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BIOCENOSI E BIOMI


Dato un biòtopo (cioè un ambiente fisico-chimico omogeneo, ossia dato il substrato suolo, la temperatura, l’umidità, la radiazione solare etc.), l’insieme delle specie animali ch’esso presenta è detto zoocenòsi; fitocenosi è invece detto l’insieme delle specie vegetati che sono sempre in un dato biotopo; laddove, supposto che il biotopo sia sempre lo stesso, è poi detta biocenosi l’associazione delle zoocenosi e fitocenosi presenti, tanto che le interazioni e le interdipendenze molteplici e dinamiche che s’instaurano nel biotopo fra le comunità presenti, fra loro (a livello biotico, e senza dimenticare Funghi e Batteri, cioè i decompositori, e tutti gli altri organismi che vivono negli strati superficiali del terreno, quello che si chiama èdafon, dal greco ἔδαϕος, suolo) e con il biotopo stesso (a livello abiotico), dà origine a un ecosistema, che presuppone a sua volta delle zone e delle comunità di transizione rispetto ad un ecosistema vicino, cioè un’area di tensione ch’è detta ecotòno; va da sé che il numero di specie che rientrano nella biocenosi, ch’è in equilibrio dinamico e relativamente stabile (cioè in una situazione di climax), è inevitabilmente soggetto alle alterazioni che si presentano nel corso del tempo, giacché uno stato stazionario, cioè un ecosistema chiuso, è destinato a non potere sussistere (da ricordare, inoltre, che non bisogna confondere il termine biotopo con habitat, poiché il biotopo è lo spazio fisico occupato da una biocenosi, mentre l’habitat è quello occupato da una specie; così come non bisogna confondere l’habitat con la nicchia ecologica essendo questa la somma delle risorse energetiche che permettono la sopravvivenza e la riproduzione d’una specie nel proprio habitat, cui s’aggiungano la funzione biologica e il ruolo ecologico che la specie ricopre all’interno della comunità rispetto alle altre specie che caratterizzano la biocenosi; ancora, che a volte il termine biocenosi è sostituito con il termine biota e che il termine cenosi, che ritorna nelle definizioni, deriva poi dal greco κοίνωσις e sta per unione, comunanza). Detto questo, il termine bioma riguarda la tipologia della biocenosi  che una regione (o fascia) climatica rende possibile e sottolineando ch’è a partire dalla vegetazione che s’è assestata nel tempo come dominante (vegetazione climax) che si classificano i biomi terrestri, giacché sono le piante la base della catena alimentare che su di esse s’impianta; e con questo valorizzando anche che ciò che conta è la relazione che il clima intrattiene con i suoli (o pedoclima, dove pedo- è dal greco πέδον, pianura, campo), poiché, dati i componenti d’un suolo, questo è dato anche dall’insieme delle condizioni che dipendono dall’insolazione, temperatura, dall’umidità etc. (ossia gli effetti del contatto con l’ambiente aereo) che ci danno lo stato fisico del terreno, cioè la sua capacità produttiva (detta fitomassa) e, alla fin fine, la superiorità d’una fitocenosi e la possibilità d’una biocenosi (la fitomassa e la zoomassa, insieme, ci danno poi la biomassa, cioè la massa totale di tutti gli organismi viventi che quel bioma supporta, espressa come peso secco in  tonnellate o chilogrammi per unità di superficie, per ettaro, t/ha, v. infra) ; la figura seguente illustra i possibili tipi di bioma (e dove c’è scritto prateria leggasi steppa) che la temperatura (in °C) e le precipitazioni possono determinare (le precipitazioni si misurano in mm; si ricorda che il volume d’acqua delle precipitazioni è espresso come profondità dell’acqua su una superficie piana; si ha piovosità di 1 mm quando su una superficie piana di un 1 m2 cade un litro d’acqua alto un millimetro, di 10 mm quando cadono 10 litri etc.):


Figura n.  . Fonte: Zunino e Zullini, 2014, p. 100.

