra e una sinistra); grossomodo, dal
foglietto embrionale più interno, l’endoderma (o entoderma), derivano il tubo
digerente, il fegato, il pancreas, la
vescica e i polmoni; dal foglietto intermedio, il mesoderma, si formano i
tessuti di sostegno (il tessuto connettivo e adiposo), i muscoli, il sistema cardiovascolare,
escretorio e riproduttivo; dal foglietto più esterno, l’ectoderma, ch’è quello
che qui c’interessa, s’originano il Sistema nervoso centrale (SNC), o nevrasse,
cioè l’encefalo e il midollo spinale, il Sistema nervoso periferico (SNP),
l’epidermide e suoi derivati; con l’ectoderma si parte dal 16 giorno di
sviluppo dell’embrione, quando una striscia di tessuto embrionale dorsale
inizia un processo di differenziazione cellulare che raggruppatesi danno
origine alla piastra (o placca) neurale, che prima s’ispessisce e poi s’invagina
producendo una depressione a U (o doccia neurale) che percorre il dorso in
senso anteroposteriore i cui margini (o pliche) si sollevano e s’incurvano fino
a che, saldandosi lungo la linea mediana dorsale dell’embrione, arrivano a formare,
verso il 21 giorno, una struttura circolare cava detta tubo neurale (e si parla,
a questo proposito, di processo di neurulazione, v. infra), le cui aperture alle estremità (o neuropori), quelle che
sono in comunicazione con il liquido amniotico, s’occludono tra il 25 e il 27
giorno; successivamente, in un embrione ch’è lungo ca. 5 mm, l’ectoderma dorsale si richiude sopra il tubo
neurale (che al suo interno contiene il liquor,
v. infra) di modo che esso si ritrova
all’interno dell’embrione completamente (ma temporaneamente) isolato dal
tessuto da cui ha avuto origine, e in questo movimento tra l’ectoderma e il
tubo neurale si ritrova la cresta neurale (v. infra), una popolazione di cellule che si suddivide in due strisce,
ognuna posta sui lati della saldatura del tubo neurale, che, proliferando e in buona
parte migrando ripristinano i collegamenti fra l’interno e l’esterno, cioè formano
il SNP, il Sistema nervoso autonomo (SNA) e i neuroni sensoriali delle radici
dorsali del midollo spinale (v. infra);
la figura seguente mostra la sezione e le modalità di formazione del tubo
neurale (in alto, a sinistra, si mostra l’ispessimento della piastra neurale a
partire dall’ectoderma; in alto, a destra, la formazione della doccia neurale e
della cresta neurale e in basso, al centro, l’avvenuta la saldatura delle
pliche che formano la cavità del tubo neurale, le creste neurali poste ai lati
del tubo e, infine, l’isolamento dall’ectoderma):
Figura
n. . Fonte: Einon e Rose, 1997, p. 992.
Oltre
alle cellule della cresta neurale, proliferano e migrano anche le cellule del
tubo neurale che si trasformano nei neuroni (v. infra) e nelle cellule della glia (v. infra); da ricordare che, a seguire, la proliferazione cellulare
all’estremità anteriore (rostrale) del tubo neurale è superiore a quella
posteriore (caudale), tanto che nella prima s’arriva a costituire l’encefalo e
nella seconda il midollo spinale (cioè, nell’insieme, il SNC); detto meglio, a
partire dal 40 giorno l’estremità anteriore del tubo neurale s’espande formando
tre vescicole che diverranno le
principali regioni dell’encefalo, il proencefalo (o prosencefalo), il
mesencefalo e il rombencefalo, e questa regionalizzazione della parte anteriore
del tubo neurale prosegue facendo sì che le tre citate regioni si suddividano e
specializzino ulteriormente formando i precursori delle principali componenti
del cervello adulto; specificamente, l’estremità anteriore del telencefalo forma
due protrusioni ai lati che diventano i due emisferi cerebrali (il telencefalo,
cioè quello ch’è identificato come il cervello), cioè due sporgenze che si curvano
in direzione posteriore prima di crescere anteriormente, e dove la crescita
anteriore arriva poi a circondare il diencefalo (dove si sviluppano il talamo ottico,
o talamo, e l’ipotalamo e parte del sistema limbico) e il mesencefalo, nel
mentre la vescicola del rombencefalo comincia a differenziarsi per arrivare a
formare tutte le componenti del tronco encefalico, cioè il metencefalo e il
mielencefalo; la figura seguente illustra, con una sezione frontale, le tre
divisioni dell’encefalo nelle prime fasi di sviluppo (A) e la differenziazione
a seguire nelle sue principali suddivisioni (B):
Figura
n. . Fonte: O’Shea, 2012, p. 63.
La
figura seguente mostra invece il percorso dello sviluppo embrionale del
telencefalo prima in direzione posteriore (prima parte della figura), e poi in
direzione anteriore (seconda parte) fino a che non circonda il resto del proencefalo
(il diencefalo) e il mesencefalo (tratteggio della terza parte):
Figura
n. . Fonte: O’Shea, 2012, p. 65.
Mentre
il mesencefalo non si segmenta, la vescicola che forma il rombencefalo, come
detto, si differenzia poi in metencefalo e mielencefalo, dove nella parte ventrale
del metencefalo si sviluppa il ponte di Varolio e in quella dorsale il
cervelletto (che si vede nella figura precedente), mentre dal mielencefalo (che
si presenta al di fuori dell’encefalo, cioè della scatola cranica, all’altezza
del forame occipitale) si sviluppa il bulbo spinale o midollo allungato, la cui
parte finale continua poi nel midollo spinale ch’evolve dalla parte restante
del tubo neurale, quella caudale; la figura seguente mostra, sempre in sezione
frontale, lo schema dello sviluppo cerebrale nell’embrione comprensivo delle
cinque vescicole (telencefalo, diencefalo, mesencefalo, telencefalo e
mielencefalo) che si sono sviluppate dalle tre iniziali vescicole del tubo
neurale (proencefalo, mesencefalo, rombencefalo):
Figura
n. . Fonte (modificata): Umiltà, 2011,
p. 68.
Dalla
parte caudale del tubo neurale, ch’è poi quella che meno muta la sua forma
nell’evoluzione dell’embrione in quanto non si vescicola come la parte rostrale,
s’evolve, come detto, il midollo spinale la cui forma è grossomodo cilindrica,
con la caratteristica struttura di coppie di nervi sensitivi e motori che si
dipartono dalla superficie dorsale e ventrale del midollo spinale; la figura
seguente mostra una sezione del midollo spinale dell’embrione dove si notano le
coppie a simmetria bilaterale di nervi sensitivi e motori e il canale
ependimale (v. infra), ognuna delle
quali coppie e il segmento di midollo spinale con il quale comunicano si
troverà, a processo completato, in comunicazione entro una determinata vertebra
nella colonna vertebrale (l’epèndima è poi la membrana di rivestimento interna
del canale centrale del midollo spinale e dei 4 ventricoli cerebrali, v. infra, e questo canale ependimale non
presenta soluzione di continuità con i detti ventricoli ed è, al pari di
questi, riempito di fluido cerebrospinale, o liquor, v. infra, e
sottoposto a una lieve pressione positiva; con il termine nervi, utilizzato
anche in precedenza, s’intendono i fasci d’assoni che trasmettono le
informazioni da e verso il SNC):
Figura
n. . Fonte: Einon e Rose, 1997, p. 994.
Il
midollo spinale, ancora, è contenuto nel canale della colonna vertebrale che occupa
per intero nei primi tre mesi di gestazione, salvo poi, mentre la colonna
vertebrale aumenta di lunghezza, fermarsi nel corpo sviluppato all’altezza
della prima vertebra lombare (v. infra)
e presenta una regione centrale di sostanza grigia (che contiene le sinapsi e i
corpi cellulari dei neuroni e delle cellule gliali) circondata da una sostanza
bianca (formata da fasci di assoni in maggioranza mielinizzati che trasmettono
le informazioni in entrata e in uscita), un insieme che ha una conformazione segmentale
ripetuta, è cioè composto di 30 segmenti (31, contando il segmento coccigeo),
suddivisi in quattro regioni, specificamente quella cervicale, toracica,
lombare e sacrale (v. infra); alla
fin fine, dal tubo neurale emergono così il cervello e il midollo spinale, cioè
un SNC grazie al quale il corpo è operativo all’interno d’un dato ambiente
storicamente situato, e questo perché il midollo spinale fornisce i percorsi
più importanti per l’immissione di informazioni al SNC su qual è lo stato della
situazione esterna al corpo, e in pari tempo sempre il midollo spinale, per il
tramite dell’emissione di informazioni dal SNC, assicura all’attività operativa
del cervello la realizzazione delle sue funzioni di controllo sull’agire del
corpo all’esterno, nella realtà d’un divenire; da non dimenticare, infine, che
l’encefalo (la porzione anteriore del SNC, racchiuso nella scatola cranica) è
attraversato da 4 ventricoli cerebrali numerati I, I, III e IV (cioè da 4 cavità
separate, ma tra loro in comunicazione per il tramite di fori o canali, in cui
circola poi il liquor, v. infra), di cui I e II (di forma grossomodo ellissoidale) si trovano
nella metà destra e sinistra degli emisferi cerebrali (ventricoli laterali), III
(a forma d’imbuto) si presenta nel diencefalo e IV (a forma di losanga) si
reperisce tra il ponte di Varolio e il midollo allungato (il suo pavimento, o
fossa romboidale, è importante in quanto contiene i centri d’origine/terminazione
di numerosi fasci di fibre nervose); la figura seguente mostra gli stadi di
sviluppo del cervello a cinque vescicole dal cervello a tre vescicole, compresi
i ventricoli e il canale ependimale (l’acquedotto di Silvio, presente in
figura, è un canale longitudinale che si trova nel mesencefalo e che mette in
comunicazione il ventricolo III con il IV):
Figura
n. . Fonte: Einon e Rose, 1997, p. 996.
La
tabella seguente cerca di riassume quanto detto fino ad ora:
SVILUPPO
DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE (SNC)
|
SUDDIVISIONE
SNC
|
|||
SVILUPPO EMBRIONALE DEL TUBO
NEURALE
|
SVILUPPO SUCCESSIVO
|
|||
PRIMA VESCICOLAZIONE
|
SECONDA VESCICOLAZIONE
|
|||
PROENCEFALO
|
TELENCEFALO
|
EMISFERI CEREBRALI (CORTECCIA
CEREBRALE, NUCLEI DELLA BASE)
|
CERVELLO
|
ENCEFALO
|
DIENCEFALO
|
TALAMO OTTICO, IPOTALAMO E PARTI
DEL SISTEMA LIMBICO
|
|||
MESENCEFALO
|
MESENCEFALO
|
MESENCEFALO
|
TRONCO ENCEFALICO
|
|
ROMBOENCEFALO
|
METENCEFALO
|
PONTE DI VAROLIO, CERVELLETTO [1]
|
||
MIELENCEFALO
|
BULBO SPINALE (MIDOLLO ALLUNGATO)
|
|||
MIDOLLO SPINALE [2]
|
MIDOLLO SPINALE [2]
|
REGIONE CERVICALE
|
MIDOLLO SPINALE
|
MIDOLLO SPINALE
|
REGIONE TORACICA
|
||||
REGIONE LOMBARE
|
||||
REGIONE SACRALE
|
[1] Il cervelletto, posteriore al ponte di Varolio e al midollo allungato, è collegato al mesencefalo e al tronco
encefalico
tramite tre paia di fasci di assoni (o peduncoli cerebrali), e pertanto non
possiede un collegamento diretto
con
la corteccia cerebrale, ed è per questo considerato come facente parte a sé e
non appartenete né al cervello né al
tronco
encefalico, ragion per cui l’encefalo sarebbe di conseguenza considerato
formato da cervello, cervelletto e
tronco
encefalico.
[2] È escluso dai
processi di vescicolazione.
Tabella
n. .
La
figura seguente mostra invece la visione laterale dell’encefalo e del midollo
spinale in un adulto di Homo sapiens,
ciò ch’evidenzia il passaggio embrionale da tre a cinque vescicole e
l’articolarsi finale del SNC (nel telencefalo sono indicati anche i lobi, i
solchi e i giri della corteccia cerebrale, la posizione non visibile dei nuclei
della base (o gangli basali), mentre è tratteggiata la posizione nascosta del
diencefalo e quella di fatto della porzione del tronco encefalico):
Figura
n. . Fonte: Mattelli e Umiltà, 2007, p.
19.
Ora
è forse è utile illustrare, a mo’ d’esempio, il rapporto che esiste tra la
formazione della struttura cerebrale, sostenuta da un SNC anch’esso in
formazione, e lo sviluppo del comportamento embrionale e fetale; a partire
dalla 3a settimana dal concepimento inizia il battito cardiaco
mentre, con la 7a settimana, i neuroni di quello che sarà il SNC
iniziano a mostrare un’attività elettrica, tanto che entro l’8a
settimana si manifestano comportamenti riflessi ch’implicano un’avvenuta
sinaptogenesi e la differenziazione di semplici connessioni sinaptiche (o archi
riflessi) nel midollo spinale e in aree inferiori del cervello, per esempio, con
la flessione del collo e del tronco, e anche connessioni e attività
interneuronali (v. supra) la cui
funzione è quella di produrre in varie sequenze che coinvolgono tutti i muscoli
dei movimenti muscolari coordinati creando repertori via via più ricchi di pattern motori; a 10 settimane il feto
può muovere i bulbi oculari, aprire le labbra, chiudere parzialmente le dita
della mano e flettere le dita dei piedi e, a partire dall’11a
settimana dal concepimento, il feto può compiere movimenti di deglutizione; con
la 12a settimana, quando l’organogenesi è ormai completata, inizia
un lento processo di mielinizzazione degli assoni (che sarà completato, come
detto, verso i 30 anni) e il feto inizia a scalciare ed è capace di chiudere a
pugno la mano; a 13 settimane i muscoli del diaframma danno origine a quella
che sarà la sequenza respiratoria e a partire dalla 16a settimana il
repertorio dei pattern motori
specie-specifici può dirsi assestato; a 24 settimane si presenta il processo
della suzione e il feto è probabilmente in grado di sentire dei suoni e, a 28
settimane, l’occhio manifesta una sensibilità per le variazione di luminosità,
nel mentre, per quanto riguarda gli altri sensi, il feto è già reattivo alle
variazioni del tatto, dell’olfatto e del gusto (il tatto a partire dall’8a
settimana, l’olfatto tra l’11a e la 15a settimana, il
gusto dalla 14a settimana, con la clausola che le sensazioni
tattili, olfattive, gustative, uditive e visive, prima sono avvertite come un
insieme non differenziabile, cioè sinestetico, e che solo a seguire i neuroni
sensitivi e i recettori si specializzano); da aggiungere che, a partire dal 6°
mese, si presentano fasi cicliche di sonno/veglia; come dire che via via si
presenta un’intera gamma di sistemi riflessi semplici e complessi, che mostrano
l’avvenuto sviluppo di un’integrazione tra neuroni motori e muscoli, tra
neuroni sensitivi e recettori, cioè tutta una gamma neurofisiologica ch’è
elaborata e addestrata prima della nascita e che troverà solo nell’ambiente
postnatale la possibilità di manifestarsi con le funzioni vitali
(nutrizione/digestione, respirazione, termoregolazione e altro ancora), con le
sensazioni, con la motricità e con le attività cognitive; il che è dire che,
non appena è uscito dall’utero, l’organismo neonatale è già in possesso di reti
neurali interconnesse che gli permettono d’esplicare abilità differenziate,
motorie, sensitive e cognitive (per esempio, la sostituzione della simbiosi con
la vita di relazione figlio/madre), che sono state geneticamente predisposte
nel decorso della vita intrauterina al fine di potere realizzare gli
accomodamenti (per finestre temporali) che attendono il neonato nella sua
interazione dinamica e storica con l’ambiente extrauterino che l’accoglie (è,
infatti, l’interazione del genotipo con l’ambiente prenatale e postnatale che
determina poi la plasticità fenotipica d’un organismo, v. infra); e, anche se è vero che gli emisferi cerebrali (dopo il
periodo critico tra i 3-4 mesi di vita fetale, quando inizia a manifestarsi il
differenziamento neuronale con la proliferazione e la migrazione dei neuroni
che darà origine alle diverse aree del cervello) crescono più rapidamente
rispetto alla crescita corporea, nessuno di questi riflessi sensomotori dipende
però dalla corteccia (che, in Homo
sapiens, non è ancora pienamente funzionale alla nascita) in quanto essi
sono mediati dal midollo spinale e dalle regioni inferiori del tronco cerebrale
quali il midollo allungato, il ponte di Varolio, il mesencefalo e,
probabilmente, il talamo; in ogni caso si deve far salva la clausola che nel
feto le diverse parti del cervello hanno tempi evolutivi fra loro diversi, per
esempio, parti filogeneticamente recenti, quali la corteccia cerebrale e
cerebellare, si sviluppano in modo più lento rispetto ad altre parti e che, per
quanto riguarda specificamente la corteccia cerebrale, l’area motoria (e
specialmente quella regione che controlla la coordinazione motoria della parte
superiore del corpo) si sviluppa prima, e in modo più completo, rispetto alla
corteccia temporale e occipitale, e che nello sviluppo seguono poi l’area
sensitiva primaria e quella visiva e a seguire le altre aree corticali; si può
poi affermare che il primo abbozzo della corteccia cerebrale si ha dopo 6
settimane, che il talamo e l’ipotalamo si formano tra la 5a e la 6a
settimana, che il corpo calloso si presenta tra la 7a e l’8a
settimana (ma per la connettività bilaterale completa bisognerà attendere i
15-16 anni), che il cervelletto non si forma prima del 7o mese e
che, alla nascita, il cervello pesa ca. il 25% del suo peso adulto e presenta
all’incirca 10 miliardi di connessioni; la figura seguente mostra lo sviluppo
degli emisferi cerebrali da 3 a 9 mesi:
Figura
n. . Fonte: Einon e Rose, 1977, p. 1
000.