Si può ora definire un bioma come un raggruppamento d’ecosistemi che s’estendono su scala continentale legati da fattori topografici (quali, per esempio, la latitudine, l’altitudine, le precipitazioni, le variazioni stagionali), pedoclimatici e storici (per esempio, un evento tettonico o una deglaciazione) e che s’apparentano in base alle caratteristiche del biotopo e delle biocenosi interrelati e interdipendenti fra di loro; o, detto in altro modo, i biomi rimandano a una zonazione delle fasce climatiche della biosfera che sono individuate in base all’areale di fitocenosi o zoocenosi differenti, che presentano convergenze verso forme biologiche equivalenti negli interi ecosistemi coinvolti e anche se le aree geografiche sono spazialmente lontane tra loro; e qui s’impone di spiegare qual è la differenza tra la cartografia delle regioni fitogeografiche viste in precedenza e quelle dei biomi, spiegazione che si ritrova nel fatto che nelle prime valgono i criteri genetici e tassonomici di somiglianza, mentre, nelle seconde, valgono le fitocenosi che hanno raggiunto un adattamento climax al biotopo che le ospita, per cui certe aree geografiche possono essere anche spazialmente distanziate (per esempio, l’area circummediterranea e la California) e la cosa non importa, perché quello ch’importa è che siano climaticamente simili, cioè che presentino lo stesso tipo di stadio climax della vegetazione con la dominanza d’una forma di crescita sulle altre; per esempio, e semplificando, nell’area circummediterranea e la California si forma il bioma che si chiama macchia perché in entrambe le aree gli arbusti sempreverdi dominano sulle forme erbacee e arbustive (dato un comune biota povero di nutrimenti e un clima arido, dovuto ad estati secche e inverni piovosi, si viene, infatti, a formare una convergenza nella vegetazione climax), così come, per altre aree, appartengono allo stesso bioma gli alberi che dominano sulle forme arbustive e sulle erbacee perché, anche se si tratta di ventagli floristici differenti da un’altra area geografica all’altra, entrambe rientrano nel bioma foresta perché il biota comune, date le precipitazioni, soddisfa l’enorme richiesta d’acqua delle piante; lo stesso se si tratta di altre forme, di forme erbacee che dominano su forme arbustive e su forme arboree, cioè il bioma  prateria etc.; ancora, rientrano nei biomi terrestri i biomi dell’idrosfera (v. infra), cioè d’acqua dolce, quali laghi, stagni, paludi e acquitrini, fiumi e corsi d’acqua etc. (v. infra) e i biomi di transizione dolce/salato, quali le foci, i laghi costieri e le lagune salmastre (come vedremo, i biomi marini sono poi generalmente distinti in base alle specie animali presenti nelle zonazioni in cui si articolano le acque marine); s’aggiunga ora che i principali biomi terrestri, che saranno illustrati a seguire e ripresi là dove una specificazione sarà necessaria, sono rappresentati, andando dal Polo Nord all’Equatore (Emisfero Boreale, ma lo stesso vale per l'Emisfero australe), dalla tundra (latitudine 90°-60°), dalla foresta boreale (latitudine 60°-50°), dalla foresta temperata (latitudine 50°-40°), dalla steppa e dalla macchia (latitudine 40°-30°), dal deserto (latitudine 30°-20°), dalla savana (latitudine 20°-10°) e dalla foresta pluviale (latitudine 10°-0°), e ricordando che non mancano per i biomi i nomi locali, quali puszta (prateria), pampa, veldt (o veld, prateria), chaparral (boscaglia), maquis (macchia), tàiga (foresta boreale), pàramo (tundra) etc.; partiremo dunque seguendo questo ordine, ma prima altre informazioni sui fattori che possono determinare la tipologia dei suoli (v. anche, infra, Pedosfera) determinante nella crescita d’un manto vegetale. Oltre alla luce (lunghezza d’onda, intensità, durata dell’insolazione, o fotoperiodo), alla temperatura (che gli organismi viventi tollerano nel ventaglio tra -10 °C e 45 °C), all’umidità e ai fattori climatici (piovosità e umidità, il pedoclima insomma), ai nutrienti (richiesti dalle piante e dagli animali come quantità massime o minime, ossia come macro e micronutrienti, presenti nell’humus e nella catena alimentare) definiscono i suoli anche i valori presenti di pH; il pH è poi la misura della concentrazione di ioni idrogeno in una soluzione, e presenta valori compresi tra 0 e 14 (si misura il logaritmo decimale dell’inverso della concentrazione degli ioni idrogeno in una soluzione acquosa, in formula pH = -log [H+]; essendo la scala logaritmica, v. infra, la variazione di un grado pH corrisponde a un aumento o a una diminuzione di dieci volte la concentrazione degli ioni H+, per esempio un pH 8, rispetto a un pH 9, presenta una concentrazione degli ioni H+ decuplicata); quando la concentrazione degli ioni idrogeno è compresa tra i valori  di pH 6,9  e 0 si parla d’un ambiente acido (e più il PH è basso, più la soluzione è acida), s’è compresa tra i valori pH 7,1 e 14 si parla d’ambiente basico (e più il PH è alto, più la soluzione è basica, o alcalina), se il pH è 7, l’ambiente è neutro (vale a dire che la concentrazione degli ioni idrogeno H+ è uguale a quella degli ioni idrossido, OH-); e tra le piante ci sono quelle adatte a crescere o su un suolo acido o su un suolo alcalino; per esempio, le piante che crescono nei suoli delle fasce climatiche umide li preferiscono acidi, e questi suoli sono acidi perché le precipitazioni piovose portano via con sé i sali basici e i materiali solubili (fenomeno detto di lisciviazione), e lo stesso i suoli sabbiosi che lasciano percolare l’acqua (dunque il pH è come minimo uguale o superiore a 7,1), mentre, al contrario, la vegetazione delle fasce climatiche aride o tendenzialmente aride vive in suoli alcalini, e questi sono tali perché i sali basici e i materiali solubili vi si concentrano, e lo stesso se i suoli sono argillosi (dunque il pH è come massimo uguale o inferiore a 6,9); e per quanto riguarda l’humus, presente nei suoli torbosi in percentuali superiori al 95%, in suoli umidi in percentuali che vanno dal 2 al 5% e in suoli aridi con una percentuale dello 0,5%, o inferiore, anch’esso contribuisce a strutturare i suoli perché ne aumenta la capacità di ritenzione idrica e ne riduce la conduzione di calore e qui il pH gioca un ruolo determinante anche per le piante perché i batteri azotofissatori  e nitrificanti, che determinano la possibilità per le piante d’assorbire i nutrienti, presentano le loro condizioni ottimali attorno ai valori di pH neutro (i batteri azotofissatori sono capaci di formare sostanze organiche azotate, mentre quelli nitrificanti trasformano per ossidazione i composti ammoniacali del terreno e delle acque, derivanti dalla decomposizione degli organismi animali e vegetali, i quali, legandosi al potassio e al calcio, formano nitrati, cioè il composto azotato meglio utilizzato dalle piante verdi); per ultimo, il colore del suolo, ch’è di colore bruno scuro s’è presente un elevato contenuto di materia organica, colore che, con l’aumentare della presenza di humus, passa a colorazioni progressivamente più scure fino a raggiungere la tonalità del nero, ch’è poi dovuto al processo di lenta decomposizione che subisce la materia organica (per esempio, sono bruni i suoli dei climi temperati medio-umidi, mentre quelli neri sono tali o per l’abbondanza di sostanza organica legata all’argilla, come nel caso dei černozëm della steppa russa, v. infra, o per la presenza di sostanza organica e d’ossido di manganese, MnO, com’è il caso d’alcuni suoli caratteristici di zone aride); di colore rosso, dovuto agli ossidi di ferro che si mescolano alle argille miste a silice della roccia madre decalcificata (per esempio, sono tali quelli formati su roccia madre calcarea in un clima di tipo mediterraneo, con umidità invernale e stagione estiva notevolmente arida; nel caso che gli ossidi di ferro abbiano reagito con l’acqua, siano cioè ossidi idrati, il colore diventa giallo); di colore grigio se c’è carenza di ferro e ossigeno, oppure s’è presente un eccesso di sali alcalini (per esempio, carbonato di calcio, CaCO3). Detto questo, riprendiamo l’elenco dei biomi; la tundra (ch’è voce d’origine lappone, diffusa attraverso il russo тундра, tundra, che significa terra brulla) è tipica delle regioni subpolari dell’Eurasia, della Groenlandia e dell’America del Nord  (come detto, con latitudine tra i 90° e i 60°), ed è caratterizzata da una pianura con venti che spirano verso l’alto a 50-100 km/h e con una vegetazione ch’è priva di formazioni arboree; il clima, rigido (-30 o -40 °C, con estremi di -50 °C, mentre la temperatura media del mese più caldo è sui 5-10 °C), presenta complessivamente precipitazioni molto scarse (dai 200 ai 300 mm l’anno), lo stesso che la radiazione solare poiché, durante i mesi invernali, il Sole è quasi sempre di là dalla linea dell’orizzonte, quindi domina il buio, mentre nei mesi estivi, il Sole non è alto nel cielo, ma sta sempre, o quasi, sopra la detta linea, con una radiazione obliqua che alza la temperatura fino al massimo dei 10 °C; il suolo è ghiacciato in modo permanente fino a 450 m, con punte fino a ca. 600 m (o permafrost, crasi di permanent frost, ossia gelo permanente; ed è questo permafrost ch’impedisce di fatto la radicazione degli alberi ad alto fusto che richiedono nella stagione vegetativa, che la temperatura a 10 cm sotto la superficie vari tra 5,4-7,8 °C), e si sgela in superficie, per pochi decimetri, solo d’estate creando un ambiente di, laghi, paludi, acquitrini e torbiere (quest’ultimo un ambiente umido caratterizzato dalla presenza di torba, v. infra), questo perché l’acqua sciolta s’accumula e ristagna in superficie dato che le basse temperature non ne permettono né l’evaporazione verso l’alto, né il drenaggio verso il basso; suolo ch’è poi povero di nutrienti, soprattutto a base d’azoto, perché la decomposizione dei resti organici è sempre rallentata dalle basse temperature (suolo detto mollisol, dove il latino mollis sta per non duro), e si ricorda che quando s’ha alternanza gelo/disgelo i suoli sono detti periglaciali; da sottolineare è poi il fatto ch’è proprio in questi 2-3 mesi estivi che grosso modo si presenta l’attività riproduttiva degli organismi (tanto per la flora che per la fauna; per fare un esempio, una femmina di Lemmo, v. infra, dopo soli 38 giorni di vita, è già in grado di partorire); la flora dominante vede piante igrofile come Muschi, Muschi delle torbiere (Sfagni, Sphagnum) e piante erbacee come le Ciperacee (Cyperaceae) nei luoghi umidi, Licheni (nei luoghi più secchi) e Ericacee (piccoli arbusti striscianti che solitamente non superano i 30 cm di altezza, e per questo detti arbusti nani), flora che nel complesso, a causa delle basse temperature, ha ritmi di crescita molto, ma molto lenti; per esempio, il lichene di cui si nutre la Renna, Cladonia rangiferina, cresce da 1 a 5 mm l’anno; nelle dorsali montuose si presenta poi la tundra d’altitudine (o d’altura), la cui flora è localmente molto varia e spesso costituita da una sola specie dominante (questo tipo di tundra è presenti per frammenti a quote elevate sulle Alpi, ossia oltre la linea d’alberi, sui 2 000 m, e su altre catene montuose eurasiatiche e Nord americane); la fauna della tundra (dove molti organismi sono, durante i mesi invernali, omocromi, ossia dello stesso colore dell'ambiente, e dove mancano i Vertebrati eterotermi) presenta degli Uccelli ch’appartengono, in linea di massima, a specie che soggiornano qui d’estate e migrano a Sud in inverno (dette estivanti), come il Girifalco (Falco rusticolus), e come molti degli Uccelli costieri, quali lo Stercorario (Stercorarius, che si nutre impadronendosi delle prede d’altri uccelli marini), il Piovanello (Calidris ferruginea, che preda di notte) e molti altri ancora; nei mesi estivi, nelle zone decongelate, sono presenti, oltre che a Molluschi, Insetti (v. infra), quali Zanzare, Mosche, Farfalle e Tàfani; tra i Mammiferi stanziali, oltre alla Volpe polare (Alopex vulpes), alla Lepre artica (Lepus arcticus), al Ghiottone (Gulo gulo) e l’Ermellino (Mustela erminea), abbondano quei Roditori che trascorrono la maggior parte dell’inverno sottoterra, quali i citati Lemmi (Lemmus lemmus; noto anche come Lemming) e le Arvicole terrestri (Arvicola terrestris), mentre si trovano specie non stanziali, mobili capaci di rapidi spostamenti verso zone più ricche di pascolo, per esempio, la Renna (Rangifer tarandus), il Bue muschiato (Ovibos muschatus, v. infra), il Caribù (una renna che vive nell’America del Nord, con forme più robuste di quella delle tundre asiatico-europee) e altri ancora; tra i predatori si segnalano il Lupo (Canis lupus), la Volpe polare, il Gufo delle nevi (Bubo scandiacus), il Ghiottone e l’Orso polare (Thalarctos maritimus); la tundra, che presenta un’estensione di ca. 10 milioni di km2 (localizzata soprattutto nelle citate zone circumpolari e con ristretti areali confinati ai margini dell’Antartide, specie nella Penisola antartica, e all’estremità meridionale dell’America del Sud; complessivamente ca. il 5% delle terre emerse) confina poi a Nord con i ghiacci perenni del Polo Nord e a Sud con la foresta di Conifere (o taiga), e l’ecotono (come detto, la zona di transizione tra un bioma e l’altro) è dato dalla linea degli alberi (timberline) a Sud; da ricordare che la zona polare è poi priva o quasi di vegetazione e che nella fauna si trovano Orsi bianchi (predatori), Foche e Trichechi (prede), mentre in Antartide sono poi presenti gli Elefanti marini e i Pinguini; la figura seguente mostra la localizzazione delle principali zone che presentano il bioma della tundra (la linea rappresenta l’Equatore):


Figura n.  . Fonte: Zunino e Zullini, 2014, p. 113.

A seguire abbiamo la foresta boreale, ma prima un inciso sul termine foresta (d’etimo incerto, forse dal latino tardo forestis, sottinteso silva, cioè legno di fuori), nel senso del quadro complessivo che, a seguire, sarà poi variamente segmentato; in questo quadro, si deve sottolineare che le foreste si presentano grosso modo a tutte le latitudini e, all’incirca, fino ai 2 000 m d’altitudine, e assumono la loro configurazione in base al clima, alla piovosità e alla condizione dei suoli; ne risulta così che attualmente il 22% delle terre emerse è occupato da foreste (prima dell’intervento antropico, la stima sale al 70% ca.), e che vi contribuiscono varie tipologie d’alberi d’alto fusto, le Conifere per oltre il 35% (Pini, Abeti, Larici etc.), le latifoglie delle zone temperate con il 15% (Querce, Faggi, Àceri, Pioppi, Betulle, Ontàni etc.), le latifoglie dei climi tropicali (dove le specie sono molto più numerose che altrove) con ca. il 50%; ancora, nella foresta sono presenti stratificazioni di piani diversi di vegetazione, nel senso che una specie dominante impone dei microclimi che sviluppano delle associazioni vegetali; per esempio, la foresta chiusa presenta una copertura vegetale (o canopia) fitta che, intercettando la luce, impedisce lo sviluppo d’altri piani nelle zone più basse e quindi d’una associazione, mentre altre coperture, creando altri microclimi permessi dalla luce non intercettata, possono favorire altri tipi di stratificazione e d’associazione; per ultimo il concetto di humus, il quale altro non è che l’insieme in fase di continuo rinnovamento della copertura vegetale (detta lettiera) e della materia organica morta in tutte le sue fasi di decomposizione, insieme ch’è degradato ad opera d’un un gran numero di microrganismi (quali funghi e batteri), che riducono la materia organica a composti più semplici (o nutrienti) che le piante sono in grado d’assimilare, composti che, rimescolandosi con particelle inorganiche e con resti non ancora degradati, danno appunto origine all’humus. Detto questo, la foresta boreale è una formazione con prevalenza di Conifere sempreverdi, detta anche taiga (dal russo тайга, tajgà, che sta per foresta di Conifere), caratteristica delle zone settentrionali, subartiche, dell’Eurasia e dell’America del Nord (in Canada è sì presente un’analoga formazione forestale, ma con una composizione floristica diversa, per esempio, invece che l’Abete rosso c’è quello nero etc.), come detto con latitudine 60°-50°; il clima, freddo di tipo continentale, è caratterizzato da inverni che hanno una durata tra 8 e 9 mesi e che sono molto rigidi (sono presenti lunghi periodi d’innevamento, tanto che la copertura della neve, o nivale, perdura fino a primavera inoltrata e le temperature minime gitano intorno ai -30 °C con punte a -50 °C, e con una temperatura media, nel mese più caldo, tra 10 e 20 °C), da un periodo vegetativo di pochi mesi, con scarse precipitazioni (con un massimo di 500 mm) concentrate nei brevi e particolarmente soleggiati periodi estivi (infatti, se le radiazioni solari coprono, d’inverno, le 6-8 ore, d’estate s’arriva a 19 ore); il suolo presenta un humus acido e insaturo (podzòl, dal russo подзолистая почва, suolo grigio) a causa del tappeto di foglie aghiformi non decomposto formato dalle Conifere, questo perché, come già accennato, le basse temperature presenti ostacolano la crescita degli organismi decompositori e la loro azione, tanto che il suolo di queste foreste risulta essere, oltre che acido, particolarmente povero di sostanze nutrienti; la vegetazione presenta notevole semplicità e omogeneità floristica e strutturale, essendo lo strato dominante costituito da Conifere, la cui particolare struttura e fisiologia fogliare consente una assimilazione per la maggior parte dell’anno anche a bassa temperatura (con assimilazione, in questo contesto, s’intende un complesso dei processi per cui la sostanza inorganica, o quella organica priva di vita, è trasformata in sostanza vivente), e si tratta di Pini (Pinus), d’Abeti (Abies e Picea), di Làrici (Larix, gli unici decidui); queste foreste, inoltre, poiché il clima presenta temperature che s’abbassano andando dal 50° al 60° di latitudine (la temperatura, infatti, cala d’un grado centigrado per ogni grado di latitudine), presentano una suddivisione in due fasce, una più meridionale, con formazioni ravvicinate di Conifere e la presenza d’Ontani (Alnus), di Betulle (Betula) e Pioppi (Populus) e uno strato inferiore con poche Erbe, Muschi ed Epatiche (Hepaticae, simili ai muschi); l’altra, più settentrionale, con Conifere distanziate su un terreno torboso (che presenta un permafrost discontinuo) e, nello strato inferiore, Muschi e Licheni (questa fascia, in complesso, segna la presenza d’un un ecotono verso le tundre); nella fauna della taiga predominano, tra i grandi mammiferi, l’Orso bruno (Ursus arctos; nell’America settentrionale vive la sottospecie Ursus arctos horribilis, nota come grizzly), l’Alce (Alces alces), la Renna, il Cervo (Cervus; diffusi in America Settentrionale, sono noti come Wapiti) e il Bisonte; sono poi presenti le Volpi rosse (Vulpes vulpes) e numerosi sono i Roditori, come lo Scoiattolo (Sciurus), il Burundùk (Eutamias asiaticus) e l’Arvicola boreale (Myodes rutilus); fra i carnivori si trovano anche il Lupo, lo Zibellino (Martes zibellina), la Martora, il Ghiottone, la Donnola siberiana (Mustela sibirica) e la Lince (Lynx); gli Uccelli più comuni sono il Crociere (Loxia curvirostra), la Nocciolaia (Nucifraga caryocatactes) e gli Strigiformi (Strigiformes, un rapace notturno); numerosi gli Insetti, tra cui le Cicale (Lyristes plebejus); la taiga presenta un’estensione di 20 milioni di km2 (il 18% delle terre emerse), e rappresenta la più grande configurazione forestale dell’Emisfero boreale e, se è vero che la superficie occupata da foreste è pari a 40,5 milioni di km2 (dati del 1988), allora le foreste, nel loro complesso, occupano all’incirca una superficie grosso modo pari a metà di tutte le terre emerse; da sottolineare è poi il fatto che la taiga manca completamente nell’Emisfero australe, non esistendo le terre emerse che potrebbero supportarla alla latitudine Sud corrispondente; è poi limitata, a Nord, dalla tundra, mentre verso Sud degrada nelle steppe e nelle praterie continentali, o nelle foreste temperate decidue di latifoglie nelle regioni a clima oceanico (da ricordare che, in altitudine, e secondo un’altitudine che varia al variare della latitudine, le foreste di Conifere crescono dopo i boschi di latifoglie, e oltre le Conifere, come detto, non crescono piante ad alto fusto); la figura seguente mostra la localizzazione delle principali zone che presentano il bioma della foresta boreale (la linea rappresenta l’Equatore):


Figura n.  . Fonte: Zunino e Zullini, 2014, p. 112.

Dopo la foresta boreale, segue il bioma foresta temperata; l’aggettivo temperato, che sta per non eccessivo, moderato, è riferito in primo luogo alla temperatura, ch’è equamente regolata senza eccessi tanto in inverno, quanto in estate, ciò che rimanda al clima e alle zone che questo clima lo supportano, cioè a quelle zone nelle quali il Sole non è mai allo zenit (cioè nel punto più alto) e che presentano un clima con temperature medie annue moderate, una media escursione annua, una forte escursione tra il giorno e la notte e variazioni stagionali ben definite (inverno, primavera, estate, autunno, cioè non ridotte a due come nei biomi precedentemente illustrati), con piogge distribuite uniformemente in quantità variabile nel corso dell’anno (tra i 500 e i 1 000 mm); le zone temperate con clima temperato, o mesotermico, sono due, una per ogni Emisfero, e sono quelle comprese tra i Tropici (latitudine 22° 27' Nord o Sud) e i circoli polari (latitudine 66° 33' Nord o Sud); da ricordare che il clima temperato dell’Emisfero boreale è continentale (e si parla di foresta temperata decidua, in quanto tutte le piante perdono le foglie d’autunno e d’inverno presentano una stasi vegetativa; per inciso, la caduta delle foglie serve per evitare la perdita d’acqua, per traspirazione, durante il periodo invernale; questo bioma ricopre poi parte dell’America Nordorientale, dell’Europa centrale e parte del Giappone), mentre quello dell’Emisfero australe è oceanico (e qui le foreste hanno un’estensione decisamente minore rispetto a quelle dell’altro Emisfero e si trovano in Australia e nella punta meridionale dell’America del Sud, soprattutto sui rilievi sotto i 1 500 m di quota, e non tutte le piante di queste foreste sono caducifoglie); nella foresta temperata decidua, che occupa quasi il 5% delle terre emerse, i suoli, stabili rispetto ai vari tipi di disturbo e capaci di resilienza (v. infra), sono bruni ad humus dolce, a reazione sensibilmente neutra (humus detto mull), e la vegetazione dominante è costituita da latifoglie decidue, come Querce, Faggi, Aceri (Acer), Pioppi, Castagni (Castanea sativa), Olmi (Ulmus minor), Tigli (Tilia), Betulle e Liriodendri (Liriodendron, in America) e con la presenza d’un fitto sottobosco (come dire che, escluso il suolo con lo strato erbaceo, qui i piani della vegetazione sono due, il primo, arboreo, ch’arriva ai 15-30 m, il secondo, arbustivo, che va da 1 a 5 m); le foreste decidue sono ricche di vertebrati grandi e piccoli, tra cui Lupi, Linci, Gatti selvatici (Felis silvestris), Orsi, Volpi, Cinghiali (Sus scrofa), Donnole, Faine, Tassi, Caprioli (Capreolus capreolus), Talpe (Talpa), Topi, Castori, Scoiattoli, Lepri (Lepus); di molte specie di uccelli, tra i quali Poiane (Buteo), Picchi (Picus), Ghiandaie (Garrulus glandarius), e Rettili come Còlubri (o Colùbri, Coluber), Lucertole, mentre, nella lettiera si trovano Lombrichi (Lumbricus terrestris) che, rimescolando il suolo, ne assicurano l’aerazione; e altri ancora; la figura seguente mostra la localizzazione delle principali zone che presentano il bioma della foresta temperata (la linea rappresenta l’Equatore, sotto il quale è esclusa la segnalazione delle foreste temperate, in figura dette foreste a latifoglie, presenti a latitudine Sud):


Figura n.  . Fonte: Zunino e Zullini, 2014, p. 111.