Per
quanto riguarda invece le funzioni dell’encefalo, e partendo dal basso con i
suoi costituenti, valgano le riassuntive note seguenti; il bulbo spinale, o
midollo allungato (dal punto di vista evolutivo, è poi la parte più antica del SNC),
è l’organo di transizione tra il midollo spinale (con il quale, come detto,
condivide molte formazioni) e la restante parte dell’encefalo e si presenta
come un tronco di cono rovesciato e una sua porzione significativa è
attraversata da fasci di assoni, il cui decorso è sia ascendente (fasci sensitivi)
che discendente (fasci motori), che veicolano il traffico di informazioni tra
il cervello (telencefalo) e il midollo spinale ed è qui, ancora, che i fasci
d’assoni che discendono dalla corteccia cerebrale s’incrociano (o decussano) sul
piano mediale spostandosi da sinistra a destra, processo che porta ciascun
emisfero a controllare i movimenti della parte opposta del corpo, cui
s’aggiunga che molte delle attività fisiologiche indispensabili alla vita
dell’organismo (funzioni vegetative), per esempio, la respirazione, la
regolazione delle contrazioni del
muscolo cardiaco (pressione arteriosa), la deglutizione, sono controllate dai suoi
centri neurali; anteriormente al midollo allungato si trova il ponte di Varolio,
che presenta una forma a rilievo trasversale e che ha il ruolo di direzione e
di controllo delle citate funzioni vegetative (compresa la regolazione delle
fasi del sonno), di controllo nei meccanismi regolativi delle espressioni
facciali, di coordinazione dei movimenti oculari e d’orientamento del corpo in
relazione alla forza di gravità e all’accelerazione (quest’ultimo aspetto
grazie ai nuclei vestibolari, un insieme che appartiene a un centro sensoriale
che riceve le informazioni a ciò preposte); posteriormente al ponte di Varolio
e al midollo allungato si trova il cervelletto (che presenta una forma di ellissoide
appiattito e irregolare, con l’asse maggiore posto trasversalmente); questo è alloggiato
nella parte posteriore e inferiore della scatola cranica (nella fossa cranica posteriore, al
di sotto dei lobi occipitali e da loro separato da un’espansione della dura
madre, v. infra) e, in quanto posto
alla congiunzione tra gli emisferi cerebrali e il midollo spinale, si trova in
una posizione strategica per potere coordinare e controllare i movimenti
complessi; il cervelletto si presenta in superficie con una corteccia, detta
corteccia cerebellare (da cerebellum,
diminutivo latino di cervello, cioè cervelletto; la sostanza grigia), ch’è più
sottile di quella cerebrale, poco più di 1 mm, e distinta in 3 strati, in cui
si trovano delle solcature di diversa profondità che ne aumentano la
superficie; in profondità, presenta un corpo midollare (la sostanza bianca, ivi
comprese piccole masse di sostanza grigia, dette nuclei centrali), il tutto suddiviso
in due emisferi (ognuno dei quali però controlla strutture omolaterali, cioè la
stessa parte di corpo, grazie a una doppia decussazione, a differenza del
cervello che presenta le vie di trasmissione tra emisferi e lati del corpo
decussate, come visto, a livello del midollo allungato) e un rilievo che n’è la
parte mediana, detta verme cerebellare, anch’essa percorsa da solchi; la figura
seguente mostra l’evoluzione del cervelletto, là dove l’archicervelletto (o
archicerebello), è l’area filogeneticamente più ancestrale, il cui primo
abbozzo si ha nei pesci, i cui circuiti neurali servono al mantenimento in
equilibrio del corpo e al controllo dei movimenti oculari (resta poi immutata
in tutti i vertebrati); il paleocervelletto (o paleocerebello) compare negli
anfibi, nei rettili, negli uccelli e, nel genere Homo, con la stazione eretta, e la sua funzione è quella del
controllo nell’esecuzione dei movimenti; il neocervelletto (o neocerebello), invece,
che aumenta notevolmente nell’insieme il volume cerebellare, esiste solo nei
mammiferi (cioè compare in una fase avanzata della filogenesi), e la sua
importanza cresce nei primati e nel genere Homo
(in Homo sapiens il cervelletto, nel
suo insieme, rappresenta il 10% in peso e volume dell’encefalo e ne contiene, dei
neuroni presenti, all’incirca la metà), là dove i suoi circuiti neurali sono
coinvolti nella pianificazione del movimento e nella formazione di memorie
procedurali:
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 62.
Ora,
e sia permesso l’inciso, visto che al cervelletto giungono informazioni
sensoriali che riguardano la posizione e i movimenti del corpo (controllo
sensomotorio) e, oltre a ciò, il neocervelletto è anche implicato nella memoria
procedurale, si può enfatizzare il legame che esiste tra evoluzione neocerebellare
e evoluzione della memoria procedurale nel genere Homo; memoria procedurale vuol dire, infatti, che il cervelletto è in
grado di codificare e memorizzate i dati necessari all’uso di competenze motorie
acquisite (o delle abilità sensomotorie in via d’acquisizione con l’imitazione),
cioè nell’organizzazione temporale di sequenze comportamentali, dati che
possono essere anche molto complessi a livello della stratificazione delle
sequenze d’azione implicate nell’agire tecnologico, vale a dire in sequenze proprie
alla progettazione e costruzione di strumenti e manufatti (v. supra), e questo perché il cervelletto
(innervato tanto con le aree sensitive e motorie dei lobi frontali e parietali
della corteccia cerebrale che con la muscolatura del tronco e degli arti)
controlla costantemente i movimenti volontari originati nella corteccia
cerebrale motoria e messi in esecuzione dagli arti prossimali e distali in un
dato contesto ambientale e laddove le improprietà procedurali degli arti
rispetto allo schema motorio proposto dalla corteccia cerebrale sono riaggiustate,
corrette, dalle fibre afferenti/efferenti del cervelletto con un movimento immediato
e inconsapevole di retroazione negativa, cioè di modulazione, che reimposta le
improprietà e ne regola in modo esatto la portata affinché il movimento sia
compiuto correttamente (come dire che il neocervelletto è il centro d’una
raffinata modulazione e coordinazione automatica dei movimenti volontari); ed è
pertanto ragionevole affermare che, s’è assodato che l’intelligenza sociale è
legata all’evoluzione della neocorteccia (v. supra), l’intelligenza tecnica del genere Homo, di cui s’è parlato con dovizia in precedenza e che appartiene
a pieno titolo alle sue capacità cognitive, debba invece essere strettamente legata
all’evoluzione del cervelletto (che di suo, per il tramite del talamo, è poi anche
innervato con molte regioni neocorticali importanti per l’evoluzione cognitiva e
linguistica del genere Homo) e che
queste due formazioni, cervello e cervelletto, abbiano pari dignità nella
spiegazione dell’evoluzione della materialità dell’agire tecnico che sta a
fondamento d’una formazione economico-sociale (e specialmente s’è vero che a
partire dallo scimpanzé e nel genere Homo,
seppure cervelletto e neocorteccia tendano a evolversi insieme come richiedono le
loro principali connessioni anatomiche e funzionali, le dimensioni della
componente corticale e cerebellare non si presentano con un rigido rapporto
incrementale, questo perché la pressione selettiva ha fatto sì che dimensioni
del cervelletto siano state incrementate più rapidamente rispetto a quelle
della neocorteccia); anteriormente al ponte di Varolio si trova poi il
mesencefalo, che si compone della substantia
nigra, del collicolo inferiore e superiore e di parte della formazione
reticolare; la substantia nigra (così
detta perché è una formazione caratterizzata dalla presenza di cellule nervose con
pigmenti contenenti melanina e ferro che ne danno il colore scuro) è
strettamente connessa all’iniziazione e al mantenimento dei movimenti
volontari, mentre i collicoli (così detti per la forma a tronco di cono
smussato) sono coinvolti l’uno nell’udito (collicolo inferiore) e l’altro,
oltre che a essere un centro per l’elaborazione delle informazioni visive (principalmente
nell’attività di regolazione dello sguardo sul piano verticale), è coinvolto
nella generazione dei movimenti oculari (collicolo superiore); la formazione
reticolare, infine, è data da una rete di fibre orientate in tutte le direzioni
e centri nervosi, e s’estende a partire dal midollo allungato, attraversa le
strutture del tronco dell’encefalo e poi raggiunge il talamo, e presenta un
ruolo primario nel controllo e nella regolazione dello stato d’eccitazione del
cervello (la formazione reticolare, infatti, riceve impulsi da tutti i sistemi
sensoriali e invia segnali che salgono a gruppi di nuclei del talamo, che a
loro volta li proiettano alla corteccia cerebrale e discendono anche al midollo
spinale, cioè svolge un ruolo nella regolazione del livello d’attività
neuronale lungo l’asse cerebrospinale del SNC); la figura seguente mostra la
dislocazione della formazione reticolare:
Figura
n. . Fonte: Einon e Rose, 1977, p. 997.
Al
mesencefalo segue il diencefalo, dove si trovano il talamo, l’ipotalamo e parti
del sistema limbico; il talamo, che occupa la maggior parte del diencefalo, è
dato da due formazioni ovoidali di sostanza grigia, una per emisfero, legate da
un cordone nervoso posteriore (commessura mediana) di sostanza bianca e costituite
da un notevole numero di nuclei specifici, ma anche no (nel senso che questi
ultimi stabiliscono connessioni diffuse e non mirate), separati da lamine di
sostanza bianca, e da sistemi di fibre afferenti/efferenti che collegano le due
dette formazioni a diversi distretti del nevrasse (o SNC); il talamo, pertanto,
costituisce una stazione di raccolta, selezione, smistamento e integrazione delle
connessioni che vanno verso la corteccia cerebrale e che dalla corteccia cerebrale discendono, sia sensitive
sia motorie, cioè il centro verso cui si dirigono gli impulsi provenienti tanto
dai recettori legati al mondo esterno (pelle, lingua, orecchio, occhio, cioè
esterocettivi; è escluso l’olfatto, che
segue altri percorsi neuronali, v. infra)
quanto derivanti dal corpo (enterocettivi) e che esercita un’azione di
controllo su tutti gli impulsi che arrivano dalla corteccia; oltre a ciò, il
talamo rappresenta anche un centro d’integrazione e di coordinazione ch’è indipendente
dalla corteccia cerebrale; più in basso, alla congiunzione del talamo e del
mesencefalo, in una zona interna ai due emisferi, si trova l’ipotalamo ch’è
costituito, nonostante le ridotte dimensioni, da numerosi nuclei ipotalamici di
sostanza grigia che, mediante fasci di fibre nervose, sono in rapporto con il
talamo, con il corpo striato (formazione situata alla base di ogni emisfero e
posta a lato di ogni talamo), con i centri autonomi del tronco encefalico e del
midollo spinale e con la corteccia cerebrale, e pertanto risulta implicato in
un grande numero di funzioni, tra cui il controllo della termoregolazione corporea
(produzione/dispersione di calore, v. anche supra
e infra), della sete, dell’escrezione
urinaria (diùresi), della fame/sazietà, dell’interpretazione degli odori, della
peristalsi intestinale (v. infra), del
comportamento sessuale, del comportamento emotivo (per esempio, nelle risposte
di rabbia/aggressività/ansietà, o nelle situazioni di stress, v. infra), della
pressione ematica, del ciclo sonno/veglia (cioè del ritmo circadiano, della durata
di ca. 24 ore, che presenta regolarmente la ripetizione di processi fisiologici
regolati da fattori esterni, quali luminosità e temperatura, e da fattori
interni che si sincronizzano con la variabilità delle condizioni esterne grazie
a un orologio, detto biologico) e altro ancora; inoltre l’ipotalamo ha il ruolo
di collegare la corteccia cerebrale con il sistema endocrino (ormonale)
immettendo nel flusso sanguigno un grande numero di neurosecrezioni (v. infra) affinché queste abbiano effetti su
bersagli periferici del sistema nervoso, per esempio, modulando la secrezione
delle ghiandole endocrine attraverso fattori di rilascio che inducano/inibiscano
la secrezione ormonale, oppure lavorando di conserva con una ghiandola
endocrina quale l’ipofisi (secondo un asse ipotalamo-ipofisario, su cui v. infra); la figura seguente mostra i nuclei
ipotalamici che permettono alcune delle sopra dette funzioni dell’ipotalamo:
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 68.
Specificamente
il nucleo preottico (segnalato in figura con termostato) che, negli organismi omeotermi
(v. supra), regola la capacità di conservare
la temperatura corporea a un livello costante (termoregolazione) grazie a
recettori del calore specifici situati sia sotto la pelle (per la temperatura
esterna) che nelle viscere del corpo (per la temperatura interna), termorecettori
che permettono al nucleo preottico, in virtù dei suoi due centri
termoregolatori tra loro in opposizione, di mantenere l’equilibrio tra
produzione di calore (termogenesi) e sua dissipazione (termolisi); i nuclei
sopraottici (in figura, dipsostato) che, per il tramite di recettori che
monitorano la pressione osmotica del plasma (osmocettori), ossia la
concentrazione del sodio nel sangue, e il volume del liquido extracellulare
(tensocettori), rispondono a un aumento della pressione osmotica e a una
diminuzione dei liquidi diminuendo la diuresi, cioè liberando la vasopressina,
un ormone antidiuretico (ADH, Antidiuretic
Hormone)
che agisce sui reni attivando il meccanismo della sete; il nucleo ventromediale
e il nucleo laterale (in figura, orexostato) regolano, il primo, la sazietà e il
secondo la fame, questo soprattutto attraverso recettori provenienti
dall’apparato gastroenterico (v. infra)
che segnalano una quantità di cibo sufficiente a produrre quei nutrienti di cui
abbisogna il corpo (riempimento) e dal monitoraggio delle modificazioni del
livello di glucosio nel sangue, questo perché, con una glicemia sotto il
livello di guardia (60 milligrammi per decilitro, 60 mg/dl, dopo 8 ore
dall’ultimo pasto), si presenta una richiesta d’assunzione di cibo (fame) ch’è prodotta
dall’elaborazione delle informazioni che arrivano al nucleo laterale e che sono
trasmessi al sistema efferente interessato, fame assente nel caso i recettori
rilevino un aumento della glicemia ematica (a 2 ore dal pasto, sotto i 140 mg/dl),
ciò che produce una segnalazione inibente l’insorgere della fame da parte del
nucleo ventromediale (sazietà); oltre ai detti meccanismi a breve termine,
interviene sui citati nuclei anche un
meccanismo a lungo termine che segnala il livello delle scorte di lipidi che,
se intaccate, devono essere ripristinate; i nuclei posteriori (in figura,
gonadostato) sono in rapporto con l’ipofisi mediante un peduncolo, e un ormone
prodotto dall’ipotalamo (detto ormone di rilascio, o Releasing Hormone, RH) è poi deputato
alla regolazione delle funzioni dell’ipofisi, ciò che crea il sopra detto asse
ipotalamo-ipofisario, di fatto la quasi totale regolazione della secrezione
ormonale da parte del SNC, e tra gli ormoni di rilascio secreti dall’ipotalamo è
presente il GnRH (ormone di rilascio delle gonadotropine, Gonadotropin Releasing Hormone, GnRH) che controlla la secrezione ormonale
delle gonadotropine (che comprendono l’ormone luteinizzante, Luteinizing Hormone, LH e l’ormone
follicolostimolante, Follicle-Stimulating
Hormone, FSH) nell’ipofisi e la cui frequenza di rilascio è diversa nei 2
sessi (femmina/maschio, anche perché l’ormone GnRH presenta una secrezione
variabile nelle femmine durante il ciclo mestruale, con un picco in prossimità
della mestruazione, mentre è costante la sua secrezione nei maschi),
gonadotropine che hanno poi il controllo delle funzioni riproduttive avendo
come bersaglio le gonadi, cioè l’ovaio e il testicolo, vale a dire la loro
capacità di produrre cellule sessuali mature (gameti) che possono essere
fecondate o possono fecondare, cui si somma la loro funzione riproduttiva nella
copula e nell’eiaculazione; da ricordare che le gonadotropine stimolano anche
la produzione di ormoni sessuali (o steroidei), androgeni nel maschio, quali il
testosterone, estrogeni nella femmina, quali l’estradiolo (anche se estrogeni sono
prodotti anche nel testicolo, così come l’ovaio produce androgeni), ormoni
steroidei che regolano per via endocrina, con meccanismi che hanno anche una
funzione di retroazione sull’ipotalamo (rilascio e sintesi dell’ormone GnRH) e
sull’ipofisi (rilascio e sintesi delle gonadotropine), ciò che crea un asse
ipotalamo-ipofisi-gonadi; in dettaglio, nelle femmine l’ormone FSH stimola la
crescita del follicolo ovarico (cioè della guaina che contiene l’uovo) e
l’ormone LH controlla la fase finale della sua maturazione, la sua rottura e la
fuoriuscita dell’uovo, la formazione e lo sviluppo del corpo luteo (ciò che si forma
al posto del follicolo dopo la sua apertura) e la secrezione di estrogeni; nei
maschi FSH agisce sulla spermatogenesi e LH stimola le cellule interstiziali del
testicolo a produrre testosterone; infine, completano poi il diencefalo alcune
parti d’una formazione, il sistema limbico (che si completa nel telencefalo),
così detto perché forma un margine (in latino, limbus) attorno al corpo calloso che unisce i due emisferi, cui
sono associati l’ipotalamo e la corteccia frontale e temporale e che include,
oltre ad altre formazioni, quali il giro cingolato, il setto e la regione
settale (setto pellucido) e i tubercoli mamillari (corpi mamillari), quelle che
qui ci interessano, l’amigdala e l’ippocampo; la figura seguente mostra la
disposizione delle strutture che appartengono al sistema limbico (non è
segnalato il giro cingolato, posto al di sopra del corpo calloso, nella
corteccia del lobo prefrontale):
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 73.
L’amigdala
e l’ippocampo sono, dal punto di vista filogenetico, le parti più antiche del
proencefalo, e si ricorda a questo proposito che nelle varie specie di
Mammiferi, pure variando l’estensione delle formazioni coperte dal sistema
limbico, il loro sviluppo e la loro organizzazione è identica, ciò che fa ritenere
che l’origine fisiologica delle emozioni e dei comportamenti quali le
sperimenta Homo sapiens sia analoga per
tutti i Mammiferi; infatti, le formazioni del sistema limbico formano una
complessa rete neuronale che presenta un ruolo essenziale nell’origine e nella
modulazione delle emozioni e delle manifestazioni vegetative che le
accompagnano, e nelle risposte comportamentali agli stimoli d’origine emotiva
(o emotigeni) legati alla sopravvivenza della specie e dell’individuo, quali l’accoppiamento,
la riproduzione e la cura della prole, la libido
(cioè la pulsione sessuale vista nel suo aspetto psichico) e l’attività
sessuale, il comportamento alimentare (approvvigionamento/consumo), il sonno, la
paura, l’attacco/difesa (v., infra, fight or flight), cui si possono
aggiungere meccanismi regolativi della vita sociale quali la competizione per il
rango o lo status all’interno del
gruppo, la motivazione, nel senso d’attribuzione d’un significato a un comportamento
sociale, e la gratificazione che ne consegue, oltre che in alcune funzioni
cognitive superiori, come l’apprendimento e la memoria (questo collaborando allo
stoccaggio mnesico definitivo di ciò che rimarrà nella memoria a lungo termine);
specificamente, l’amigdala (così detta perché è una formazione ovoidale che
ricorda una mandorla e che si presenta in ogni lato degli emisferi) è coinvolta
nella gestione degli stati affettivi (quali le risposte emozionali date
dall’aggressività e dalla collera), nella valutazione delle situazioni e dei
comportamenti (in base alle coppie dannoso/non dannoso,
desiderabile/indesiderabile) e nelle decisioni prese di fronte a situazioni
ambivalenti da interpretare che sono risolte grazie allo stoccaggio, nei
circuiti neurali dell’amigdala, degli eventi avversi, cioè dannosi e indesiderabili,
che vengono compulsati in base a un algoritmo di tipo statistico e da cui
consegue la scelta (e, dato il contesto, si ricorda che i circuiti neurali
hanno una tolleranza più che ampia alle informazioni incompiute, imprecise o sbagliate
e che possono correggerle), mentre l’ippocampo (che ricorda la forma del
cavalluccio marino e che si presenta, con commensura, in ogni lato degli
emisferi) concorre al consolidamento della memoria a breve termine in quella a
lungo termine (specialmente per quel che riguarda la memoria dichiarativa, cioè
ciò che si sa), tanto che la sua neurogenesi continua anche in età adulta;
seguono a queste strutture quella che si sono evolute più di recente, cioè i
gangli della base e la neocorteccia; i gangli della base sono un insieme di tre
nuclei sottocorticali di sostanza grigia, presenti alla base degli emisferi
cerebrali, che sono in connessione con la corteccia cerebrale, il talamo e il
tronco dell’encefalo (è escluso il midollo spinale) e il loro ruolo funzionale
è quello di facilitare l’inizio e lo svolgimento dei movimenti volontari che
partono da impulsi della corteccia; la corteccia cerebrale (cortex) presenta strutture corticali tra
loro diversificate per caratteristiche morfofunzionali, specificamente si
tratta della paleocorteccia (la struttura più antica a ricoprire gli emisferi
data dalla corteccia olfattiva e dall’amigdala, la quale comprende però anche
parti sottocorticali), dell’archicorteccia (struttura più recente data dall’ippocampo)
e della neocorteccia (di cui s’è diffusamente parlato in precedenza, e che nel
genere Homo s’estende su tutta la
superficie degli emisferi relegando le parti più antiche alla faccia interna
dei due lobi temporali, v. supra);
queste strutture della corteccia cerebrale sono poi irrorate da una vasta rete
di vasi sanguigni (e, pur rappresentando il cervello solo 1/50 del peso medio
di un corpo umano, ca. 1 400 g, richiedono il 20-25% del sangue circolante, una
spesa energetica che, nel processo evolutivo, è probabilmente avvenuta a spese
del metabolismo d’altri tessuti, v. supra)
e sono in continuazione con il midollo spinale ch’emerge dal forame occipitale;
insieme ci danno quello che chiamiamo cervello, cervello ch’è avvolto, lo
stesso che il midollo spinale, da tre membrane di natura connettivale
sovrapposte, le meningi (nell’ordine, la dura madre, l’aracnoide e la pia
madre) e da un liquido cerebrospinale (o cefaloradichiano), detto liquor, che riempie lo spazio fra la
dura madre e l’aracnoide, nel quale galleggia il suo tessuto molle protetto
dalla pia madre; la sua superficie esterna è formata da miliardi di cellule
nervose (con un corpo di varie forme e di sue espansioni ramificate, i dendriti
e gli assoni, v. infra)
interconnesse, o neuroni (ca. 30 miliardi nella corteccia per 100 miliardi
complessivi presenti nel SNC), ed è la sostanza grigia distribuita su uno
spessore di pochi millimetri (da 3 a 4 mm), su 6 strati (o lamine) tra loro sovrapposti
e diversi fra loro per densità neuronale (per esempio, lo spessore delle aree sensoriali
primarie è sottile, e più consistente è quello delle aree motorie e associative),
strati codificati con numero romano, da I a VI (il IV strato, a sua volta, è
suddiviso in 3 sottostrati, a, b, c); i neuroni, oltre che a una distribuzione
orizzontale sugli strati, obbediscono anche a una distribuzione verticale,
detta colonnare, in quanto sono suddivisi in colonne che iniziano dalla
superficie della corteccia e arrivano alla sostanza bianca sottostante l’ultimo
strato, cioè sottocorticale e con uno spessore di qualche centinaio di μm, e
ogni colonna presenta un minimo di 500 neuroni fino a un massimo di 10 000, e
pertanto si calcola che la corteccia sia formata da un centinaio di milioni di
colonne e, poiché i neuroni di ciascun strato si proiettano con i loro assoni
verso le più differenti parti del cervello, le colonne costituiscono dei veri e
propri moduli corticali di computo che elaborano, per il tramite di catene
sovrapposte d’elaborazione interna, l’informazione in arrivo da qualsivoglia punto
della superficie corporea e la smistano in varie aree e regioni cerebrali;
ciascuna colonna, inoltre, opera come un modulo separato, cioè con una sua
autonomia nell’elaborazione dell’informazione in entrata, ma è anche integrato
con quelle colonne che costituiscono l’area corticale cui questa e quelle appartengono,
ed è inoltre connessa con tutte le altre aree nonché con i gangli e i nuclei
sottostanti; la neocorteccia, lo si ripete, si presenta poi con delle
circonvoluzioni, delle scissure (quelle con le pieghe più profonde) e dei
solchi (quelli con le pieghe meno profonde) che delimitano delle pieghe
addossate le une alle altre e ne aumentano la superficie a più del doppio,
questo grazie a una meccanica evolutiva (detta girificazione) che ne permette un’aumentata
estensione senza che sia aumentato il volume degli emisferi e,
conseguentemente, del cranio (infatti, 2/3 della neocorteccia si trovano
nascosti nei solchi e s’è calcolato che, se le porzioni della corteccia non fossero
girificate, cioè distese e stirate, coprirebbero una superficie di ca. 2 600 cm2,
estensione ch’è grossomodo quattro volte l’estensione coperta dalla corteccia
d’uno scimpanzé); sotto la corteccia si trovano i fasci dei prolungamenti
periferici dei neuroni avvolti da cellule gliali (che presentano un numero almeno
dieci volte superiore rispetto al numero dei neuroni, v. infra), che formano, dato il colore del loro rivestimento, la
sostanza bianca (si tratta di fibre mieliniche); una scissura interemisferica, la
scissura longitudinale, suddivide poi il cervello in due emisferi simmetrici,
di destra e di sinistra, collegati da una commissura data da un fascio di ca.
200 milioni di fibre nervose trasversali a conduzione rapida, dette corpo
calloso, che collegano fra loro zone omologhe della corteccia nei due emisferi (grossomodo
ogni emisfero controlla, come detto, i movimenti consapevoli della metà opposta
del corpo, l’emisfero di destra la parte sinistra e viceversa, grazie alle
fibre nervose che decussano all’altezza del midollo allungato e che permettono
al cervello di comunicare con il midollo spinale); la figura seguente mostra la
sezione frontale dell’encefalo, dove sono indicate le posizioni di molte delle
formazioni sopra citate (si ritrovano anche, non descritte sopra, l’insula, o lobo dell’insula, e il chiasma ottico; l’insula
è una zona corticale che si trova all’interno della scissura laterale, v. infra; il chiasma ottico è una zona
dell’encefalo dove i nervi ottici, in parte decussandosi, si dispongono a X,
cioè a forma di chiasma):
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 58.
La
figura seguente mostra lo schema anatomico della sezione laterale dell’encefalo
(è indicata anche l’ipofisi, una ghiandola endocrina che forma con l’ipotalamo
il sopra citato asse ipotalamo-ipofisario):
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 59.
Dati
gli emisferi, due scissure, dette di Rolando (o scissura centrale) e di Sylvius (o di Silvio, o scissura
laterale), permettono di distinguere su ogni emisfero quattro lobi,
corrispondenti alle parti del cranio sotto cui si trovano, vale a dire
frontale, parietale, temporale e occipitale (di cui s’è già detto sopra); la
figura seguente mostra prima dall’alto e poi dal lato sinistro degli emisferi
cerebrali e la loro suddivisione in lobi per mezzo delle sopra citate scissure
(le zone di corteccia cerebrale poste fra due scissure sono poi dette giri):
Figura
n. . Fonte: Mattelli e Umiltà, 2007, p.
72.
La
superficie cerebrale può poi essere suddivisa in regioni funzionali, per
esempio quelle dedicate alle funzioni sensoriali (nel lobo parietale, dette
postrolandiche) e quelle da cui dipendono le funzioni motorie (nel lobo
frontale, dette prerolandiche), come mostra la figura seguente (dove la
scissura di Rolando è definita solco perché meno profonda della scissura di
Silvio):
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 57.
Le funzioni
postrolandiche sono specializzate nel ricevere ed elaborare informazioni
sensoriali e percettive che provengono dall’ambiente attraverso gli organi di
senso (vista, udito, olfatto, tatto e gusto), cioè da recettori quali possono
essere gli occhi (informazione in arrivo, quest’ultima, che si proietta alla
corteccia visiva primaria, posta nella parte più posteriore del lobo occipitale),
oppure informazioni che provengono da recettori della pelle (che si proiettano
a una striscia del lobo parietale, la corteccia somatosensoriale); le funzioni
prerolandiche sono invece regioni che organizzano le informazioni in vista di
una risposta motoria nell’ambiente, quali la corteccia motoria primaria, poi
legata alle aree psicomotorie implicate nel coordinamento e nella
pianificazione di movimenti elementari in vista della realizzazione di gesti
complessi (su quest’aspetto, v. infra);
queste regioni, ancora, obbediscono al principio organizzativo della mappatura,
come dire che la corteccia costruisce delle rappresentazioni spaziali, o mappe,
della realtà ch’essa ricava dai recettori del corpo, non disegnate in scala, ma
secondo proporzioni che traslano la potenza dell’elaborazione neurale dedicata alla
diverse regioni del corpo (mani, labbra e punta della lingua, per fare un
esempio, sono sovrarappresentati rispetto ad altri distretti corporei; su
quest’aspetto, v. infra); la figura
seguente mostra la mappatura delle aree motrici e sensorie dell’emisfero
sinistro:
Figura
n. . Fonte: Robert, 1984, p. 84.