Seguono la steppa e la macchia che, pur condividendo la stessa latitudine, in quanto biomi differenti saranno qui trattati separatamente; la steppa (dal russo степь, step′, pianura secca) è una formazione vegetale aperta (poiché manca la vegetazione arborea), diffusa nelle regioni centrali dei continenti, quale la maggior parte dell’altopiano iranico, dell’Ungheria (dov’è detta puszta), d’estese zone dell’Eurasia reperibili in una fascia continua che va dall’Ungheria, passa per il Mar Caspio e la Siberia e arriva in Manciuria, cioè nella parte Nordorientale della Cina (steppa eurasiatica), e di vaste regioni interne dell’Africa settentrionale e meridionale (dov’è chiamata Veldt), dell’America settentrionale (dov’è detta shortgrass prairie, prateria a erba bassa) e dell’America meridionale (dov’è chiamata pampa in Argentina , come detto, e puna in Perù e Bolivia) e dell’Australia (dov’è chiamata bush e copre quasi la metà dell’intero continente) etc.; tutte regioni che presentano un clima caratterizzato in genere da temperature con elevate escursioni termiche stagionali, cioè con stagioni o molto calde e secche o molto fredde e che presentano scarsità di piogge (la precipitazione media è di 250-500 mm), regioni insomma ch’esibiscono un lungo periodo arido e un breve periodo di piogge (che si riduce a una stagione di piogge zenitali, cioè in corrispondenza al periodo nel quale il Sole è più alto, della durata massima di 2-3 mesi); aridità e pioggia che s’alternano in stagioni diverse secondo l’Emisfero in gioco (periodo arido estivo e breve pioggia invernale nell’Emisfero boreale, periodo arido invernale e breve pioggia estiva nell’Emisfero australe) e che danno origine a un bioma tipicamente caratterizzato, come detto, dall’assenza d’alberi (la cui presenza è impedita, appunto, dalla scarsità delle piogge) e da una bassa densità di piante che, in generale, sono xerofite in quanto preferiscono vivere in ambienti aridi, ossia sono piante a ciclo vegetativo rapido o adatte alla siccità; si tratta d’arbusti nani (che generalmente non superano il metro d’altezza) e d’erbe annue o perenni, rappresentate in prevalenza da Graminacee di piccole dimensioni, fra cui le più caratteristiche sono le specie del genere Stipa; le radici marcescenti delle piante erbacee, che s’insinuano in profondità del terreno in cerca di nutrimento (s’arriva anche a profondità di 1 m), producono poi nel corso dell’anno, mescolandosi con il suolo grazie anche all’attività dei Lombrichi, quantitativi ingenti di una sostanza organica che si accumula formando terreni fertili e ricchi di humus (detti terre nere, o černozëm); tipiche sono poi le steppe dove prevalgono le Poacee, come quelle di Russia, Ungheria, Argentina; altri tipi di steppa sono le steppe salate, nelle quali prosperano arbusti ed erbe che amano terreni salmastri (o piante alofile), come nell’Asia centrale, e le steppe a piante grasse, per esempio, a Cactacee, come nel Messico; tra la fauna s’annoverano, grazie alla possibilità alimentari offerte dalle piante, grandi erbivori (migranti) quali i Bòvidi (Bovidae, quali il Bisonte europeo, Bison bonasus, e quello americano, Bison bison) e gli Equidi (i Cavalli e l’Ònagro, o Onàgro, Equus hemionus onager, una sottospecie d’asino selvatico, in Asia); tra i predatori sono presenti il Lupo in Europa e Asia e il Coyote (Canis latrans, della famiglia dei Canidi) in America; sono inoltre presenti Roditori di varie specie che scavano rifugi sotterranei,  cioè che presentano abitudini fossorie, come il Citello (Citellus citellus, Citellus suslica) in Eurasia e il Cane delle praterie (Cynomys), in America, cui s’aggiungano Ragni, Insetti, Serpenti, Sauri e Uccelli terricoli, cioè che nidificano al suolo, o Galliformi (Galliformes); completamente diversa è la fauna del veldt, tra cui abbiamo Marsupiali (quali il Canguro e l’Opossum), Uccelli di grandi dimensioni (che hanno perso la capacità di volare, quali l’Emù e il Casuario) e Rettili quali i Clamidosauri (Chlamydosaurus, o Lucertole dal collare) e il Mòloc (Moloch horridus); la figura seguente mostra la localizzazione delle principali zone che presentano il bioma della steppa (la linea rappresenta l’Equatore):


Figura n.  . Fonte: Zunino e Zullini, 2014, p. 108.

La macchia, alla stessa latitudine della steppa, è così denominata perché le piante, nel loro complesso, formano una macchia di diverso colore rispetto a quello del suolo circostante; questa macchia, se pure per certi tratti è originaria, è derivata dalla foresta temperata sempreverde (formata da Leccio, Quercus ilex; Sùghera, Quercus suber; Pino), di cui spesso costituisce il sottobosco, in seguito all’antropizzazione dei suoli; con l’aumentare della frequenza o dell’intensità del disturbo antropico, la macchia può poi gradualmente trapassare nella gariga (o garriga), ossia in chiazze di cespugli più bassi di ca. 1 m dove predominano piante resistenti alla siccità e all’insolazione, dette eliòfile, quali Rosmarino (Rosmarinus officinalis), Lavanda (Lavandula), Cisto (Cistus), Timo (Thymus) o Salvia (Salvia officinalis), cespugli a cui s’alterna un suolo affiorante spogliato di piante e pietroso, con rocce a vista o, con degradazione ulteriore, trasformarsi in steppa con vegetazione erbacea a graminacee; oppure, in assenza di disturbi antropici o d’altra natura, come incendi autocombusti, può riprodursi verso la foresta sempreverde; queste piante, che sono situate su regioni costiere a 30°-40° latitudine Nord e Sud e su suoli poveri di nutrienti a causa d’impedimenti climatici nella decomposizione della  lettiera, dunque con scarsa penetrazione dell’humus, e fra loro diversi nella tipologia del substrato (silicei o calcarei, sabbiosi o argillosi); specificamente, la costa mediterranea europea (dov’è detta macchia mediterranea e maquis in Corsica), della California centromeridionale (dov’è detta chapparal), del Cile centrale (dov’è chiamata come in Spagna, matorral), dell’Africa settentrionale (Marocco) e meridionale (dove è denominata fynbos) e dell’Australia Sudoccidentale (dov’è detta jarrah) e meridionale (e qui si chiama malee); zone costiere, che complessivamente sono pari all’incirca al 5% delle terre emerse, il cui clima (in tutte) trova un limite nelle catene montuose che ne limitano l’estensione; queste piante sono sempreverdi, con prevalenza di specie sclerofille (cioè con la foglia dura, coriacea, v. infra), arbustive o arboree con individui allo stato arbustivo, quali il Mirto (Myrtus), il Lentisco (o Lentischio, Pistacia lentiscus), il Leccio, e specie lianose come i Caprifogli (Lonicera caprifolium), le Clematidi (Clematis), la Smìlace (Smilax), con un’altezza media di 2-3 m circa; le piante alte fino a 4-5 m (macchia alta) presentano la  dominanza di Leccio, Corbezzolo (Arbutus unedo), a volte anche di Sughera, e quelle con altezza media di 1,5-2 m (macchia bassa) sono costituite di suffrutici, quali Cisti, Filliree (Phillyrea), Ginepri (Juniperus oxycedrus), Ginestre (Spartium junceum), Rosmarino etc.; le regioni che supportano questo bioma sono caldo-aride presentano inoltre inverni miti (in media sui 10 °C) ed estati brevi e secche (in media sui 20-25°C) con precipitazioni in autunno e in inverno (dai 250 mm ai 1 300 mm), e scarse o assenti nei mesi estivi (detto clima mediterraneo), ciò che fa sì che le piante siano, come detto, sempreverdi (e non caducifoglie, giacché è raro che l’inverno sia rigido, con temperature sui 0 °C); l’attività vegetativa si presenta in autunno e in primavera (cioè con l’abbondanza delle piogge), mentre d’estate il riposo vegetativo limita la perdita d’acqua dalla superficie delle foglie limitandone la traspirazione, ed è per questo che l’apparato radicale si sviluppa spesso in estensione e profondità alla ricerca d’acqua nei periodi d’aridità e che le foglie sono lucide (fotoriflettenti), rigide e coriacee in quanto rivestite d’una cuticola (vale a dire uno strato ceroso impermeabile che le ispessisce, per esempio, le foglie del Lentisco e del Corbezzolo), molto strette (per esempio, le foglie dell’Olivo e dell’Oleandro), con una superfice limitata (per esempio, il Ginepro, o come le foglie del Rosmarino che hanno la forma ad ago) o con una leggera peluria (o toménto, per esempio la biancastra pagina inferiore della foglia del Leccio, ch’è poi verde scura e lucida in quella superiore), e complessivamente questa flora rappresenta quasi il 20% delle piante vascolari conosciute, pari a 48 000 specie, la metà e oltre delle quali endemiche o rare (presenti, in particolare, nella fascia Sudafricana e australiana, ch’è anche quella più soggetta ad incendi non antropici e alla conseguente rigenerazione del manto vegetale, con speciale riguardo per le specie tolleranti al fuoco, o pirofite, per esempio la Sughera che resiste nel fuoco e le Eriche scoparie o arboree la cui crescita e favorita dagli incendi o i Cisti ch’inaugurano, a incendio concluso, una nuova successione vegetale); nella fauna si ritrovano animali di grossa taglia, Istrici (Hystrix) e Cinghiali (ch’è non però è esclusivo di questo bioma), mentre tutti gli altri sono di piccola taglia, quali Tassi, Volpi, Daini (Dama) etc.; s’annoverano numerose specie d’Uccelli Passeriformi, di Rettili e d’Insetti (spesso con forme xilofaghe e fitofaghe, cioè che mangiano il legno e i prodotti delle piante, legate a specifiche essenze vegetali); la figura seguente mostra la localizzazione delle principali zone che presentano il bioma della macchia (la linea rappresenta l’Equatore):


Figura n.  . Fonte: Zunino e Zullini, 2014, p. 109.