Esistono
anche molte altre regioni, per esempio, quella della corteccia associativa che,
se non è poi direttamente collegata né con i sistemi di controllo motori né con
l’avvio dell’elaborazione dell’informazione sensoriale, lo è con altri ingressi
sottocorticali, e si conoscono quella parietale, quella temporale e quella
frontale, quest’ultima detta anche corteccia prefrontale; ma si deve ricordare
che, se pure molte funzioni sono localizzabili anatomicamente, per numerose di
queste localizzazioni, man mano che ci s’allontana dalle funzioni motorie e
sensoriali, non è possibile definirne con grande precisione la funzione; in
ogni caso, basandosi sulla disposizione laminare (o a strati) del tessuto
corticale nelle varie regioni anatomiche, cioè sul loro spessore e sulla forma
e dimensione dei neuroni (o citoarchitettonica cerebrale), è stato possibile ripartirle
e definirne i confini per identificare delle aree funzionali del cervello creando
una cartografia utile come punto di riferimento (e che ha, a tutt’oggi, un
largo impiego); questa cartografia si basa su 47 aree (ma il numero può variare
secondo gli studiosi), dette di Brodmann, indicate con A e numerate (A1, A2, A3,
con sottoclassificazioni, A3a, A3b etc.);
per fare un esempio, la corteccia somatosensoriale primaria è presente nelle
aree A3, A1, A2; la corteccia motoria primaria è chiamata area A4, quella
premotoria area A6, quella visiva primaria è chiamata area A17 e quella
secondaria A18, l’area di Wernicke (v. supra)
è contenuta nell’area A22 di Brodmann, quella della corteccia uditiva rimanda
all’area A41e A42 (quest’ultima solo in
parte), l’area di Broca (v. supra)
è presente in parti delle aree A44 e A45 o che la corteccia prefrontale comprende
le aree da A9 a A14 e da A45 a A47 etc.;
la figura seguente illustra le varie aree anatomofunzionali di Brodmann
reperite nei lobi cerebrali dell’emisfero destro (veduta laterale):
Figura
n. . Fonte Roth, 2002, p. 433.
Comunque
questa modularità funzionale, così detta per il fatto che localizza delle
funzioni cerebrali in una specie di logica endofrenologica, deve tenere conto
dell’evidenza che, s’è vero che aree distinte e specializzate localizzano
l’esecuzione di specifiche funzioni, è anche vero ch’esiste un’elaborazione
distribuita su tutto il cervello per cui queste aree non agiscono da sole, ma
ciascuna rappresenta un nodo all’interno di reti distribuite o sull’intera
struttura corticale o su regioni corticali multiple, su reti, in ogni caso, fra
loro interconnesse e cooperanti, simultaneamente o in tempi differenziati, e
con diversi livelli d’integrazione legati al divenire storico delle pressioni
selettive, per cui il rischio più alto presentato da questa modularità
funzionale e di presentare astoricamente azioni, pensieri, decisioni e
sentimenti come semplici prodotti epifenomenici di processi cerebrali;
comunque, indipendentemente da tutto questo, dalla mappatura, dalla localizzazione
delle funzioni e dall’elaborazione distribuita in reti, resta che si può però attribuire
la maggiore complessità e flessibilità del comportamento del genere Homo al fenomeno storicamente situato dell’encefalizzazione,
ossia all’acquisizione di nuove funzioni neurali associate alle parti più
anteriori del telencefalo, nel lobo frontale della corteccia, e senza
dimenticare il ruolo cognitivo del cervelletto, insieme che si lega anche all’aumento
delle dimensioni di cui si sono presentate le stime e s’è discusso in
precedenza; detto in linea di massima questo, e visto che il cervello di Homo sapiens è fatto di elementi chimici
comuni quali il carbonio, l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto, lo zolfo, il fosforo
e alcuni metalli presenti in tracce, elementi comuni che formano molecole che,
a loro volta, costituiscono le cellule del tessuto cerebrale, vale a dire le
cellule nervose, o neuroni (v. supra),
cellule che presentano poi una molteplicità di forme, una funzionalità
elettrica e chimica e una connettività, cioè una modalità con cui il neurone si
collega con altri neuroni in reti all’interno delle formazioni sopra descritte
del Sistema nervoso centrale (SNC), è giusto che per arrivare all’evoluzione
del cervello e al ruolo concomitante dell’evoluzione del cervello sociale, ripartiamo
ora dal neurone, specificamente dalla sua rappresentazione semplificata quale è
mostrata nella figura che segue:
Figura
n. . Fonte: Edelman, 1993, p. 41.
Si
ripete che un neurone, che di solito ha forma irregolare, è composto da un
corpo cellulare (di forma sferica o piramidale), il soma (o pirenòforo o
pericàrio), che contiene anche il DNA che esprime la combinazione dei geni che
ne determinano le proprietà, da cui si dipartono dei prolungamenti
citoplasmatici, ossia dei prolungamenti ramificati in entrata, in prossimità
del soma, detti dendriti, e un unico prolungamento in uscita, detto assone, la
cui parte finale forma una terminazione nervosa che si ramifica e trasmette il
segnale in uscita verso varie cellule bersaglio (da non dimenticare che negli
assoni sono poi compresenti due sistemi di comunicazione che agiscono in modo
autonomo, se pure contemporaneamente, quello che dà origine ai potenziali
d’azione e alla trasmissione dell’informazione, v. infra, e quello del trasporto assonale che funziona come un vero o
proprio sistema circolatorio, questo perché l’assone trasporta e trasferisce, a
vari livelli di velocità, un carico, o cargo, di sostanze di varia natura; un
tipo di materiale trasportato è quello che si muove solo dal soma alla
periferia, in senso centripeto, e che viaggia alla velocità di 0,2-2 mm/die, e questo è il materiale basale,
cioè l’insieme delle sostanze che permettono il rinnovo del materiale
costitutivo dell’intera rete neuritica; l’altro tipo di materiale trasportato,
che viaggia a una velocità che da 200 mm può arrivare a 400 mm/die, è invece costituito da fattori
trofici per i neuroni, da enzimi per la sintesi dei trasmettitori impiegati
alle sinapsi, da sostanze legate alle funzioni neurosecretorie (v. infra), da molecole inviate dalla
periferia da altre cellule e di cui i neuroni necessitano e altro ancora, v. infra); come dire che il neurone, di là
dalle sue funzioni, è un insieme di tre parti costituenti ch’è poi ricoperto da
una membrana che isola la cellula nervosa dall’ambiente esterno, il tutto in un
ordine di grandezza che va da 4 a 100 µm (micron,
v. supra); un assone, detto
presinaptico, può entrare in contatto con una cellula non nervosa, per esempio,
muscolare, nel qual caso il neurone, tramite i suoi neurotrasmettitori,
determina la contrazione della cellula muscolare; oppure può entrare in
contatto con il soma di un altro neurone, detto postsinaptico, che può essere
anche molto vicino o fibroso e molto distante (la lunghezza dell’assone va da 1
mm a 1 m e oltre), oppure entrare in contatto con i suoi dendriti (che sono
corti) come avviene nella maggioranza dei casi; quando l’attività elettrica
(l’impulso nervoso, detto potenziale d’azione o spike, v. infra) condotta
dall’assone presinaptico raggiunge il sito della sinapsi con un altro neurone (vale
a dire la zona del collegamento funzionale fra due cellule nervose, v. supra), esso causa la liberazione delle
vescicole sinaptiche (i cerchietti) contenenti uno o più neurotrasmettitori (v.
supra); dopo l’interazione con gli
opportuni recettori (qui a forma di y) proiettati dal neurone postsinaptico
nella fessura tra la membrana presinaptica e quella postsinaptica, il
neurotrasmettitore stimola a sua volta un’attività elettrica nel neurone
ricevente, e in questo modo c’è una comunicazione tra un neurone e l’altro; o,
detto meglio, stimola un’attività che dipende dalla frequenza del potenziale
d’azione nell’assone presinaptico, dalla quantità di neurotrasmettitore
liberato dall’assone presinaptico e dallo stato chimico dei recettori, o canali
ionici del sito postsinaptico, che si legano ai trasmettitori e fanno passare
gli ioni carichi fino all’interno della cellula attivando il meccanismo di
trasmissione del potenziale d’azione, essendo poi il potenziale d’azione il
potenziale elettrico della membrana in cui si manifesta in un dato arco
temporale un’inversione della polarità elettrica (che si misura in millivolt, mV), e un neurone produce, in
un secondo, fino a un migliaio di potenziali d’azione, ciò che ne dà la
frequenza; la figura seguente mostra la comunicazione semplificata tra i
neuroni (il potenziale sinaptico segnalato in figura è la risposta elettrica
del neurone postsinaptico, ciò che indica che il recettore è stato attivato):
Figura
n. . Fonte: O’Shea, 2012, p. 37.
Infatti,
si deve sapere che, in ogni caso, il tutto parte dalla membrana plasmatica,
semimpermeabile, della cellula nervosa ch’è estremamente sottile (all’incirca un
milionesimo di 1 cm, 1x10-6 cm) e che a riposo è polarizzata (-70
mV), ossia manifesta un disequilibrio elettrico (detto potenziale di membrana a
riposo) regolato dalla predominanza degli ioni negativi rispetto agli ioni
positivi al suo interno (nello spazio intracellulare, cioè nel citoplasma) e
degli ioni positivi rispetto agli ioni negativi al suo esterno (nello spazio
extracellulare, ossia nel liquido interstiziale), ioni che producono delle
differenze di potenziale elettrico tra i citati spazi dovuti al fatto che sono
presenti delle limitazioni alla loro mobilità tra l’interno e l’esterno,
mobilità selettiva tarata sulla membrana appunto per limitare
l’ingresso/egresso degli ioni carichi e così potere manifestare a riposo questo
disequilibrio legato al predominio interno degli ioni negativi; ioni che poi,
in presenza d’uno stimolo che supera una data soglia, modificano la
permeabilità della membrana, tanto che degli ioni positivi entrano, attraverso
i sopra citati canali ionici presenti nella membrana, all’interno della
membrana stessa, ciò che comporta una perturbazione del potenziale a riposo,
ossia una variazione di carica elettrica dovuta all’immissione dei citati ioni
positivi che prima annulla la differenza di cariche tra l’interno e l’esterno
della cellula (cioè la depolarizza) e poi li rende dominanti, cioè inverte la
polarizzazione interna che da negativa diventa positiva (per esempio, da -70mV
a +50 mV, con un’escursione elettrica di 120 mV (il che vuol dire, tenendo
conto del detto spessore della membrana, che è presente un voltaggio di 120 000
V/cm, 120/1 000 V x 1/1 000 000 cm =120 000 V/cm), generando così un impulso
elettrico che stimola, partendo dalla zona d’innesco (detto cono d’emergenza,
ch’è il punto in cui l’assone si dirama dal corpo cellulare), le parti
successive dell’assone, cioè la propagazione del potenziale d’azione (onda di
depolarizzazione) lungo tutto l’assone fino al terminale sinaptico; questo
potenziale d’azione dura per poco più d’un millisecondo (in media, 1,5 ms, pari
a 0,0015 s), salvo subito ricomportare un’uscita di ioni positivi e un ritorno
alla predominanza interna degli ioni negativi (cioè una ripolarizzazione), vale
a dire il ritorno allo stato di potenziale di riposo della membrana (-70 mV); la
figura seguente illustra le diverse fasi del potenziale d’azione, da uno stato
di riposo all’altro nel corso del tempo (A, fase di riposo; B, fase di
depolarizzazione; C, fase di ripolarizzazione; D, fase di sottoelongazione e A,
fase di riposo, là dove la sottoelongazione è una seconda fase transitoria che
segue il picco prima del ritorno alla fase di riposo e dove il picco è misurato
in millivolt):
Figura
n. . Fonte (modificata): O’Shea, 2012,
p. 42.
Si
ricorda che i canali ionici sono voltaggiodipendenti (cioè sensibili al
voltaggio della membrana, ciò che fa sì che possano variare la loro
permeabilità in base alla differenza di potenziale esistente tra la superficie
interna/esterna della membrana cellulare di cui fanno parte) e che, nello
specifico, sono delle proteine quelle che formano delle aperture nella
membrana, aperture che, contenendo dei sensori che rivelano i cambiamenti di
voltaggio, aprono e chiudono dei cancelli (le parti mobili della proteina) presenti
tanto all’interno quanto all’esterno della membrana come risposta a questi
cambiamenti; la figura seguente mostra la sequenza della trasmissione
dell’impulso nervoso (che è veloce e può arrivare a ca. 120 m/s) attraverso la
membrana dell’assone e dove gli ioni (ossia gli atomi provvisti di carica, v. supra) che passano nei canali sono, in
ingresso dall’esterno, il sodio (Na+) e in uscita dall’interno il
potassio (K+), ioni positivi (cationi) che derivano dal cloruro di
sodio (NaCl) e dal cloruro di potassio (KCl) e che sono disciolti nel liquido
salino che circonda tutte le nostre cellule; e visto che la concentrazione
degli ioni Na+ è superiore di 10 volte all’esterno del neurone,
all’incirca la situazione degli ioni K+ all’interno del neurone
(all’interno gli ioni Na+ sono 10 volte inferiori a quelli K+,
che sono 10 volte superiori), una pompa di natura enzimatica situata nella
membrana del neurone mantiene i due ioni positivi a concentrazioni differenti
(l’enzima coinvolto è detto ATPasi perché scinde una molecola di ATP, l’adenosina
trifosfato, v. supra, generando
l’energia necessaria per pompare Na+ fuori dal neurone), e questo
gradiente di concentrazione, il sopra detto potenziale di membrana, equivale a
un campo elettrico dell’ordine di 70-100 000 V/cm (dato che lo spessore in cui
esiste è di 70-100 Å) che impedisce il passaggio transmembrana e mantiene
sostanzialmente chiusi i canali ionici; lo scambio di ioni è poi regolato dai
detti canali ionici, voltaggiodipendenti, i cui cancelli si aprono e si
chiudono in sequenza ordinata permettendo le differenze di polarità sopra
citate; infatti, il canale del sodio presenta due cancelli, uno d’attivazione (canale
m, in figura) , e l’altro
d’inattivazione (canale h, in figura)
e, mentre nello stato di potenziale di membrana a riposo il primo è chiuso e
l’altro è aperto (fase A, stato di riposo), quando anche il cancello
d’attivazione (m) è aperto, lo ione
Na+ entra nel neurone grazie alla differenza di gradiente di
concentrazione, ciò che modifica la polarità presente all’interno del neurone
(fase B, depolarizzante), mentre quando il canale del potassio, che presenta un
unico cancello d’attivazione (n), è completamente
aperto (e il cancello d’inattivazione h si
chiude), s’attiva, sempre grazie alla differenza di gradiente di
concentrazione, l’uscita dello ione K+, il che riporta l’interno del
neurone alla polarità iniziale (C, fase depolarizzante, seguita da D, fase di
sottoelongazione), cioè allo stato di potenziale di membrana a riposo (fase A,
stato di riposo); si ripete che gli ioni passano, sempre in senso
perpendicolare alla direzione dell’impulso, attraverso i canali ionici dedicati
in entrata e in uscita e con una sequenza d’apertura/chiusura dei detti cancelli
ionici della membrana cellulare che si sviluppa in serie se il numero di
cancelli di sodio aperti è sufficiente, ciò che fa entrare il meccanismo in un
circolo di retroazione positiva che
porta al picco del potenziale d’azione, a cui è poi pari l’impulso creato dalla
depolarizzazione che dalla zona d’innesco via via s’origina e si sposta in
posizioni successive lungo la membrana dell’assone fino a che ritorna al suo
stato di riposo a causa della chiusura ritardata dei cancelli d’inattivazione
del sodio e dell’apertura ritardata di quelli del potassio:
Figura
n. . Fonte (modificata): O’Shea, 2012,
p. 42.
La
figura seguente mostra invece più in dettaglio come un potenziale d’azione è
convertito in un segnale molecolare a livello della sinapsi tramite il rilascio
di neurotrasmettitori dalle vescicole sinaptiche; il potenziale d’azione
(rappresentato da una freccia), infatti, provoca una depolarizzazione della
membrana presinaptica (grazie all’aumento in entrata degli ioni calcio, Ca++),
ciò che fa sì che si manifesti la fusione tra la membrana presinaptica e le vescicole
contenenti il neurotrasmettitore (detta esocitosi vescicolare, dove la quantità
di neurotrasmettitori ceduti allo spazio esterno dipende poi dalla concentrazione
di calcio entrata a seguito del potenziale d’azione), cioè rendendone possibile
il rilascio che, riversato nella fessura sinaptica, si lega ai recettori chemiodipendenti
dei canali ionici postsinaptici (cerchi aperti nella figura in basso) causando
così la loro apertura/chiusura nella membrana postsinaptica (e si noti che
mentre nell’assone i canali sono voltaggiodipendenti, qui non è uno stimolo
elettrico ad aprire i canali, ma lo stimolo chimico del neurotrasmettitore),
ossia provocando una sua depolarizzazione, ciò che permette il passaggio del
potenziale d’azione, dell’impulso nervoso, in un’eventuale catena di neuroni in
quanto potenzia la trasmissione dell’impulso lungo la catena abbassando il
valore del potenziale di riposo della membrana postsinaptica (cioè abbassando
la soglia a un valore negativo inferiore a -70 mV, per esempio, - 55 mV); nel
caso, invece, la membrana postsinaptica fosse resa iperpolarizzata dal
neurotrasmettitore, cioè ne fosse alzato il valore del suo potenziale di riposo
(alzando la soglia di -70 mV a un valore negativo più alto, per esempio, - 90
mV), il potenziale d’azione ne sarebbe inibito in quanto non potrebbe più
propagarsi e si dovrebbe fermare a livello di questa sinapsi; come dire che il
fatto che un impulso sia o no trasmesso deriva dalla contabilizzazione di tutti
i potenziali eccitatori e inibitori che influenzano il neurone presinaptico, e
che solo se si presenta il raggiungimento della soglia critica (in aree
particolari del neurone che assumono il nome di zone d’innesco) si genera il
potenziale sinaptico che fa sì che il neurone postsinaptico scarichi il
potenziale d’azione (e maggiore è l’eccitazione, più alta sarà la frequenza
della serie d’impulsi, cioè il numero d’impulsi per secondo; la figura seguente
mostra il superamento della soglia critica e la scarica del potenziale d’azione
(in figura, le sinapsi sui dendriti d’un neurone presentano un bottone
sinaptico bianco e sono eccitatorie; la prima freccia indica la direzione del
potenziale d’azione verso il soma, dove sono però presenti sinapsi con bottone
nero di tipo inibitorio; il proseguire della freccia oltre il soma verso le diramazioni
assoniche indica che la valutazione sommatoria delle sinapsi
eccitatorie/inibenti ha superato la soglia critica e che pertanto il potenziale
d’azione, freccia a destra e a sinistra e bottoni sinaptici bianchi, può
scaricarsi su altri neuroni):
Figura
n. . Fonte: Calissano, 1992, p. 35.
e
poiché i potenziali d’azione presentano un’ampiezza e un’intensità invariabili,
è proprio la variazione di frequenza dei picchi nervosi (nerve spikes) che fa la
differenza nella trasmissione sinaptica, e questa si può presentare per
sommazione temporale e per sommazione spaziale, nel qual ultimo caso si
possono, per esempio, creare dei circuiti locali fra neuroni fra loro vicini
che possono discriminare o potenziare delle informazioni); di fatto, dunque, i
segnali elettrici che arrivano ai dendriti d’un neurone da altri neuroni a
migliaia e migliaia, possono essere di natura eccitatoria o inibitoria, e sono
segnali che, integrati dal neurone, infine possono o scaricare o inibire la
scarica del potenziale d’azione che s’è propagato lungo l’assone fino alle sue
terminazioni nervose, e il neurotrasmettitore facilita quello ch’è il passaggio
del potenziale d’azione, o aiuta a impedirlo (per esempio, dei 50 e passa
neurotrasmettitori sintetizzati dai neuroni, il glutammato ha una funzione
eccitatoria, mentre la glicina e l’acido γ-aminobutirrico, o Gamma-AminoButyric Acid, GABA, presentano
un’azione inibitoria, altri, quali la dopamina e la noradrenalina possono,
secondo il tipo di recettore cui si legano, manifestare azione eccitatoria o
inibitoria, e normalmente un neurone utilizza un solo tipo di
neurotrasmettitore e, meno frequentemente, al massimo 2 o 3);
neurotrasmettitore che, dopo il suo rilascio, è poi generalmente reincamerato
dal neurone che l’ha prodotto per essere riciclato, questo per il tramite d’un
processo denominato ricaptazione in cui, al posto dell’esocitosi, si ha l’endocitosi,
ossia la produzione di vescicole vuote che si riempiono poi con il
neurotrasmettitore (in figura sono segnalati i mitocondri, il cui ruolo è di
produrre l’energia di cui abbisogna il soma, il bottone sinaptico, che altro
non è che la parte terminare dell’assone, lo spazio della fessura sinaptica in
nanometri, 200 nm; infine, è segnalata la spina dendritica, cioè un’estensione
del dendrite che riceve l’eventuale sinapsi):
Figura
n. .
Fonte: Robert, 1984, p. 232.
Ancora,
in molti tipi di neuroni, le due membrane della giunzione sinaptica (quella terminale
presinaptica e quella terminale postsinaptica) oltre che a regolare il flusso
del potenziale d’azione (con azioni di rinforzo o inibizione), in molti tipi di
neuroni queste possono anche memorizzarlo per un dato periodo di tempo (questo
al fine d’una riattivazione degli schemi dell’attività neurale, per esempio,
nel sonno), cioè registrarne la tipologia e l’intensità, ciò che ci informa del
fatto cruciale che la memoria, il comportamento e la plasticità nervosa trovano
la loro prima spiegazione nei ruoli di regolazione/registrazione assunti dalla
giunzione sinaptica; da ricordare anche che la conduzione dell’impulso può
essere continua nelle fibre amieliniche (detta conduzione puntiforme, laddove
il flusso di ioni genera una corrente locale che depolarizza la zona adiacente
della membrana) e discontinua nelle fibre mielinizzate dove si presenta a
salti, cioè dove investe solo le zone prive di rivestimento mielinico intervallati
tra una guaina mielinica e l’altra (v. supra),
quelli che si definiscono come nodi di Ranvier, nodi dove si localizzano i
canali ionici sensibili al voltaggio; è, infatti, da ricordare che la mielina e
molto più ricca di lipidi complessi (ca. il 70-80%, più il 20-30% di proteine) rispetto
alle normali membrane cellulari, ciò che esclude la presenza d’acqua, cioè la
possibilità di potere essere attraversata da ioni Na+ e K+
(v. supra), ciò che la rende un
perfetto isolante che facilita il salto da un nodo di Ranvier all’altro e che,
come visto, accelera la rapidità di trasmissione dell’impulso nervoso, tanto
che qui la conduzione è detta saltatoria (a proposito della rapidità di
trasmissione, è da ricordare che gli assoni sono per natura conduttori lenti e che
per migliorarne la conduzione bisognerebbe o aumentare la conduttività
elettrica aumentando in pari tempo il diametro degli assoni o isolando a tratti
la membrana assonica; nel primo caso ciò porterebbe ad assoni giganti in quanto,
per esempio, per raddoppiare la velocità sarebbe necessario quadruplicare
il diametro, essendo la velocità di
conduzione proporzionale alla radice quadrata del diametro, ciò che porterebbe
sì a una velocità più elevata ma, dato lo spazio occupato da parte della
corteccia cerebrale, alla presenza d’un numero di neuroni decisamente
inferiore, motivo per cui la pressione della selezione ha optato, nello
sviluppo dei cervelli ad alte prestazioni, a una miniaturizzazione dei neuroni
e all’aumento del loro numero, cioè all’aumento della velocità di conduzione
per il tramite dell’isolamento degli assoni con la mielina tra un nodo di
Ranvier e l’altro, all’incirca dopo 1 mm e prima d’un altro mm, ossia
mielinizzandoli, tanto che l’impulso nervoso salta da un nodo all’altro con un
notevole aumento della velocità di conduzione, essendo poi il ritardo prodotto
dalla guaina isolante nel complesso irrisorio); la figura seguente mostra un
neurone con assone mielinizzato:
Figura
n. . Fonte: Costandi, 2014, p. 17.
La
sinapsi poi, oltre che chimica come quella appena descritta, può essere
elettrica, e
questa si ha quando il segnale elettrico d’un neurone raggiunge un altro
neurone direttamente per il tramite di pori proteici che perforano le membrane
d’entrambi in zone preposte (e non indirettamente con la mediazione del
neurotrasmettitore), segnale ch’è trasmesso sì molto rapidamente, solo che
l’informazione trasferita è esclusivamente eccitatoria e non modulabile e che,
in questo caso, la conduzione può essere anterògrada (indirizzata in avanti) e
retrograda (indirizzata all’indietro), cioè bidirezionale, e non solo
anterograda e monodirezionale (dal neurone presinaptico a quello postsinaptico)
come nella sinapsi chimica, e queste sinapsi elettriche, le più antiche, dal
punto di vista filogenetico e più abbondanti nel sistema nervoso degli
invertebrati (a differenza di quelle chimiche, predominanti nei mammiferi), sono
presenti nei circuiti neuronali necessari all’attivazione di risposte immediate
(per esempio, nel comportamento di fuga, dato che questo comportamento, in una
specie, è dettato grossomodo da una distanza prefissata, v. infra, e non richiede una complessa
elaborazione dell’informazione); le sinapsi, come visto, possono poi essere
presenti in un numero elevato sulla membrana (fatto salvo che una sinapsi
presente in un neurone gli permette di comunicare solo con un altro neurone, vicino
o lontano che sia non importa, e che un neurone può ricevere segnali da migliaia
d’altri neuroni attraverso le migliaia di sinapsi presenti sulla sua superficie,
tanto che s’arriva valutando il tutto a un totale complessivo di sinapsi nel
cervello di Homo sapiens ch’è stato
valutato dell’ordine di 1014) ed è da precisare che la forma più
semplice di trasmissione sinaptica coinvolge un canale ionico ligando-dipendente (dove il ligando, qui, è un neurotrasmettitore; in
inglese è detto Ligand-gated ion channel,
LGIC e in italiano recettore ionotropico) che si apre legandosi a un
neurotrasmettitore, forma semplice perché questa classe di recettori transmembrana
media un accoppiamento diretto e veloce tra il legamento del neurotrasmettitore
e la generazione d’un rapido segnale elettrico nel neurone postsinaptico, cioè
provoca un mutamento nella configurazione del recettore che genera
un’alterazione nella permeabilità di ioni quali il sodio, il potassio, il cloro
o il calcio, ciò che, a sua volta facilita o arresta, nell’arco di pochi
millisecondi, il passaggio del potenziale d’azione generando una
depolarizzazione o una iperpolarizzazione della membrana (v. supra), mutamento di permeabilità che
così come rapidamente è comparso, rapidamente s’attenua e scompare facendo
ritornare la membrana alla configurazione precedente la comparsa del ligando; per esempio, il già citato GABA
provoca nel recettore ionotropico un aumento della permeabilità per l’anione
cloro (lo ione negativo Cl-, v. supra),
ciò che provoca un’iperpolarizzazione della membrana che innalzando il valore
del suo potenziale di riposo inibisce la propagazione del potenziale d’azione;
la figura seguente mostra un recettore ingrandito di ca. 700 000 volte:
Figura
n. . Fonte: Calissano, 1992, p. 28.