Per quanto riguarda il bioma deserto (che deriva dal latino desertum, participio passato neutro sostantivato di deserĕre, abbandonare; 30-20° latitudine Nord e Sud), è proprio alle regioni con persistenti alte pressioni subtropicali, giacché le correnti d’aria calda che provengono dai Tropici a queste latitudini si raffreddano e, ritornando verso il suolo, producono zone d’alta pressione e la formazione d’anticicloni (v. supra) ch’impediscono la formazione di perturbazioni e precipitazioni, assenza ch’è propria alle regioni desertiche e che, appunto, le caratterizza; regioni in cui la forte insolazione è dominante (solo il 20% della radiazione solare è, infatti, deflessa dal pulviscolo) e le precipitazioni sono minime e molto distanziate nel tempo (a volte a distanza di anni; per esempio, nel Sahara, negli anni piovosi, cadono 20 mm di pioggia; in linea generale si parla di deserto solo se cadono meno di 250 mm annui), e l’aria è secca e l’evaporazione accelerata, ciò che comporta una copertura vegetale assai rada, quasi inesistente; l’aria secca, infatti, fa sì che il calore che raggiunge il suolo durante il giorno si disperda rapidamente nella troposfera (v. infra) di notte perché manca il vapor d’acqua capace di trattenerlo (è pertanto presente una forte escursione termica giorno/notte, con una media di 35-40 °C, con estremi di 60 di giorno e, a volte, valori notturni inferiori ai 0 °C; da sottolineare ch’esiste poi una cospicua differenza tra la temperatura al suolo e quella dell’aria soprastante all’altezza di 1,5-2 m; nel Sahara, per esempio, la temperatura diurna al suolo può sfiorare gli 80 ºC, mentre quella sovrastante a 2 m raramente supera i 50 ºC, ancora, che non esistono praticamente escursioni stagionali perché l’inverno presenta temperature di poco inferiori a quelle estive); il suolo, pertanto, viene pochissimo dilavato dalle piogge, tanto che persiste un’alta presenza di sali minerali (o non solubili o efflorescenze di quelli solubili) e si possono presentare distese saline (dette sebcha nel Sahara) e, va da sé, che praticamente non esiste la deposizione al suolo di resti organici, vegetali o animali che siano; questo paesaggio desertico è poi modellato (grazie anche all’assenza o quasi della vegetazione) dagli sbalzi di temperatura dell’escursione termica, sbalzi che frantumano le rocce producendo frammenti che sono asportati (corrasione) e che, grazie all’azione meccanica del vento (di fatto, il modellatore morfologico dei deserti), sono sollevati e dispersi al suolo (deflazione) e, infine, depositati o sotto forma di dune mobili, non compatte (a volte, lunghe per chilometri e d’altezza pari anche a 200 m, e la cui forma isolata più nota, detta barcane, ha un andamento a mezzaluna con le punte rivolte nella direzione del vento) o di ciottoli o di rocce (il deserto sabbioso è detto erg, quello costituito da piccoli ciottoli e sabbia, serìr e il deserto di rocce, hammada, tutti nomi derivati dall’arabo, e tutti presenti, per esempio, nel Sahara); da ricordare che sono però presenti delle falde d’acqua sotterranee che a volte, spesso ai piedi di tavolati di rocce sedimentarie, riaffiorano in superficie dando origine a delle oasi (generalmente antropizzate) in cui crescono, in relazione alla profondità/superficialità delle falde, permanentemente delle piante, per esempio, Palme da datteri (Phoenix dactylifera), cui si possono aggiungere Tamerici (Tamarix), Olivi (Olea), Fichi (Ficus), Melograni (Punica granatum) etc. e qui la stratificazione è tra piante alte e medie, queste ultime generalmente alberi da frutta, con un suolo adatto alle coltivazioni; le temperature estreme e l’assenza (o quasi) di piovosità ha comportato o estinzioni o forti adattamenti alle biocenosi preesistenti alla desertificazione, per esempio le piante presenti hanno una crescita molto rapida e una breve stagione vegetativa, che può essere però sospesa (per esempio, le teròfite presentano un seme che, in casi di clima avverso, può rimanere al suolo quiescente anche per anni, fino a che una precipitazione permette loro di germogliare) o immagazzinano acqua o formano organi sotterranei di riserva idrica (bulbi e rizomi), talora a notevole profondità, o riducono al minimo il consumo di acqua diminuendo o annullando l’estensione delle superfici traspiratorie (come le Cactacee, v. supra, che immagazzinano acqua nei fusti e riducono le foglie a spine per limitare al massimo la perdita d’acqua per traspirazione) o presentano foglie tomentose, cioè, come detto, ricoperte di una fitta peluria (che rallenta sempre la traspirazione), oppure certe piante (come le Crassulàcee, Crassulaceae) presentano un processo di fotosintesi detto CAM ch’avviene attraverso una dinamica notte/giorno, dove di notte le piante spalancano gli stomi assorbendo dall’esterno il diossido di carbonio che legano a un composto acido contenuto nelle loro cellule e dove, di giorno, le piante ricominciano a fare la fotosintesi utilizzando il diossido di carbonio legato all’acido di cui sopra e già immagazzinato, di modo che durante il giorno possono, a differenza d’altre piante con fotosintesi regolare a stami aperti, tenere chiusi gli stomi in modo da evitare un dispendio d’acqua (e dove CAM è acronimo di Crassulacean acid metabolism, o metabolismo acido delle Crassulacee; per inciso, lo stoma è l’apertura microscopiche che s’osserva nell’epidermide delle foglie, apertura con cui le parti aeree delle piante riescono ad avere degli scambi gassosi tra l’esterno e il loro interno) etc.; per quanto riguarda gli adattamenti a questo bioma tra gli animali si nota, per esempio, che molti Rettili e alcuni Insetti presentano un tegumento molto spesso (le squame i Serpenti, chitina gli Insetti); che alcuni organismi, invece che espellere l’urina liquida, riassorbono l’acqua prima dell’escrezione e presentano il prodotto terminale del metabolismo, l’acido urico, come eliminato sotto forma condensata, solida (questi organismi sono detti Uricotelici, e si ritrovano tra i Rettili, gli Uccelli, gli Insetti e gli Scorpioni, Scorpionida); altri Insetti possono utilizzare la loro acqua metabolica (derivante cioè dalla scissione dei carboidrati, come alcuni Coleotteri Tenebriònidi, Tenebrionidae, tipici della fauna desertica) o alcuni Mammiferi possono vivere di semi quiescenti e, poiché capaci di produrre acqua metabolica in quantità sufficiente, senza mai bere e senza uscire dalle tane se non di notte (per esempio, gli Eteròmidi, Heteromyidae, detti Ratto canguro per le loro abitudini saltatorie o il Topo del deserto, Jaculus jaculus); caratteristico è poi il Fennec (Fennecus zerda), detto  la Volpe del deserto, lungo 40 cm, che, per favorire la dispersione del calore corporeo, presenta grandi orecchie ch’arrivano a 15 cm; ancora, sopravvivono nei deserti  anche animali poco esigenti, quali i Camelidi (il Cammello, Camelus bactrianus, in Asia, e il Dromedario, Camelus dromedarius, nell’Africa del Nord e nella Penisola arabica) che, grazie a lipidi immagazzinati nelle gobbe (due nel Cammello) o nella gobba (una nel Dromedario), possono attraversare i deserti perché questi si consumano lentamente producendo, in seguito a processi metabolici per ossidazione dei citati lipidi, acqua che passa nel sangue, ciò ch’impedisce la disidratazione; il Dromedario, assieme al Topo del deserto, presenta poi la caratteristica di alzare la temperatura del sangue da 37 a 41 °C, in modo da risparmiare acqua e energia (che altri Mammiferi sono invece costretti a spendere per mantenere la temperatura sotto i 37 °C) etc.; da sottolineare, infine, e come si vedrà a seguire, che il bioma deserto è relativamente recente e che dove oggi è presente il clima arido, s’è verificato nel passato un progressivo inaridimento, seguito prima da oscillazioni umide, poi da una nuova fase arida che prelude a quella desertica attuale; da ricordare che i deserti non sono solo quelli subtropicali (qui privilegiati), esistono, infatti, deserti che costituiscono fasce strette ai margini occidentale dei continenti africano e americano, ed estesi dalle latitudini subtropicali fino all’Equatore (e questi deserti sono anche il prodotto delle correnti oceaniche fredde, v. supra, che toccano le dette fasce e sono detti deserti litorali); altri deserti, detti freddi, sono poi tipici nelle fasce temperate (per esempio, tra Cina e Mongolia, il Gobi o, nelle zone temperate a Sud, quello della Patagonia meridionale), e presentano zone rocciose e aride che sono tali per effetto della continentalità, cioè della loro lontananza dall’umidità degli Oceani (e per questo detti anche deserti continentali), deserti che presentano un’escursione stagionale, con estati torride (a 50° e oltre) e inverni molto rigidi (la temperatura può arrivare -27 °C) e con una persistente copertura nivale; in più, in alcune zone dell’Artide e dell’Antartide, e in buona parte della Groenlandia, esistono zone che sono classificate come deserti (o deserti polari); in ogni caso, i deserti freddi occupano poi il 14% delle terre emerse, e quelli aridi ne coprono un 16% (a maggioranza deserti subtropicali); i deserti, esclusi quelli polari, sono distribuiti tra Africa Settentrionale e Sudoccidentale, Penisola arabica, Medio Oriente, Asia Nordoccidentale (i paesi or ora citati costituiscono, praticamente, una fascia nell’Emisfero boreale che va dal deserto del Sahara, in Africa, al deserto di Thar, al confine tra Pakistan e India), America (la parte Sudoccidentale degli Stati Uniti e settentrionale del Messico), America meridionale (in Cile e marginalmente in Perù) e parte centroccidentale dell’Australia; la figura seguente mostra la localizzazione delle principali zone che presentano il bioma del deserto (la linea rappresenta l’Equatore):


Figura n.  . Fonte: Zunino e Zullini, 2014, p. 104.

A seguire la savana (il cui nome deriva dallo spagnolo sabana, che è dal taìno zabana , prato, pianura fertile, e che, come si vedrà, è coinvolta con la foresta pluviale nei processi evolutivi di Homo Sapiens; il taino è poi il nome della lingua ch’era parlata nelle Antille) che rappresenta una fascia che separa le foreste pluviali dai deserti tropicali, ed è compresa tra i Tropici e l’Equatore,  precisamente lungo la fascia arida (che presenta aree pianeggianti più o meno vaste a clima subdesertico) in corrispondenza dei Tropico del Cancro e del Capricorno, ed è un bioma che presenta alte temperature persistenti per tutto l’anno (con una media annua che oscilla tra i  21 °C e i 28 °C), con forti insolazioni e escursioni termiche giorno/notte e con fenomeni stagionali dove periodi secchi (che possono durare dai 4 agli 8 mesi, che corrispondono poi al periodo di riposo delle piante), s’alternano a periodi umidi (le piogge sono concentrate su pochi mesi, da 2 a 4, nei periodi corrispondenti ai monsoni e le precipitazioni presentano una variabilità tra i 250 mm e i 1 200 mm annui, ciò che dà origine alla savana umida, con 1 200 mm, alla savana arida, con 500-1 100 mm, alla savana spinosa, con 250-500; sotto i 250 mm, come detto, ci sono i deserti; nell’Emisfero boreale la stagione delle piogge s’ha tra aprile e settembre, in quello australe tra ottobre e marzo); la vegetazione xeromorfa (cioè adattata alla mancanza d’acqua) è caratterizzata da strato erbaceo alto (da 1 a 6 m) e con denso tappeto di Graminacee, a volte insieme con Ciperacee (copertura dell’80%, con la clausola che solo le Erbe possono convivere con le basse precipitazioni del clima arido), da uno strato arbustivo con cespugli di 1-3 m (copertura del 10%), e con alberi isolati di 5-7 m (con una copertura del 10%, Acacie ad ombrello, Acacia tortilis, pianta decidua, che qui perde le foglie nella stagione secca, e che sopporta condizioni di siccità; sono presenti anche il Baobàb, Adansonia digitata, la cui altezza può raggiungere oltre i 30 m e il cui tronco può arrivare ai 10 m di diametro e oltre, tronco in cui questa pianta immagazzina l’acqua assorbita durante le piogge), vegetazione che si rinnova, nonostante i suoli lateritici poveri di nutrienti, durante le stagioni della pioggia (presenti 1 o 2 volte l’anno, come dire che la ciclicità delle Piante erbacee è annuale) e fornisce alimentazione a Giraffe (Giraffa), Rinoceronti, Elefanti, a grandi branchi di Ungulati, tra i quali Zebre, Bufali (Bubalus), Gnu (Connochaetes taurinus), Antilopi e Gazzelle (Gazella); erbivori, questi, che sono predati da Felidi quali Leoni (Panthera leo), Leopardi (Panthera pardus) e Ghepardi; oltre ad altri predatori, quali lo Sciacallo (del genere Canis) e il Licaone), s’aggiungano i grandi Uccelli non carenati, inetti al volo, come lo Struzzo (Struthio camelus), l’Emù  e il Nandù (Rhea americanae), e quelli che si nutrono di carogne (o necrofagi), come  l’Avvoltoio orecchiuto (Torgos tracheliotus) e la Cicogna gozzuta (o Marabù, Leptoptilos crumeniferos); oltre a quella di grossa mole (è gli animali di grossa taglia sono una caratteristica della savana), è poi presente una fauna di piccola mole che ha abitudini fossorie nella stagione avversa (Roditori, Rettili, Insetti, etc.; per inciso, lo scavare tane sotterranee per ovviare alla forte escursione termica è dovuta al fatto che, sotto i 50 cm di profondità, la temperatura del substrato è costante e vivibile); da ricordare che, tra la fauna invertebrata tipica degli ambienti xerofili, sono anche presenti Formiche (della famiglia dei Formìcidi, Formicidae) e molte specie di Tèrmiti (dell’ordine degli Isòtteri, Isoptera), animali sociali i cui termitai possono arrivare a misurare 6 m o più d’altezza (a questi s’associa poi l’Orittèropo, Orycteropus, che i termitai li scava e si nutre di termiti) e le Locuste (Locusta migratoria); ancora, che molte specie, poiché migranti in cerca di zone umide nel periodo arido, sono sociali in funzione di difesa contro gli attacchi dei predatori (tanto che anche i neonati sono precoci, per esempio, uno Gnu appena partorito è già in grado di seguire il branco dopo poche minuti dalla nascita), così come sono sociali i predatori nelle loro strategie d’offesa; che le specie, avendo ognuna una nicchia separata, non sovrapposta, ed essendo come detto migranti stagionali, non sono in competizione fra di loro (per esempio, fra gli erbivori, i pascoli sono utilizzati ad altezze fra loro diverse, con le Zebre che si nutrono della parte alta della pianta erbacea e con gli Gnu ch’utilizzano, della stessa pianta, lo strato appena inferiore etc.); infine, sono presenti Primati quali il Babbüino (del genere Papio) e l’Amadriade (Papio hamadryas); il paesaggio della savana è poi aperto, brullo nelle stagioni secche e lussureggiante nelle stagioni della pioggia (la catena del pascolo, v. infra, ch’è molto intensa, assieme ai numerosi incendi spontanei, spesso causati dai fulmini, produce un paesaggio spoglio; nel caso scompaia la vegetazione arborea si hanno le steppe a Graminacee, mentre,  in assenza dei citati fattori di disturbo, e con maggiori precipitazioni non evaporate, la savana si trasformerebbe in una fitta foresta tropicale; da sottolineare poi che in queste zone si presentano spesso delle foreste a galleria, cioè delle formazioni vegetali che si formano lungo i corsi d’acqua e che l’ecotono, il passaggio dalla vegetazione della foresta a quella aperta della savana è brusco, tanto che spesso si forma una vera e propria barriera tra la distribuzione di numerose specie che possono vivere solamente o in un bioma o nell’altro); da ricordare è poi il fatto che la presenza dominante delle Graminacee (che avranno un ruolo determinante nell’alimentazione di Homo sapiens, v. infra) è data dal fatto che queste specie sono provviste di un apparato radicale rizomatoso tale che permette loro di catturare l’acqua alla superficie del suolo e sia che questa sia scarsa o abbondante, sia che il suolo la dreni o che la sua impermeabilità la trattenga (le radici, infatti, sono fibrose e fascicolate, cioè costituite da un asse principale che si ramifica in molteplici fasci laterali di filamenti sottili che terminano in peli radicali, sottilissime e numerose estroflessioni cui l’acqua e i sali minerali, necessari al metabolismo della pianta, riescono a risalire nei vasi delle radici e del fusto alimentando tutte le parti della pianta), e che i suoli lateritici, frequenti, come si vedrà, nelle regioni equatoriali e tropicali, sono dati da rocce sedimentarie, prodotte da processi eruttivi intrusivi (v. supra), di un colore tra l’ocra e il rosso, provenienti dall’alterazione di rocce silicatiche (v. infra) e con uno strato fertile di superficie di pochi centimetri; da sottolineare che questi suoli residuali di colore rosso scuro, sono ricchi d’ossidi d’alluminio (Al) e ferro (Fe), e che il processo naturale di trasformazione superficiale, o laterizzazione, avviene in seguito all’alterazione di tutti i silicati, i quali sono lisciviati, cioè, grazie alle acque percolanti, capaci di migrare nel livello inferiore del suolo (e insieme al carbonato di calcio) e che là dove il clima risulta particolarmente arido, qual è il caso in oggetto, si possono formare delle stratificazioni cementate che prendono il nome di bowal; sono a savana le regioni aride tropicali, e in parte subtropicali, dell’Africa (a Nord e a Sud dell’Equatore), del Madagascar occidentale (in cui il Baobab è endemico), dell’America Centrale e Meridionale (dove si trovano vàrzeas e llanos, o pianure, del Venezuela e della Columbia, che sono inondate da straripamenti di fiume una o due volte l’anno, e i cerrado, che sta per non accessibile, del Nordest brasiliano), dell’Asia (India, con due fasce) e dell’Australia (la savana, all’incirca, copre più del 10% delle terre emerse); la figura seguente mostra la localizzazione delle principali zone che presentano il bioma della savana (la linea rappresenta l’Equatore):


Figura n.  . Fonte: Zunino e Zullini, 2014, p. 104.