Esiste
però anche un’altra classe di recettori transmembrana, detti metabotropici (così
detti in quanto la loro attivazione richiede una spesa energetica da parte del
neurone), dove l’insieme però non si presenta così semplice, diretto e veloce come
per il recettore ionotropico, così come l’effetto non s’attenua e scompare
altrettanto rapidamente, e questi recettori possono modificare la trasmissione
del messaggio attivando un meccanismo indiretto con i canali ionici; infatti,
questi canali s’attivano solo quando, a seguito d’un legame mediato tra il
recettore e il neurotrasmettitore, s’è già presentata una cascata di reazioni
intracellulari (una complessa catena di reazioni biochimiche o metaboliche) nel
neurone postsinaptico, cascata che causa poi l’aumento di molecole segnale
all’interno del neurone postsinaptico stesso che producono un’alterazione, per
un periodo di tempo più o meno breve, della conformazione o dislocazione del
recettore stesso; questa classe di molecole segnale sintetizzata dalla cascata è
poi detta anche dei secondi messaggeri (là dove i primi messaggeri sono i
neurotrasmettitori che trasmettono l’informazione nei recettori ionotropici, e
senza escludere che uno stesso neurotrasmettitore possa legarsi a entrambi i
recettori, cioè dare avvio e a una trasmissione veloce come primo messaggero e
a un’altra lenta come secondo messaggero); il numero totale di secondi
messaggeri che operano all’interno della cellula postsinaptica è limitato, e il
loro ruolo, una volta avvenuta che sia la serie di reazioni a catena da loro
promossa, è quello d’amplificare il segnale iniziale (e, in certi casi,
quest’amplificazione è di molti milioni di volte), tanto che un meccanismo
relativamente semplice è così in grado di regolare un’estrema varietà di risposte
cellulari che danno inizio a cambiamenti a lungo termine nello schema (o pattern) d’espressione dei geni e della
sintesi proteica, cambiamenti che possono, a loro volta, causare delle
modificazioni nella robustezza della sinapsi e delle modificazioni stabili
delle strutture neuronali (ed è pertanto ragionevole partire da questa seconda
classe di recettori per indagare e per individuare il meccanismo che porta alla
modificazione delle strutture neuronali ch’è concomitante con il processo
d’apprendimento e di formazione della memoria nel cervello, v. infra); e si ritrovano legati ai
recettori metabotropici i neuropeptidi, una classe di sostanze chimiche ch’è
polifunzionale in quanto può fungere da neurotrasmettitore (primo messaggero) al
pari d’altri neurotrasmettitori, ma può anche, come secondo messaggero, modularne
la liberazione, cioè condizionare la trasmissione dell’impulso nervoso in
quanto, agendo su substrati neurali, può sincronizzarne e modularne i
molteplici impulsi presenti in vista di funzioni più complesse (e, a questo
proposito, si parla di neuromodulazione) e può, infine, in quanto sostanza
liberata direttamente nel circolo sanguigno (nella emolinfa), comportarsi come
un ormone (e
si parla di neurosecrezione), nel qual ultimo caso può esercitare i suoi
effetti sui bersagli periferici che sono distanti, tanto nel Sistema nervoso
centrale (SNC) quanto in quello periferico (SNP), e questa classe polifunzionale
dei neuropeptidi è data da macromolecole costituite da una breve catena
d’amminoacidi (quali endorfine, encefaline, vasopressina e altre ancora) che,
come i neurotrasmettitori, possono essere sintetizzati dai neuroni (e
contenuti, prima del loro sversamento, o esocitosi, in un’apposita vescicola,
più grande di quelle sinaptiche, senza però essere ricaptati come i
neurotrasmettitori dal neurone che li ha prodotti); una differenza tra primi e
secondi messaggeri è, come detto, poi data dalla velocità di trasmissione, che
è molto veloce per i neurotrasmettitori (specie se l’assone è mielinizzato),
dell’ordine dei millisecondi, ma generalmente lenta per i neuropeptidi,
dell’ordine di secondi o minuti, in quanto questi sono coinvolti in una serie
di processi fisiologici complessi quali il consumo alimentare, la percezione
del dolore (o nocicezione), i comportamenti sociali, il controllo dello stress, l’apprendimento, la memoria e
altro ancora e anche s’è vero che esercitano però, con la loro lentezza, degli
effetti più prolungati, diversificati ed efficaci dei neurotrasmettitori;
comunque, indipendentemente da questo e dalla velocità, resta però che le fibre
nervose, in quanto attraversate da questa duplice modalità comunicativa ch’è
tanto veloce e diretta quanto lenta e capace di modulazione, riescono a
facilitare l’interazione del cervello con il corpo permettendo all’insieme una
notevole plasticità (v. infra), e
senza dimenticare, infine,
che alcuni neuroni possono trasmettere l’informazione anche senza sinapsi,
questo grazie al rilascio di molecole messaggero (per esempio, l’ossido d’azoto,
NO) che si diffondono liberamente per intere aree del cervello, ciò che,
appunto, permette di comunicare da un’area all’altra del cervello senza sinapsi,
e che i neuroni, ancora, possono simultaneamente servirsi d’entrambe queste
modalità di trasmissione, con e senza sinapsi; a questo punto, detto dei
neuroni e della loro modalità di comunicazione, è necessario introdurre alcune
informazioni sul ruolo delle altre cellule presenti nel cervello, quelle
gliali, che costituiscono l’80% ca. (altri dice 90%) delle cellule presenti nel
cervello e che sopra si sono definite solo in vista del loro supporto ai
neuroni; e di queste, si sono già viste, senza però nominarli, gli
oligodendrociti, le cellule gliali che producono strati concentrici sovrapposti
di lipidi e proteine (cioè mielina) sugli assoni, ma esistono anche altri tipi
di cellule gliali oltre questa, e qui interessano le cellule della glia radiale
(Radial Glia, RG), gli astrociti e le
cellule della microglìa; le cellule della glia radiale sono presenti solo
durante le prime fasi dello sviluppo cerebrale e sono determinanti per lo
sviluppo del cervello, infatti, nelle prime fasi dello sviluppo dell’embrione
il sistema nervoso non è altro che un tubo cavo (o tubo neurale, v. supra) che in un’estremità presenta la
formazione del cervello (encefalo) e nell’altra quella del midollo spinale,
cioè quello che sarà il Sistema nervoso centrale (SNC); tubo ch’è attraversato,
nel suo spessore, da fibre di glia radiale (da cellule gliali radiali), fibre
che si dividono vicino alla superficie interna producendo dei neuroni immaturi,
neuroni che risalgono le dette fibre, usate a modo d’impalcatura e di percorso
guidato, strisciando radialmente fino alla superficie esterna dove, in ondate
di migrazioni radiali successive, si producono gli strati della corteccia
cerebrale, prima lo strato più interno, poi, attraverso migrazioni che lo
attraversano, quello più esterno, e via via secondo tempistiche prefissate,
attraversando gli strati precedentemente formati che diventano così interni,
s’arriva al sesto e ultimo strato, esterno, dove termina il processo di
neurogenesi e inizia il processo di differenziamento neuronale o, detto
altrimenti, quando i neuroni raggiungono la loro posizione definitiva nel
cervello, iniziano a proiettare assoni e dendriti che daranno origine, con le
sinapsi, ai circuiti neurali che si trovano nel cervello maturo (si calcola un
miliardo di triliardi di collegamenti, e dove un triliardo è mille miliardi di
miliardi, 1021); gli astrociti sono cellule gliali che presentano
prolungamenti a disposizione raggiata, cellule che sono densamente raggruppate
attorni ai neuroni del Sistema nervoso centrale, SNC, neuroni che dagli
astrociti sono alimentati (con la circolazione sanguigna), regolati per
controllarne la composizione chimica, sorreggerne gli assoni verso le loro
cellule bersaglio ed eliminare gli elementi di scarto; ancora, gli astrociti
formano fra di loro delle reti dove queste cellule comunicano, anche su lunghe
distanze, per il tramite di segnali chimici e sempre con questo tipo di segnali
comunicano anche con i neuroni aggiungendo un ulteriore livello di complessità
ai meccanismi d’elaborazione delle informazioni a livello di SNC; gli astrociti
contribuiscono inoltre alla formazione delle sinapsi tanto durante lo sviluppo
cerebrale (ne determinano, del neurone, la localizzazione finale, la forma, la
specificazione dei neurotrasmettitori da produrre, e le cellule bersaglio; e,
come detto, normalmente il neurotrasmettitore da produrre è unico, ma si può
arrivare a 2 o 3) quanto nella definizione delle funzioni sinaptiche del
cervello già sviluppato, questo partecipando alla regolazione del flusso dei
segnali chimici tra i neuroni e partecipando come terzo elemento nella sinapsi,
fenomeno detto di sinapsi tripartita (come dire che agli assoni presinaptici e
quelli postsinaptici c’è sempre associata una cellula astrocita); ne consegue
che gli astrociti sono coinvolti nella plasticità sinaptica, cioè nel sistema
di rafforzamento delle connessioni fra neuroni, ossia legati al destino
d’efficienza e di mantenimento in essere delle sinapsi, questo probabilmente in
funzione dei fenomeni d’apprendimento e memoria che determinano le modalità d’esistenza
e funzionamento delle reti neurali; infine, gli astrociti sono costituenti,
assieme all’endotelio dei capillari sanguigni, della barriera ematoencefalica,
cioè di quella barriera che, grazie alle giunzioni strette delle cellule
endoteliali dei capillari, formano una parete pressoché continua (la barriera è
assente solo in prossimità delle ghiandole cerebrali, per esempio l’ipofisi)
per permettere regolazioni endocrine ch’impediscano il passaggio delle molecole
patogene, per esempio, tossine d’origine microbica (virus) o batterica, o d’altre molecole presenti nel sangue, ma che
in pari tempo, grazie ai peduncoli degli astrociti che avvolgono i detti
capillari, esercita un’azione di selezione attiva sulle molecole in arrivo (come
dire che le molecole possono essere rifiutate così come essere trasportate
dagli astrociti); per quanto riguarda la microglia, essa ha nei confronti del
cervello e del midollo spinale una funzione immunitaria e ha anche il ruolo di
ripulire il luogo occupato dai neuroni danneggiati e morenti o morti a seguito
d’una lesione; ma, oltre a questo, essa è in grado di potare nel cervello, per
fagocitosi (un processo in cui la cellula microgliale usa la propria membrana
cellulare per incorporare e distruggere la sinapsi durante l’attività di
potatura o un microbo, durante la fase immunitaria), le connessioni non più
utilizzate, vale a dire le sinapsi disfunzionali, ciò che ha l’effetto di
rinforzare e le sinapsi non coinvolte e, con le risorse cellulari liberate
dalla potatura (o pruning), di
poterne creare delle nuove (per rimanere in metafora, germogliatura, o sprouting) contribuendo alla plasticità
cerebrale con una possibile riconfigurazione dei circuiti presenti; detto
questo, durante lo sviluppo del Sistema nervoso centrale (SNC) il numero dei
neuroni in Homo sapiens (ma lo stesso
vale per i mammiferi) raggiunge il suo acme nel periodo prenatale, quando il
cervello del feto produce una quantità di neuroni all’incirca tre volte
superiore di quelli che rimarranno, per poi presentare un altro picco di
crescita nella corteccia frontale all’altezza della pubertà, sugli 11-12 anni,
mentre in seguito dei neuroni sono potati nel periodo immediatamente prenatale
(ultimi tre mesi) e postnatale (con una prima potatura all’altezza dei 3 anni e
un’altra dopo la pubertà, nell’adolescenza, all’incirca tra i 18-20 anni), e
questi neuroni prodotti in sovrabbondanza sono poi massicciamente potati dalla
sopra citata microglia; e, sia detto per inciso, sono sovrabbondanti solo quei
neuroni che non riescono ad assolvere le loro funzioni nel tessuto nervoso
(all’incirca, la metà dei neuroni presenti), come dire che sono programmati a
morire solo quei neuroni impossibilitati a creare delle sinapsi funzionali (il
che non impedisce, poi, che così come sono potati i neuroni anche delle sinapsi
funzionanti siano potate al fine di riconfigurare, come detto, i circuiti
neuronali in vista e in funzione dell’apprendimento e della memoria); ora, per
ritornare alla potatura sinaptica (synaptic
pruning), questa si verifica, come visto, a ondate successive nel tempo per
favorire il detto rimodellamento delle sinapsi e della plasticità cerebrale
nella fase dello sviluppo fisico e dell’adeguamento neurale all’ambiente (detto
altrimenti, ci sono delle finestre temporali entro le quali si determina,
attraverso la potatura delle connessioni non rispondenti allo scopo, quali
delle sinapsi presenti saranno conservate, per esempio, la potatura delle
sinapsi nel lobo occipitale, nelle aree deputate alla vista, avviene alla fine
del primo anno d’età, mentre la potatura delle sinapsi nella corteccia
prefrontale si ha grossomodo verso gli 11-12 anni, quando s’afferma
l’intelligenza di tipo operativo e s’è completato il processo di socializzazione), questo fino a
raggiungere, attraverso il rimodellamento continuo dei circuiti neurali (nuove
sinapsi/nuove potature) un equilibrio più o meno stabile delle popolazioni
neuronali dopo lo sviluppo (dopo i 18-20 anni e fino ai 30 anni), senza che
questo impedisca la plasticità sinaptica e nuovi fenomeni di neurogenesi (come
si sospetta avvenga, per esempio, con i neuroni del bulbo olfattivo e
dell’ippocampo in Homo sapiens che si
formano e si rinnovano nel corso dell’intera esistenza, probabilmente creando
nuovi circuiti sinaptici legati alla plasticità neurale richiesta
dall’apprendimento e dalla memoria), e senza dimenticare, lo si ripete, che il
processo della potatura sinaptica continua anche in età adulta (si ricorda che,
a differenza delle cellule staminali embrionali, totipotenti, v. infra, nel corpo umano adulto resta solo
un esiguo numero di queste cellule, nel citato bulbo olfattivo e nel midollo
osseo, da quali midollo nascono costantemente cellule del sangue); infatti, è
da ribadire che l’apprendimento e la memoria implicano la plasticità sinaptica,
cioè il rafforzamento e l’indebolimento delle connessioni sinaptiche
all’interno delle reti neuronali, processo che implica anche la potatura delle
sinapsi come fattore d’un corretto funzionamento del cervello, giacché il
cervello, oltre che più neuroni, crea anche più connessioni di quelle di cui ha
bisogno, salvo poi eliminare le sinapsi superflue o errate al fine di
riconfigurare così lo sviluppo dei percorsi neuronali (il picco di un sovrappiù
sinaptico relativamente stabile si ha nella corteccia cerebrale tra i 4 e gli 8
anni, ed è probabilmente utilizzabile per reindirizzare i neuroni verso altre
funzioni, ove fosse necessario; ma si sospetta che picchi di un surplus di connessioni neuronali, poi
sfoltite in vista di un’efficiente funzionamento dei circuiti neuronali, sia un
fenomeno proprio anche all’età adulta); e s’interessa sapere ora quali sono i
meccanismi di base che guidano la formazione delle connessioni, il tutto parte
dal fatto che le cellule nervose e gli assoni in via di sviluppo sono in grado
d’identificare, nella loro migrazione attraverso il sistema nervoso, dei
segnali chimici secreti nelle loro vicinanze nella matrice extracellulare
(generalmente proteine con un gradiente di concentrazione dato, sintetizzate in
punti precisi e con un alto gradiente, gradiente via via decrescente se ci
s’allontana dalla fonte), e di modificare i propri percorsi nel momento
dell’identificazione, e questi segnali chimici possono essere, oltre che a
breve o lungo raggio, di vario tipo, per esempio, all’inizio della migrazione
possono essere di tipo repulsivo, dati da molecole chemorepulsive
(per esempio, il condroitin solfato), cioè in grado d’allontanare le cellule
nervose e gli assoni in via di sviluppo da un dato percorso, salvo poi essere
segnali chimici di tipo attraente, dati da molecole chemotattiche (per esempio, la
laminina-1), che delineano e favoriscono il percorso da seguire per arrivare
alla cellula bersaglio e, infine, possono essere segnali che sanciscono
l’avvenuto raggiungimento della cellula bersaglio; specificamente, l’assone in
via di sviluppo presenta una struttura apicale specializzata, detta cono di
crescita, che contiene numerose protuberanze che escono a ventaglio, dette
filopòdi, che s’estendono e si ritraggono grazie ai recettori in grado
d’identificare i segnali guida, segnali che iniziano una reazione biochimica
che porta alla riorganizzazione degli elementi strutturali all’interno dei coni
di crescita in modo da favorire (con ancoramento dei filopodi che trascinano
con sé il cono di crescita) o impedire un dato fronte d’avanzamento, per
esempio, i già citati segnali di tipo repulsivo con la reazione che innescano
fanno collassare un lato del cono di crescita, tanto che il cono di crescita si
ricostruisce sull’altro lato, ciò che porta ad una deviazione e allontanamento
dell’assone in fase di crescita etc.;
infine, gli assoni in via di sviluppo che per primi migrano lungo un
particolare fascio nervoso sono detti pionieri, e quelli che migrano lungo
percorsi già definiti danno origine a fasci di fibre nervose che connettono
regioni cerebrali fra loro distanti (e si parla di processi di fascicolazione),
e questa formazione delle sinapsi (o sinaptogenesi) in Homo sapiens, così come nei Vertebrati, inizia nell’embrione e continua
nella prima vita postnatale e fino all’età adulta, e questa formazione è, come
visto, legata al processo di riconoscimento della cellula bersaglio, ciò che