La regione compresa tra i Tropici è la più calda della biosfera e in essa si trova il bioma della foresta pluviale (di foreste pluviali n’esistono varie tipologie, qui si valorizza quella tropicale); a queste latitudini (10°-0° latitudine Nord e Sud) è praticamente presente un clima uniforme in tutto il corso dell’anno, senza variazioni stagionali, clima ch’è caratterizzato da una forte insolazione (con durate del giorno pressoché costanti che s’aggirano su un fotoperiodo di 12 ore) e da abbondanti precipitazioni (tra 1 500 e 4 000 mm annui) e, giacché non esiste una stagione arida, queste si si presentano pressoché quotidianamente, come dire ch’è una fascia climatica caratterizzata da elevate temperature (con una media annua di 25-35 °C, senza forti escursioni giorno/notte) e umidità; questo tipo di clima è poi detto equatoriale; pertanto la vegetazione è fitta, gli alberi, a latifoglie sempreverdi, sono molto alti (40-50 m) e la stratificazione arborea, che si presenta a copertura discontinua nel piano alto (o volta, dove è più alta l’insolazione e la temperatura media subisce un’escursione di 10 °C o più), è a copertura perlopiù continua nel piano arboreo intermedio (con piante di 25-35 m) e inferiore (10-20 m), piano, quest’ultimo, che sfuma in quello arbustivo e fa sì che la luce spesso non riesca a raggiungere il suolo (la luminosità qui presente è pari allo 0,5-3% di quella del piano superiore; l’interno della foresta pluviale, oltre che da una bassa luminosità, è poi caratterizzato da un microclima uniforme, molto caldo e umido, e da un’atmosfera ricca di diossido di carbonio); per questo, per la ricerca della luce, il sottobosco presenta epifite (cioè, come detto, piante che crescono su altre piante, quali Orchidee, Orchideae, Epatiche, Licheni, Felci etc.) e, unite alle epifite, piante rampicanti (quali le Liane, per esempio, in Amazzonia, il Guaranà; le Liane, come già accennato, sono poi piante legnose che s’attorcigliano attorno ai loro sostegni), nel complesso piante in cerca di luce, e che possono crescere anche sui rami sospese nell’aria con radici adattate a catturare l’umidità); lo strato erbaceo è poi spesso assente a causa della scarsa luminosità, mentre sono presenti Muschi; da ricordare, ancora, che le cortecce degli alberi sono sottili perché l’elevato tasso d’umidità non richiede protezioni, che l’apparato radicale è strutturato in modo da funzionare quale sostegno su substrati poco profondi e saturi d’acqua, che molte piante possiedono, per facilitare lo scorrimento delle precipitazioni, foglie con una punta ricurva verso il basso (la permanenza prolungata d’umidità sulle foglie, infatti, favorirebbe la crescita di piante epifille, cioè d’Alghe, Muschi, Epatiche e Licheni la cui crescita avverrebbe direttamente sulla foglia), infine, che molti fiori, per potere essere impollinati, non sbocciano tra le foglie, ma direttamente sul càule, o fusto (v. infra); per quanto riguarda il suolo, questo proviene dall’alterazione di rocce silicatiche (avvenuta in condizioni che favoriscono l’eliminazione della silice e dei metalli alcalini e alcalino-terrosi, v. supra), che sono di grana molto fine e di colore ocraceo rossastro, formate essenzialmente d’idrossidi di alluminio e ferro, talora accompagnati da minerali argillosi, quarzo etc., come dire che si tratta d’un suolo a laterite; questo suolo, ancora, a differenza della foresta temperata dove la maggior parte dei nutrienti è data dall’humus, manca di lettiera o quasi perché le condizioni di temperatura e d’elevata umidità favoriscono la veloce mineralizzazione delle sostanze organiche residue al suolo, e i nutrienti (che si ritrovano in un substrato di 5-10 cm) non sono abbondanti e, se sono possibili, è solo grazie alla rapida decomposizione della materia organica della biomassa vegetale e animale e all’altrettanto rapida attività dei decompositori (favorita anche dall’attività detrivora instancabile delle moltissime specie di Formiche presenti, per esempio) e grazie anche a una più rapida utilizzazione dei nutrienti permessa alle piante da un fungo delle radici che n’aumenta la capacità d’assorbimento (si tratta d’un fungo che, con tipo di simbiosi mutualistica, v. infra, detta micorriza, nel mentre accelera e fa da tramite per l’assorbimento dei nutrienti da parte della pianta, riceve a sua volta, e prodotte dalla pianta, delle sostanze organiche di cui necessita); la riproduzione delle quali piante (giacché le condizioni ambientali e dei suoli la permettono a ciclo continuo) favorisce, quindi, l’implementarsi d’una rete trofica sempre disponibile e ricchissima di biodiversità (si stima, per esempio, che in un ettaro di terreno possano essere presenti fino a 200 specie di piante), biodiversità ch’è favorita anche dalla detta stratificazione arborea (che permette a sua volta la stratificazione di nicchie ecologiche) e fatta soprattutto d’Insetti e gruppi d’Invertebrati, d’Uccelli, di Rettili, d’Anfibi e di Mammiferi arboricoli (da ricordare che moltissime specie delle foreste sono ancora da censire e classificare); in ogni caso, la fauna che si ritrova nel sottobosco è costituita da Mammiferi scavatori (Roditori, Armadilli), Scimmie terricole (Babbuini, che solo in caso di necessità sono arboricoli), Leopardi o Giaguari (Panthera onca); fra i Serpenti, Boa e Pitoni (che appartengono alla famiglia dei Bòidi, Boidae) e Bòtropi (Bothrops), e Ragni, Scorpioni, Formiche (che costituiscono 1/3 di tutta la biomassa animale); la fauna che si ritrova sotto la volta e sui rami più alti, e data da Scimmie, Bradipi, piccoli Uccelli che si nutrono di nettare, Pappagalli, Serpenti arboricoli, grandi Farfalle, Scoiattoli volanti e Pipistrelli; oltre la volta si ritrova, come fauna, la presenza d’Aquile (Aquila), Tucani (famiglia dei Ranfàstidi, Ramphastidae) o Bùceri (Buceros) e altri Uccelli; la foresta pluviale, che copre all’incirca il 10% delle terre emerse (e presenta il 60% delle specie conosciute), è distribuita tra il Tropico del Cancro (a Nord) e quello del Capricorno (a Sud), specificamente in America centrale, dalla costa dell’Ecuador fino al Messico meridionale; in Sud America, nel Bacino del Rio delle Amazzoni (e la foresta amazzonica è, in assoluto, la foresta più estesa della Terra) e lungo le coste dell’Atlantico, dal Brasile Nordorientale fino al Paraguay (questa foresta è detta, in portoghese, la Mata Atlântica, cioè foresta atlantica, e oggi è fortemente compromessa dal disturbo antropico) e, nell’Africa subsahariana, dal Camerun al Congo (anch’essa fortemente compromessa), nel Madagascar orientale, nell’India occidentale, nello Sri Lanka, in Birmania, nel Sudest asiatico, in Indonesia, in Nuova Guinea, nell’Australia Nordorientale, e in molte isole dell’Oceano Pacifico (fra cui, le Hawaii) ; la figura seguente mostra la localizzazione delle principali zone che presentano il bioma della foreste pluviali tropicali (in figura, invece che foresta pluviale, s’annota Foresta tropicale umida; la linea rappresenta poi l’Equatore):


Figura n.  . Fonte: Zunino e Zullini, 2014, p. 101.

La tabella seguente riassume le caratteristiche di massima dei biomi precedentemente descritti:

TIPOLOGIA
CARATTERISTICHE
ZONAZIONE (LATITUDINE NORD-SUD [1]) E % DI COPERTURA DELLE TERRE EMERSE
BIOMA (CLIMA+FLORA) / BIOCENOSI (FLORA+FAUNA)
CLIMA
BIOTOPO E FLORA
FAUNA
TUNDRA
90°-60° [2]; 5%
Rigido, con debole irradiazione solare solo estiva e molto scarse precipitazioni (clima artico)
Suolo periglaciale (permafrost, mollisol) povero di nutrienti; Muschi, Licheni, Ericacee
Uccelli estivanti, Roditori, Bue muschiato, Renna, Lupo, Volpe polare, Orso polare
FORESTA BOREALE (TAIGA)
60°-50° [3]; 18%
Rigido, con lunga irradiazione solare estiva e con scarse precipitazioni (clima subartico)
Suolo con humus acido (podzol) povero di nutrienti; Pini, Abeti, Aceri
Alce, Renna, Cervo, Volpe, Lince, Orso bruno, Scoiattolo: Crociere
FORESTA TEMPERATA
50°-40°;  5%
Temperature medie annue moderate, media escursione annua, variazioni stagionali ben definite con piogge distribuite uniformemente in quantità variabile nel corso dell’anno (clima temperato)
Suolo con humus dolce (mull) ricco di nutrienti; Querce, Faggi, Aceri, Pioppi, Castagni, Olmi, Tigli e Betulle, Liriodendri (in America)
Lupi, Linci, Volpi, Cinghiali, Donnole, Faine, Tassi, Caprioli, Talpe, Castori, Scoiattoli, Lepri; Poiane, Picchi, Ghiandaie; Colubri, Lucertole
STEPPA
40°-30°; dato mancante
Stagioni o molto calde e secche o molto fredde e che presentano scarsità di piogge, dove si susseguono un lungo periodo arido e un breve periodo di piogge
Suoli ricchi di humus (terre nere o černozëm); arbusti nani e d’erbe annue o perenni (rappresentate in prevalenza da Graminacee)
Bisonte europeo e americano, Cavalli, Onagro; Lupi, Coyote Citello, Cane delle praterie; Galliformi; Canguri, Emù, Casuario), Lucertole, Moloc
MACCHIA
40°-30°; 5%
Inverni miti ed estati brevi e secche, con precipitazioni in autunno e in inverno, e scarse o assenti nei mesi estivi (clima mediterraneo)
Suoli a laterite, con scarsa penetrazione dell’humus; Mirto, Lentisco, Leccio, Caprifoglio, Corbezzolo, Sughera, Cisti, Filliree, Ginepri, Ginestre
Istrici, Cinghiali, Tassi, Volpi, Daini; Uccelli Passeriformi; Rettili; Insetti (spesso con forme xilofaghe e fitofaghe)
DESERTO
30°-20°; 30%
Clima con forti insolazioni e precipitazioni minime e molto distanziate nel tempo; aria, evaporazione accelerata, con forti escursioni termiche giorno/notte (clima arido)
Suoli o sabbiosi o ciottolosi o rocciosi, con assenza di humus; copertura vegetale quasi inesistente (dove presente mostra forti adattamenti al clima)
Ratto canguro, Topo del deserto, Fennec, Camelidi, Scorpioni (e altra fauna con forti adattamenti al clima)
SAVANA
20°-10°; 10%
Clima che presenta alte temperature persistenti per tutto l’anno, con forti insolazioni e escursioni termiche giorno/notte e con fenomeni stagionali dove lunghi periodi aridi s’alternano a brevi periodi con precipitazioni (clima arido)
Suoli a laterite, con scarsa penetrazione dell’humus; Acacie, Baobab, Poacee
Giraffe, Rinoceronti, Elefanti, Zebre, Bufali, Gnu, Antilopi e Gazzelle; Leoni, Leopardi, Ghepardi, Sciacalli, Licaoni; Struzzi, Emù, Nandù, avvoltoi, Marabù; Roditori, Rettili; Formiche, Termiti, Cavallette migratrici
FORESTA PLUVIALE
10°-0°; 10%
Clima uniforme in tutto il corso dell’anno, senza variazioni stagionali, con forte insolazione, elevate temperature, abbondanti precipitazioni pressoché quotidiane e forte umidità (clima equatoriale)
Suoli a laterite, con scarsa presenza d’humus e con simbiosi micorriza; stratificazione arborea di latifoglie sempreverdi, sottobosco con piante epifite e rampicanti, strato erbaceo pressoché assente, con marcata biodiversità nell’insieme
Roditori, Armadilli, Scimmie terricole, Boa e Pitoni, Bothrops, Leopardi o Giaguari, Ragni, Scorpioni, Formiche; Bradipi, Pappagalli, Serpenti arboricoli, Scoiattoli volanti e Pipistrelli; Aquile, Tucani o Buceri
[1] Salvo diversa indicazione.
[2] È esclusa la latitudine Sud.
[3] È esclusa la latitudine Sud.