produce quando la sinaptogenesi è terminata (e comprendendo in questo processo
temporale anche la potatura dei neuroni) l’architettura dei circuiti nervosi
funzionali; per quanto riguarda poi la potatura dei neuroni soprannumerari, si
sospetta che avvenga per inappropriata stimolazione o per deficit d’alimentazione cellulare (questo date le concentrazioni
dei fattori trofici che sono limitate e inducono competizione fra i neuroni che
devono raggiungere lo stesso bersaglio, vale a dire per un deficit legato all’assenza di quei fattori di crescita fra loro
diversi, o da loro combinazioni, che sono tipici di ogni popolazione neuronale
e che garantiscono ai neuroni e la crescita e la sopravvivenza finale, quali il
fattore di crescita nervoso, o Nerve
Growth Factor, NGF; il fattore neurotrofico di derivazione cellulare, Brain Derived Neurotrotrophic Factor, BDNF, o il fattore neurotrofico
derivato dalla glia, Glial cell
line-Derived Neurotrophic Factor, GDNF e altri ancora), ciò che li porta
infine, poiché immaturi per il corretto funzionamento nel SNC, a essere
eliminati tramite una morte cellulare programmata, o apoptosi (v. supra), gestita nella fase finale dalla
microglia; specificamente, al centro del meccanismo apoptopico si trova una
famiglia di proteine chiamate caspasi che sono presenti in tutte le cellule del
corpo e che, se il processo è inibito, sono inattive, ma che, se il processo
s’attiva, danno inizio al processo d’autodemolizione spostandosi all’interno
del nucleo cellulare e disintegrandolo, questo formando una popolazione
d’elementi frammentati, o corpi apoptopici, che, individuati dalla microglia,
sono inglobati per fagocitosi; ora, in animali come quelli del genere Homo, il cervello consiste di strati, o
lamine, e di strutture pressoché sferiche chiamate nuclei, tutte strutture che
si sono sviluppate per compiere delle funzioni nell’ambito d’una rete di
connessioni e tutte formate da un numero molto grande di neuroni, a volte
maggiore e volte minore che nella corteccia (la quale contiene, come detto,
all’incirca 30 miliardi di neuroni, per un totale distribuito nel Sistema
nervoso centrale, SNC di ca. 100 miliardi di neuroni in media), neuroni che si
connettono, lo si ricordi, senza che poi le membrane dell’uno tocchino quelle
d’un altro se non per il tramite delle sinapsi; il cervello è poi collegato al
contesto esterno mediante dei neuroni specializzati, detti trasduttori
sensoriali (v. infra), che formano
gli organi di senso e forniscono al cervello i segnali d’ingresso (e si parla
di neuroni sensoriali o afferenti), mentre i segnali in uscita dal cervello
passano attraverso i neuroni collegati ai muscoli e alle ghiandole (detti
neuroni motori o efferenti), o, detto altrimenti, il SNC formato da cervello e
midollo spinale, riceve ed elabora le informazioni sensoriali e il Sistema
nervoso periferico, SNP, trasporta le informazioni che provengono dal corpo, e
quelle che verso il corpo sono inviate, attraverso le fibre nervose (v. infra), là dove dalla parte anteriore
del midollo spinale provengono fasci di neuroni motori (o motoneuroni) che si
diramano ai muscoli del corpo trasportando le informazioni provenienti dal
cervello riguardanti i movimenti volontari e dove alla parte posteriore del
midollo spinale arrivano fasci di fibre sensoriali che trasportano le
informazioni provenienti dal corpo che devono arrivare al cervello; tolti questi
neuroni afferenti/efferenti, la maggior parte dei tessuti del cervello riceve
però segnali unicamente da altre parti del cervello e, analogamente, invia
segnali ad altre aree senza nessun intervento da parte del contesto esterno;
più in dettaglio, tutti i sistemi sensoriali (vista, udito, tatto, gusto e
olfatto) condividono uno schema comune che parte dalla trasduzione sensoriale
(dove la trasduzione è la capacità d’una cellula di convertire l’energia,
luminosa o sonora, per esempio, in un segnale elettrico, in impulsi nervosi,
come dire che l’unica cosa che noi vediamo è un segnale elettrico proveniente
dagli occhi, o che ascoltiamo i segnali elettrici che provengono dalle orecchie),
trasduzione ch’è il processo durante il quale i recettori specializzati rilevano
dei mutamenti nell’ambiente e per il tramite della conversione dell’energia in
arrivo li convertono in impulsi elettrici che sono inviati al talamo che, a sua
volta, li smista e li ritrasmette alla regione deputata della corteccia
cerebrale che li elabora; e ciascun organo di senso ha una sua specializzazione
nella percezione degli stimoli (dell’energia con cui lo stimolo si manifesta) cui
è vocato, energia ch’è tradotta nel linguaggio elettrochimico del cervello
affinché la loro elaborazione e interpretazione produca, per l’organismo che li
percepisce, un’esperienza coerente della realtà; per quanto riguarda la
generazione dei movimenti volontari (ch’è una delle funzioni primarie del SNC),
i neuroni che proiettano direttamente ai neuroni motori dei nervi cranici e del
midollo spinale sono presenti nel sistema motorio del cervello, una struttura
corticale che ha il compito della loro pianificazione, controllo ed esecuzione,
cioè sono presenti (con gli assoni in assoluto più lunghi), oltre che per una parte
della corteccia cerebrale, in varie strutture sottocorticali (gangli basali, o
della base, posti al di sotto della corteccia frontale, e cervelletto) e nel
citato midollo spinale; partendo dalla corteccia cerebrale, la corteccia
motoria è la parte posteriore del lobo frontale (anteriore alla scissura
centrale o rolandica, v. supra) che
contiene diverse aree motorie specializzate, la corteccia motoria primaria, che
controlla direttamente i movimenti volontari del tronco e degli arti situati
nelle metà opposte del corpo, o controlaterali, e, in pari tempo, regola
l’attività di più articolazioni (questo per il tramite d’una
rappresentazione schematica del corpo, detta mappa somatotopica, che a gruppi
di neuroni adiacenti fa corrispondere una mappa di muscoli anatomicamente
adiacenti, cioè delle aree contigue dei distretti del corpo e dove lo spazio di
rappresentazione occupato è legato non alle reali dimensioni, ma all’importanza
funzionale, traslata in potenza d’elaborazione neurale, che assumono i singoli
distretti corporei), e la corteccia motoria secondaria; quest’ultima è data
dalla corteccia premotoria, che codifica l’intenzione d’eseguire un dato
movimento selezionando quello appropriato in base alle informazioni sensoriali
disponibili (visive, tattili, acustiche), e dalla corteccia motoria
supplementare, ch’è coinvolta nella pianificazione e coordinazione del
movimento complesso; la principale via di uscita nella corteccia primaria è poi
costituita dagli assoni dei voluminosi neuroni di tipo piramidale (detti
cellule di Betz), presenti nel quinto dei 6 strati che formano la corteccia
primaria, e che proiettano lunghe fibre nervose fino al midollo spinale dove
formano delle sinapsi con i neuroni motori che trasmettono i segnali ai muscoli
contribuendo così a una delle principali vie nervose del SNC (detta via
corticospinale diretta, o piramidale) che innerva anche altri centri sottocorticali,
principalmente a livello del tronco encefalico (v. supra), e queste fibre attraversano il sistema nervoso spostandosi
in senso verticale, e, quando passano per il tronco cerebrale (come detto,
all’altezza del midollo allungato) decussano, vale a dire che a quest’altezza i
due fasci di fibre scambiano le loro fibre in modo che tutte quelle di destra
si portano a sinistra e viceversa, ciò che così garantisce che ciascun emisfero
del cervello controlli, attraverso il midollo spinale, i movimenti della parte
opposta del corpo; ancora, l’esecuzione di movimenti semplici non è preceduta
da attivazioni dell’area motoria secondaria, ma solo da quelli dell’area
motoria centrale, mentre l’esecuzione di movimenti complessi fa sì che i
neuroni localizzati nella corteccia motoria secondaria, di fatto quelli
presenti nell’area della corteccia motoria supplementare, s’attivino prima dell’esecuzione
dei movimenti stessi (area che s’attiva anche se la sequenza complessa degli
atti motori è solo pensata e non eseguita); la corteccia premotoria s’attiva
invece quando la sequenza motoria è implementata da stimoli esterni, ed è in
quest’area che sono presenti i neuroni specchio (v., supra) che s’attivano in coincidenza tanto con l’esecuzione d’un
atto motorio, quanto nel momento dell’osservazione d’un gesto eseguito da altri
(ciò che avrà un’enorme importanza nello sviluppo del cervello sociale, v. infra); per quanto riguarda le strutture
sottocorticali, bisogna ricordare che l’esecuzione d’un atto motorio passa
anche attraverso il controllo dei gangli basali e del cervelletto che lo
modulano rendendo il movimento equilibrato e continuo (o, detto altrimenti, un
atto motorio richiede la collaborazione coordinata tra la corteccia cerebrale e
il controllo dei gangli basali e del cervelletto); infine, abbiamo il midollo
spinale, ch’è composto da 30 segmenti che si ripetono (o mielòmeri), ciascuno contenente
un paio di neuroni spinali (che escono tra una vertebra e l’altra) per un
totale di 31 paia, e dove una parte d’un neurone spinale contiene i neuroni
motori efferenti (discendenti) che estendono le loro fibre ai muscoli del corpo
e producono poi dei segnali che determinano la contrazione dei muscoli (e
questi si trovano nella parte posteriore del midollo spinale, cioè nella radice
dorsale del midollo spinale), mentre l’altra parte d’un neurone spinale comprende i neuroni sensitivi efferenti (ascendenti),
che portano informazioni dalla periferia del corpo al SNC (e questi si trovano
nella parte anteriore del midollo spinale, cioè nella radice ventrale del
midollo spinale, e le principali vie ascendenti si raccolgono poi nelle colonne
dorsali); le due parti d’un neurone spinale si congiungono per formare, prima
dell’uscita dal canale vertebrale, una sola radice spinale, quella da cui hanno
origine i nervi periferici il cui ruolo è quello di trasmettere le informazioni
del SNC a una corrispondente zona del corpo e di tramettere le informazioni che
provengono dalle zone del corpo alle zone deputate del SNC; da ricordare che le
sinapsi che legano i neuroni motori ai muscoli da loro controllati sono poi
chiamate giunzioni neuromuscolari e danno origine a un insieme congiunto detto
unità motoria; ancora, che il midollo spinale, oltre ad obbedire alle
informazioni motorie pianificate dal cervello, è anche in grado d’avviare in
modo autonomo alcuni movimenti semplici e stereotipati, definiti riflessi; la figura
seguente mostra a destra la sezione trasversale del midollo spinale con la
rappresentazione tridimensionale d’un mielomero (A), dove la sostanza, bianca
citata è data dalle fibre mielinizzate ascendenti e discendenti (zona
periferica), mentre la sostanza grigia contiene fibre amieliniche (v. supra) e corpi cellulari (zona
centrale); a sinistra (B) la figura mostra una rappresentazione dorsale del SNC
(cervello e midollo spinale) la numerazione dei 30 mielomeri (31 segmenti, citando
anche i 2 rudimentali nervi coccigei), cioè l’origine dei nervi spinali e la
numerazione corrispondente alle vertebre implicate, specificamente 8 paia cervicali
(da C1 a C8), 12 paia toracici (da T1 a T12), 5 paia lombari (da L1 a L5) e 5
paia sacrali (da S1 a S5), e dove si nota che il midollo spinale (ca. 40 cm di
lunghezza) termina a livello della prima vertebra lombare (L1), e questa
lunghezza del midollo inferiore rispetto a quella della colonna vertebrale fa
sì che non ci sia simmetria tra la dislocazione delle regioni del midollo e
quelle della colonna vertebrale dai cui fori si formano le radici spinali, ragion
per cui, se i segmenti del midollo lombare sono all’altezza delle due ultime
vertebre toraciche (T11 e T12) e della prima vertebra lombare (L1), e se i
segmenti del midollo sacrale e coccigeo sono all’altezza delle prime due
vertebre lombari (L1 e L2), s’impone che aumenti la lunghezza delle radici
spinali dei segmenti lombari, sacrali e del segmento coccigeo (come evidenzia
la figura); il termine rigonfiamento (cervicale, lombosacrale) indica poi ch’è
presente in sito un alto numero di cellule e di fibre nervose coincidenti con
le innervazioni agli arti:
Figura
n. . Fonte: Mattelli e Umiltà, 2007, p.
30.
Ora,
i neuroni presentano una morfologia assai variata, reperibile in base alla
forma del soma, alla lunghezza dell’assone e alla distribuzione ramificata dei
dendriti, ed è la forma che determina in parte la funzione (ma senza che la
complessità della forma sia un indice delle prestazioni del cervello), ossia il
modo in cui questi si connettono e arrivano a comporre la neuroanatomia d’una
data area del cervello (e assoni molto lunghi connettono i neuroni appartenenti
a strutture nervose differenziate, mentre assoni corti collegano neuroni fra
loro vicini, e sono per questo detti interneuroni, e il ruolo di questi ultimi
è poi quello di modificare l’attività degli altri neuroni, cioè di trasmettere
l’informazione tra neuroni appartenenti allo stesso circuito, o tra neuroni
differenti in diverse aree del cervello); si calcolano poi ca. 10 000 tipi di
neuroni funzionalmente differenti; la figura seguente mostra una selezione di
neuroni della corteccia cerebrale in grado di farne intuire la diversità:
Figura
n. . Fonte: Einon e Rose, 1997, p. 990.
Ne
consegue che le possibili disposizioni anatomiche dei neuroni sono molte, e
talvolta i neuroni sono organizzati in mappe (v. supra), ed è attraverso questa mappatura che si mettono in
relazione, per esempio, i punti appartenenti agli strati bidimensionali di
recettori del corpo con i punti corrispondenti sui citati strati che formano il
cervello; e d’una mappa ch’investe il sistema motorio, quello somatotopica, s’è
detto sopra, e, in linea generale, si può dire che il corpo è rappresentato sulla
superficie del cervello in modo ordinato, per cui a parti adiacenti del corpo
corrispondono aree adiacenti del cervello, per esempio, nei sistemi sensoriali
del cervello che danno origine a mappe somatosensoriali, quali quella visuale
(o retinotopica), sonora (o tonotonica) e olfattiva; in ogni caso la
maggioranza delle fibre nervose presenti nel cervello è costituita da quelle
che hanno il ruolo di connettere le mappe, quali il corpo calloso che, come
detto, connette, in quanto fascia che contiene ca. 200 milioni di fibre mieliniche,
parti dell’emisfero destro e dell’emisfero sinistro lungo la linea mediana;
nonostante le mappe, le funzioni cognitive non sono però distribuite solo secondo
la modularità funzionale che, come detto, suddivide in cervello in regioni
distinte, ognuna composta da neuroni che svolgono funzioni specializzate (per
esempio, le già citare aree di Brodmann), ma presenta anche una elaborazione
cognitiva distribuita in molteplici reti che collaborano e dove ciascuna
regione specializzata rappresenta un nodo all’interno di reti distribuite
sull’intero cervello, dove ogni rete contiene regioni cerebrali multiple e
interconnesse che cooperano tra di loro e dove, all’interno di ogni rete
l’informazione è elaborata in modo seriale, ovvero trasferita da una regione a
quella seguente e processata nel tempo per stadi successivi, ed è probabile che
queste reti lavorino simultaneamente e, a un superiore livello d’organizzazione,
dalle relazioni esistenti tra di esse s’integri un’attività di tipo non lineare che produce la complessità
delle funzioni cognitive o, detto altrimenti, è possibile che l’interazione
locale dei 100 miliardi di neuroni produca anche proprietà emergenti non
prevedibili dati gli elementi semplici di partenza (i neuroni), ossia che il
sistema di reti neurali presenti non permetta di dedurre, date le modalità di
funzionamento locale dei neuroni nelle sinapsi, l’andamento non lineare dell’insieme;
ed è opportuno, a questo punto, precisare che in ogni fase di crescita dei
neuroni e delle sinapsi sono presenti delle regolazioni provenienti da fattori
epigenetici, giacché la storicità dell’ambiente è in grado di modularli nei
processi di riorganizzazione o ristrutturazione neurale, compresi quelli che
presiedono alla plasticità cerebrale; per inciso, l’epigenetica (dove il
prefisso epi-, dal greco ἐπί, sta a significare dopo) indaga sul processo della
regolazione cellulare che indica quando e quali geni sono attivati; infatti,
non è il DNA a determinare l’attività cellulare, bensì la cellula in cui il
genoma è incorporato che determina quali sequenze del DNA usare, così come è
sempre la cellula a decidere (prima programmando l’espressione genica e poi
regolandola) quando e come farlo durante le varie fasi dello sviluppo che vanno
dalla fecondazione alla senescenza; il DNA, presente in ogni cellula, è
costituito da ca. 3 miliardi di basi che comprendono ca. 20 000 geni, e un gene
è una sequenza di basi precisa che fornisce istruzioni per produrre le proteine
che attivano i processi vitali, e ogni cellula è in grado di attivare (o, se è
il caso, silenziare) solo alcune delle sequenze o geni contenuti nel suo DNA,
ossia di determinare la sua espressione genica, per cui, pur essendo il DNA
uguale in tutte le cellule, ogni tipo di cellula esprime solo determinati geni;
espressione genica che, pur restando il genotipo identico, può poi variare nel
corso del tempo rendendo unica l’espressione del fenotipo; per capire il
meccanismo dell’espressione genica è poi necessario sapere che i filamenti del DNA sono avvolti, nel nucleo