Tabella n. .


Escludendo gli ambienti acquatici di transizione con salinità spesso elevate (cioè con acque salmastre contenti sali d’origine marina in concentrazioni normalmente inferiori a quelle dei mari), quali si ritrovano in prossimità della costa, come le lagune, gli stagni o le foci dei fiumi (estuari, delta fluviali) che, immettendosi in mare, risentono anche per lunghi tratti dell’intrusione marina (e dove le biocenosi sono adattate a brusche oscillazioni di concentrazione salina e di temperatura, con piante alòfile e fauna alolimnòbia, dove alo- deriva dal greco ἅλς ἁλός, sale), abbiamo sopra detto che rientrano nei biomi terrestri anche i biomi d’acqua dolce; questi rimandano a due ecosistemi, quello delle acque litosferiche, ossia le acque che scorrono in superficie, o acque interne correnti, quali fiumi, torrenti, ruscelli, rapide e sorgenti (o ecosistema lòtico; sistema che non valuta però le acque che scorrono sotto la superficie nelle falde acquifere) e quello delle acque interne non correnti, sempre di superficie, quali laghi, stagni e pozze (o ecosistema lentico o lenitico; lotico deriva poi dal latino lotus, participio passato di lavĕre, lavare, mentre lentico, sempre dal latino, deriva da lentus, lento); detto per sommi capi, nell’ecosistema lotico le variabili investono essenzialmente la temperatura (con la qualità del pH e i contenuti di gas e sali disciolti), il substrato dell’alveo (roccioso, sabbioso o fangoso), la sua ampiezza, la sua profondità e la sua erosione/ablazione (cioè, la rimozione e trasporto del materiale eroso, a diversa granulometria, pari a trasparenza/torbidità delle acque) e la velocità della corrente; alla sorgente la temperatura d’un corso d’acqua è bassa (in media sui 5-10 ° C) e la pendenza determina la velocità della corrente, solitamente alta, tanto che i nutrienti dell’alveo sono pochi e provenienti dall’esterno, mentre a valle la temperatura è più alta (in media aumenta dai 12 ai 18 °C), la velocità della corrente è in diminuzione, tanto che il genere l’acqua e torbida, e i nutrienti accumulati sul fondo dell’alveo sono maggiori ed è permessa poi una più abbondante biocenosi; in ogni caso bisogna sottolineare ch’è mancante una biocenosi uniforme che valga per tutto l’ecosistema lotico in quanto, se pure graduali, esistono successioni variate di biocenosi, questo essendo diffusi microhabitat di varia tipologia (esistono microambienti dove gli organismi sono litofili, cioè vivono a contatto delle pietre sommerse, o sotto di esse, e trovano un habitat nella rada vegetazione; altri microambienti dove gli organismi sono detti igropetrici, questo poichè colonizzano rocce affioranti e mantenute in stato d’umidità, o organismi che colonizzano la superficie di ciò ch’è sommerso, piante, pietre, animali più grandi o altro, ancorandosi o strisciando su di questi supporti, quello che si chiama peripyhton etc.); tanto che, ed escludendo gli organismi che si spostano da un ecosistema all’altro, quali Uccelli, Rettili e Mammiferi (essendo quello lotico un ecosistema aperto), si può nel complesso dire che sono dominanti le biocenosi bentoniche, le forme natanti (il necton della colonna d’acqua) e le forme sospese e trascinate dalla corrente (plancton) e che nelle successioni di biocenosi dalla sorgente allo sbocco del corso d’acqua, cioè dall’alto, al medio e al basso corso, aumenta sempre il numero di specie; nell’ecosistema lentico, al contrario di quello lotico, il ricambio dell’acqua è lento (e solitamente dovuto ad immissari lotici o a sorgenti sotterrane) o assente, tanto che si parla di ecosistemi chiusi, e spesso si ritrovano dislivelli di temperatura tra la superficie più calda e il fondo più freddo, mentre nei laghi si presenta anche un termòclino che separa la zona calda da quella fredda, ciò che impedisce gli scambi fra le due zone, e possono variare i tassi dei nutrienti, da poco abbondanti (o oligotrofismo) ad abbondanti (o eutrofismo), e le forme di vita generalmente presenti sono il bentos in profondità (con Funghi e Batteri decompositori degli organismi morti sul fondo), il necton nella zona mediana e il plancton e il nèuston in superfice (il neuston è dato da piccoli organismi che vivono a  contatto con lo strato superficiale delle acque, sopra o sotto di esso; neuston deriva poi dal greco νευστός, che nuota), con specie predatrici, erbivore e filtratrici. Diversa è la situazione dei biomi marini, che si reperiscono invece in zone batometriche (o batimetriche, cioè riguardanti la profondità), di varia denominazione; per prima abbiamo la zona intertidale (detta anche intercotidale), vale a dire la zona della fascia costiera ch’è compresa tra i livelli della bassa e dell’alta marea e che, in quanto legata all’escursione delle maree e all’inclinazione delle coste, varia per estensione da pochi decimetri ad alcuni chilometri, con una sua flora e una sua fauna adattata alla particolarità dell’ambiente (per esempio, Crostacei sèssili e Alghe); in base poi alla distanza dalla zona intertidale e alla profondità s’identifica la zona di costa (o zona nerìtica, che termina dove finisce la piattaforma continentale e ha una profondità da 0 e 200 m; neritico deriva poi dal greco νηρίτης, conchiglia marina), dove l’intenso ricambio d’acqua mantiene in circolazione una quantità elevata di nutrienti da parte delle acque continentali, ciò che sviluppa la popolazione del fitoplancton (quali Cianobatteri e Alghe) che, in quanto autotrofa (cioè in grado di produrre gli alimenti che le necessitano con la fotosintesi), a sua volta permette una catena alimentare con lo zooplancton, eterotrofo (ossia incapace di produrre gli alimenti che gli necessitano se non nutrendosi d’altri organismi) quali Protozoi, Celenterati, Crostacei e uova o stadi larvali di vertebrati e altri invertebrati (da ricordare che i componenti di questo plancton neritico, o neroplancton, sono sospesi nelle acque e trascinati dal movimento delle correnti); in zona pelagica, cioè, come visto, in mare aperto (a partire da dove la piattaforma continentale aumenta fortemente la sua inclinazione con una scarpata), abbiamo in superficie la zona epipelagica che corrisponde con la zona fòtica, quella che si presenta fin dov’arriva la luce del Sole, cioè fino a 100 m, e dove dunque avviene la fotosintesi e vivono in sospensione gli organismi del plancton soggetti alle fluttuazioni delle masse d’acqua e dove circola il nècton, cioè il complesso degli organismi capaci, a differenza del plancton, di muoversi in opposizione al movimento delle correnti della zona epipelagica, insomma tutto ciò che nuota e che si nutre di plancton e si sposta isolato o in branchi, per esempio Cefalopodi, i Pesci e Cetacei; a seguire una zona intermedia (o mesopelagica) dove la luce del Sole fatica ad arrivare e dove la luminosità è pertanto bassa e non è possibile la fotosintesi, situata tra i 200 e i 1 000 m, che vede incursioni degli organismi nectonici; dove la luce non arriva c’è la zona batipelagica (o batiale), fino a 3 000 m, seguita dalla zona dei fondali oceanici, o zona bentonica, fino ai 6 000 m, oltre la quale c’è la già citata zona hadale (le tre zone sono anche dette afotiche), e qui abbiamo il bèntos (o bènthos), cioè il complesso degli organismi che vive sui fondali degli oceani, quali Alghe, Batteri, Molluschi, Vermi etc., cioè organismi ancorati ai fondali (o sessili), oppure che possono muoversi (o vàgili), e che possono essere o predatori d’altri organismi, o saprofagi, vale a dire organismi che si nutrono di forme in decomposizione, o decompositori e detrivori dei resti ch’arrivano sui fondali.