della cellula, intorno a 30 milioni di proteine chiamate istoni (ci si immagini
un istone come una spola cui s’avvolge un filo), e dove l’insieme degli istoni
e chiamato cromatina; la cromatina, essendo compatta, impedisce l’espressione
dei geni ed è qui che interviene un insieme di istruzioni chimiche, insieme detto
marcatura epigenetica, ch’è in grado di lasciare compatte (o impacchettate)
certe regioni della cromatina o di decompattarne altre (decompattare nel senso
che il DNA, per essere trascritto, deve essere srotolato), cioè di lasciare che
determinate sequenze di basi (i geni) non possano o possano a loro volta
fornire istruzioni per permettere a quel tipo di cellula di fare quello che deve
fare (come dire che l’epigenetica influenza, con il cambiamento dello stato di
trascrizione della cromatina, l’espressione dei geni rendendoli srotolati e trascrittibili
o attivati, oppure impacchettati e non trascrittibili o silenziati); sono
dunque le marcature epigenetiche che definiscono la tipologia della cellula,
cioè l’identità dei suoi comportamenti, ciò che fa sì che di fronte a un DNA
identico in tutte le cellule alcune possano essere definite, per esempio,
cellule epatiche, altre muscolari, altre epiteliali e altre ancora cerebrali
(neuroni) fino al repertorio dei 250 tipi cellulari presenti nel corpo di Homo sapiens; detto altrimenti,
l’epigenetica affronta il problema di come 20 000 geni, ognuno dei quali, lo si
ripete, è presente in ogni cellula del corpo umano, possano essere usati per
generare il detto repertorio, là dove ogni tipo cellulare ha una struttura e
una funzione caratteristiche e contiene un diverso sottoinsieme di 100 000
proteine (tipologia ch’è poi replicata nelle molte migliaia di miliardi di
cellule dell’organismo nel suo insieme); ogni tipo di cellula, infatti, si
produce in momenti diversi durante lo sviluppo prenatale e ogni tipo deve
migrare verso le regioni appropriate di quello che sarà poi il feto
completamente formato (quale esempio, v., supra,
le migrazioni nel tubo neurale); tutto un insieme di processi regolatori in cui
delle molecole di segnalazione (a volte proteine, in altri casi piccole
molecole, generate internamente alla cellula o che si diffondono da altre
regioni del feto) si comportano come marcatori epigenetici che attivano/silenziano
alcuni segmenti specifici di DNA per assicurare che una data proteina sia
sintetizzata in una data finestra temporale durante lo sviluppo e dove
alterazioni nelle tempistiche d’intervento di questi marcatori epigenetici per
fattori legati all’ambiente interno e esterno possono tradursi in cambiamenti
enormi nel fenotipo adulto, producendo nuove variazioni su cui può intervenire
l’evoluzione; ragion per cui l’epigenetica non vede i geni come unità che
agiscono in modo indipendente, ma li vede in continua interazione l’uno con
l’altro, così come li vede in continua interazione con i livelli multipli
dell’ambiente in cui sono inseriti; come dire che l’epigenetica studia le attività
cellulari che modulano l’espressione del DNA e concorrono, nell’interazione dell’organismo
con l’ambiente fisico e sociale, a determinare un fenotipo senza interferire in
alcun modo con il genotipo, cioè senza procurare alcuna variazione nella
sequenza dei geni, e fatta salva che alcune modificazioni epigenetiche possono anche
essere ereditabili; detto questo, e ritornando ai neuroni, si può affermare che
queste cellule s’assemblano per sinapsi in reti neurali con modalità
dipendenti, oltre che dalla predeterminazione
a livello genetico, anche dal rafforzamento dovuto all’esperienza individuale e
all’interazione con l’ambiente inteso nel senso più ampio del termine, reti che
pertanto si ridefiniscono in modo epigenetico nel corso del tempo creando l’unicità
della plasticità fenotipica di un cervello; ora, con il termine gruppo
neuronale s’intende l’insieme dei neuroni (decine, centinaia o migliaia, non
necessariamente dello stesso tipo) che interagiscono cooperativamente in quanto
temporalmente e localmente interconnessi dal punto di vista sinaptico, gruppo
ch’è poi capace di rispondere in modo coerente a un segnale (e dove ogni gruppo
presenta una specificità di risposta) e, stando all’ipotesi del darwinismo
neurale (o teoria della selezione dei gruppi neuronali, Groups Neuronal Selection Theory, GNST), dove il gruppo neuronale
rappresenta l’unità di selezione di questa teoria, esistono delle tappe precise
nelle modalità per variazione e selezione della popolazione neurale d’un
organismo con cui il sistema nervoso di quest’ultimo si plasma in modo
adattativo a un ambiente; dato dunque il cervello inteso come sistema selettivo
che opera per tutta la durata di vita
d’un organismo, la prima popolazione neurale a formarsi per variazione e selezione
dei gruppi neuronali è quella legata allo sviluppo embrionale (v. supra) quando si forma la neuroanatomia
del SNC, là dove le regolazioni epigenetiche dell’espressione dei geni nei
processi di sviluppo dell’embrione e del feto (v. supra) arrivano a produrre una serie di repertori primari (cioè una
popolazione di gruppi neuronali e di circuiti varianti nelle aree cerebrali, e
si dice repertorio perché l’identità per ritrovare i circuiti che lo formano è
data dal fatto che i neuroni che scaricano insieme si cablano insieme, cioè
effettuano tra di loro, grazie a configurazioni di scarica correlate nel tempo,
dei collegamenti sinaptici), repertorio che varia tra gli organismi d’una
stessa specie giacché, nonostante le strutture neuroanatomiche siano simili tra
gli organismi detti, nei dettagli individuali dei numerosi circuiti neurali
l’espressione dei geni non è controllata dal DNA, come dire che l’embriogenesi
è un’inevitabile fonte di variazioni dovute ai fenomeni di plasticità epigenetica
che sono alla base della formazione e del mantenimento delle sinapsi e d’una
prima conformazione complessiva della popolazione neurale del cervello (d’una
impalcatura delle connessioni tra gruppi neuronali sotto forma, appunto, di
repertori primari); una volta che si siano formate le basi neuroanatomiche,
interviene la già citata interazione con l’ambiente in cui si trova l’organismo
(interazione legata allo sviluppo del corpo e del cervello fra loro in
sintonia) e qui la ricezione degli stimoli sensoriomotori dell’ambiente, non
sempre prevedibili, si trasduce nelle strutture sinaptiche delle cellule
nervose che attivano i circuiti neurali, già presenti nella configurazione data,
dove particolari combinazioni di segnali trovano alcuni gruppi neuronali più
veloci o più adatti di altri a rispondere, ciò che promuove una miriade d’inediti
eventi selettivi nelle popolazioni di sinapsi, favorendo, in base
all’utilizzazione, il consolidamento o l’indebolimento di combinazioni
particolari di sinapsi nelle popolazioni neurali (vale a dire una modificazione
della loro intensità nel corso dell’esperienza che dipende da complessi eventi
biochimici locali e che possono differire da una localizzazione cerebrale
all’altra e che danno origine alla plasticità sinaptica) e producendo sulla
precedente configurazione della popolazione neurale un funzionamento bidirezionale
opportunistico che tiene conto della realtà esperienziale, ciò che,
amplificando le varianti che sono più adatte (la loro riproduzione
differenziale), crea configurazioni
di risposta convenienti all’organismo, cioè adattative, che danno origine a repertori
secondari di gruppi neuronali; repertori che sono poi convalidati da sistemi di
proiezione assonali (ognuno dei quali sistemi, quando dovuto, rilascia un dato
tipo di neurotrasmettitore o neuromodulatore che influenza contemporaneamente
grandi popolazioni neuronali che vincolano le risposte neurali legate all’apprendimento,
alla memoria e al controllo delle risposte del corpo), sistemi che dal loro
nucleo originario sottocorticale proiettano in modo aspecifico nelle varie zone
corticali fasci ascendenti e diffusi di assoni e che sono classificati come sistemi
di valore poiché la loro attività è primariamente vincolata alle risposte
necessarie per la sopravvivenza (per esempio, difesa) e a meccaniche di
ricompensa (della fame, della sete, del sonno etc.) e, a seguire, a convalidare gli eventi selettivi nei gruppi
neuronali prodotti come risposta all’ambiente; sistemi, ancora, che sono costituiti
da gruppi neuronali agenti nelle parti (dal punto di vista filogenetico) più antiche
del cervello, e come tali rappresentano effetti imperativi prodotti dalla
selezione naturale, cioè eventi rilevanti legati alla logica evolutiva dell’organismo,
e che intervengono sulla selezione somatica (quello che si verifica nel corpo) con
modalità epigenetiche; in tutto questo, ciò che soprattutto importa è nel fatto
che i repertori secondari determinano delle correlazioni statistiche spaziali e
temporali dei segnali sinaptici fra gruppi neuronali, correlazioni statistiche
che per potere contribuire al comportamento adattativo devono riprodurre
(categorizzare) le proprietà spaziotemporali dei segnali che originano
nell’ambiente; si vengono così a creare connessioni reciproche fra repertori
secondari temporalmente sincronizzati tra aree corticali e tra aree corticali e
sottocorticali (processo detto di rientro, reentry),
connessioni d’assoni che funzionano in parallelo e che sono distribuite
sull’intera struttura corticale in quanto ogni area è simultaneamente connessa
a molte altre aree e la loro coordinazione avviene poi per il tramite d’un
flusso continuo di segnali bidirezionali entro le connessioni e tra le
connessioni, ed è in questo modo che l’agire del rientro consente di mettere in
correlazione caratteristiche diverse dell’ambiente, raccolte in maniera
indipendente (cioè selezionate nel corso dell’esistenza) attraverso canali e
sottocanali sensoriali, ed è questa selezione in fase perenne di
ristrutturazione sinaptica dei gruppi neuronali che permettere di riprodurre (categorizzare
e ricategorizzare) la continuità spaziotemporale dell’ambiente di vita
dell’organismo e di garantire, in questo modo, un comportamento adattativo,
come dire che il campionamento probabilistico di informazioni sull’ambiente non
è mai statico, ma è modulato dal movimento e dal comportamento dell’organismo
attimo dopo attimo, ed è questo processo dinamico di categorizzazione e ricategorizzazione
percettiva che permette di potere spiegare il cambiamento nel modo di
funzionare del cervello e dell’intero organismo a seguito degli innumerevoli
eventi selettivi effettuati tra i gruppi neuronali, fatto però salvo il fatto che
la selezione, per potere funzionare, deve prevedere il fenomeno della
degenerazione (degeneration); questo
fenomeno non va però inteso come termine semanticamente apportatore di
negatività, ma come termine che indica una modificazione del modo con cui si
produce una risposta in uscita da un circuito neurale, dove la modificazione è nella probabilità di potere
rimpiazzare uno dei circuiti (presente nei repertori del cervello) che smette
di funzionare e al cui posto se n’attiva un altro, di struttura non identica,
ma in grado di manifestare la stessa risposta in uscita, questo perché circuiti
con diverse strutture presentano una parte associativa in comune (prevista dal
sistema selettivo nella sua logica di ridondanza delle alternative possibili
per una stessa funzione) che permette di riprodurre un risultato in uscita equivalente
a quello del circuito non più funzionante, ciò che favorisce l’adattabilità a
eventi imprevisti (così come una parte comune, se il segnale in ingresso
cambia, può associarsi con circuiti diversi e produrre risultati differenti);
detto altrimenti, sono presenti una molteplicità di gruppi neuronali,
selezionati in un primo tempo dall’evoluzione embrionale e riselezionati e ritrascritti
incessantemente nella loro forza sinaptica nel tempo che insegue la crescita
del corpo e dell’esperienza adattativa all’ambiente e ognuno di questi gruppi
neuronali ha una sua specificità ch’è il risultato d’una selezione; gruppi,
come visto, che sono poi tra loro coordinati in modo dinamico grazie agli
scambi ricorsivi dei segnali che legano in un insieme le diverse selezioni
operate nel corso dello sviluppo secondo una processualità multidirezionale che
correla senza sosta questi gruppi tra di loro fino a che il corpo è in essere e
che fornisce una risposta univoca data dall’integrazione di questa molteplicità
di gruppi mappati (delle loro informazioni) che si traduce in circuiti
autorganizzati (cioè come scarica coerente, cioè sincrona, di gruppi neuronali
in particolari circuiti), un prodotto della selezione di popolazioni neurali dovuta
alle variazioni esperienziali subite o agite dall’organismo, un risultato non
estensibili a nessun altro organismo della stessa specie, che diventa poi la base
per la formazione d’una categorizzazione e ricategorizzazione percettiva e
operativa della realtà vissuta da parte del cervello, che poi altro non è che il
prodotto d’un adattamento cognitivo all’ambiente della popolazione neurale complessiva
d’un organismo; la figura seguente illustra i tre capisaldi della teoria della
selezione dei gruppi neuronali, che qui riassumiamo; si parte dalla selezione
nella fase di sviluppo, ch’è un effetto della regolazione delle molecole d’adesione
cellulare (Cell Adhesion Molecule, CAM),
delle molecole d’adesione del substrato (Substrate
Adhesion Molecule, SAM), dell’attività di segnalazione del fattore di
crescita (Growth factor) e della
morte selettiva dei neuroni (potatura), eventi che producono reti anatomiche
diverse da individuo a individuo per i detti fattori epigenetici, reti che
compongono poi il repertorio primario; segue la selezione esperienziale, un
processo selettivo determinato dal comportamento che consolida o indebolisce
popolazioni di sinapsi e porta alla formazione di vari circuiti, cioè a un
repertorio secondario di gruppi neuronali (in figura, la linea marcata indica
le connessioni sinaptiche consolidate e quella tratteggiata le connessioni
indebolite); infine, c’è il rientro dove i collegamenti tra i circuiti mappati
si formano nel corso del tempo mediante processi paralleli di selezione e la
correlazione di gruppi neuronali appartenenti a circuiti mappati fra loro
diversi e che ricevono i segnali in maniera separata e indipendente, e questo
processo sta alla base della costituzione di un repertorio degli eventi
selettivi, dinamici e ricorsivi, che coordinano i circuiti mappati e che
favoriscono la categorizzazione percettiva (in figura, i pallini alle estremità
delle connessioni bidirezionali attive indicano il consolidamento, in parallelo
e all’incirca sincrono, delle sinapsi delle vie rientranti lungo connessioni
reciproche); si ricorda, ancora, che le connessioni rientrati all’interno di un
gruppo neuronale (connessioni intrinseche) o di gruppi neuronali (connessioni
estrinseche) possono consolidarsi così come indebolirsi:
Figura
n. . Fonte: Edelman, 1993, p. 133.
La
figura che segue illustra grossomodo il processo di rientro delle
interconnessioni del sistema talamocorticale dove le strutture anatomiche
comprendono una densa trama di connessioni reciproche fra la corteccia e il
talamo e fra diverse regioni corticali tra loro (rappresentate da frecce
bidirezionali, dal talamo alla corteccia le proiezioni talamocorticali, e dalla
corteccia al talamo le proiezioni corticotalamiche; le altre frecce indicano
connessioni reciproche fra la corteccia, dette tratti corticocorticali), là
dove il traffico dei potenziali d’azione fra le connessioni reciproche modifica
la forza delle sinapsi, ciò che permette d’integrare e sincronizzare le diverse
attività di varie regioni celebrali specifiche:
Figura
n. . Fonte: Edelman, 2007, p. 26.
La
figura seguente illustra invece l’organizzazione topologica dei sistemi di
valore (nello specifico sono illustrate le proiezioni ascendenti diffuse del locus coeruleus, un gruppo relativamente
piccolo di neuroni del tronco cerebrale che rilascia noradrenalina, e per
questo detto sistema noradrenergico; per esempio, questo sistema è attivato
nelle risposte di stress e panico):
Figura
n. . Fonte: Edelman e Tononi, 2000, p. 107.
Riprendendo
le fila, s’è cercato d’illustrare l’ipotesi di come il cervello s’organizzi,
nel corso dell’evoluzione d’un organismo, qui il genere Homo, al fine d’integrare in un tutto coerente fonti via via diverse
d’informazione che sono legate al mutamento d’un ambiente ch’è storicamente
situato, ambiente che si fa via via sempre più dinamico dal punto di vista
economico e sociale e in cui le modalità d’integrazione slittano sempre più
velocemente dal cervello individuale specie-specifico al cervello sociale, per
cui ora ci si propone di riprendere l’ipotesi del cervello sociale e
d’approfondirla partendo dalla teoria della costruzione di nicchia (Niche Construction Theory, NTC) che
permette di legare tra di loro, in Homo
erectus, Homo arcaico e Homo sapiens tanto l’evoluzione della
neocorteccia e del cervelletto nella logica d’una economia tecnologicamente
avanzata che sostiene una rete sociale (e che grazie a questa si riproduce nel
tempo), quanto nella modificazione (o antropizzazione) d’un ambiente che, a sua
volta, permette tanto l’evoluzione del cervello quanto lo sfruttamento
ottimizzato delle risorse disponibili, il tutto in un dispositivo che processa
con meccanismi di causalità reciproca questi tratti e ne fa emergere una
meccanica non lineare.