L’ANTHROPOCENE, 1, LA PREISTORIA, VOLUME SECONDO
LA COSTRUZIONE
DI NICCHIA
Detto
quanto sopra, ora ci si propone di porre le basi per riprendere l’ipotesi del
cervello sociale, questo partendo dalle premesse della teoria della costruzione
di nicchia (Niche Construction Theory,
NTC) che permette di legare tra di loro, in Homo
erectus, Homo arcaico e Homo sapiens, l’evoluzione della neocorteccia
come pari all’evoluzione d’una rete sociale, all’evoluzione dell’economia che
sostiene la rete sociale e alla modificazione (o antropizzazione) dell’ambiente
che permette tanto l’evoluzione del cervello quanto lo sfruttamento socio-economico
ottimizzato delle risorse disponibili, il tutto in un dispositivo che processa
con meccanismi di causalità reciproca questi tratti; detto questo, quello che
ora preme affermare riguarda il rapporto tra l’organismo e il citato ambiente,
rapporto che dal darwinismo in poi è stato legato allo iato tra lo sviluppo
interno dell’organismo e il suo sviluppo esterno in un ambiente dato secondo
una processualità detta d’adattamento; processualità dove il DNA è
autosufficiente nel determinare lo svolgimento e lo stato finale dell’organismo
e dove l’organismo con le varianti idonee all’ambiente esterno (prodotte nella
popolazione dalle mutazioni casuali nel patrimonio genetico, ereditabili e
adottate dalla selezione naturale) s’adatta a questo, là dove, ancora, questa
dinamica di variabilità genetica della popolazione può seguire nel processo
evolutivo i mutamenti dell’ambiente in un arco temporale dato (salvo incorrere
nell’estinzione), ciò ch’è anche lasciare intendere che il successo
riproduttivo d’un organismo, il suo valore adattivo (fitness), altro non rappresenta che la preminenza del suo sviluppo
interno, cioè del suo genotipo, e la totale passività del suo sviluppo esterno (il
fenotipo) in un ambiente storicamente situato; detto altrimenti, se le
variazioni degli organismi in una popolazione derivano da un processo di
mutazione e ricombinazione genetica che non risponde alle richieste
dell’ambiente, e sono queste varianti che vengono sperimentate in un ambiente
ch’esiste indipendentemente da queste variazioni, allora si può affermare che
il processo di variazione è causalmente indipendente dalle condizioni di
selezione che si verranno ad affermare dopo la messa alla prova della
variazione nell’ambiente (nel qual caso, e solo se queste variabili sono
ereditabili, il processo conduce a una popolazione che sempre meglio s’adatta
nel corso del tempo alle richieste d’un particolare ambiente); tanto che si può
sì sostenere che organismo e ambiente interagisco solo per il tramite del
processo di selezione, ma questo senza spiegare come il genotipo che presenta
il migliore valore adattivo in termini di probabilità di sopravvivenza e tasso
di riproduzione s’adatti storicamente come fenotipo a un dato ambiente, salvo
lasciare intendere che le proprietà di questo genotipo esplicate dal fenotipo si
modellano per rispondere (in modo passivo) ai requisiti specifici dell’ambiente,
come se esistesse una nicchia vuota ch’è finalmente abitata da organismi che
con le loro proprietà presentano la giusta forma per riempirla; per smentire
questa presunta passività nei confronti dell’ambiente, c’è un famoso
esperimento che mostra come un organismo (qui una pianta) risulti essere il
prodotto unico d’un processo ontogenetico legato alla sequenza d’ambienti in
cui si verifica, cioè non sia predeterminato dai suoi geni; esperimento che si
basa su una pianta di Achillea
millefolium di cui è facile clonare geneticamente individui identici
semplicemente tagliandola a pezzi, ciascuno dei quali diventa nel tempo un
individuo nuovo e completo (è quella che si classifica come riproduzione per
talèa, dove la talea è una parte della pianta capace di emettere radici e di
rigenerare un nuovo individuo); l’esperimento consiste nel prelevare sette
campioni di Achillea millefolium da
una popolazione selvatica (ciascuno con un genotipo differente) e di tagliare
ogni campione in tre pezzi (talee) di modo che le tre piante cresciute dalle
parti d’una pianta campione siano cloni l’una dell’altra, ma cloni sviluppatisi
in tre ambienti diversi; infatti, come mostra la figura seguente, ogni primo
pezzo di campione è piantato a bassa altitudine (30 metri s.l.m.) e
rappresentato secondo una sequenza orizzontale ordinata secondo la riuscita
della loro crescita (dalla talea più alta a quella più bassa, in cm); ogni
secondo pezzo è piantato a un’altitudine intermedia (1 400 m), sempre
rappresentato secondo una sequenza orizzontale che obbedisce all’ordine già
presente all’altitudine bassa, ma senza valorizzare la riuscita della crescita;
e ogni terzo pezzo è piantato in montagna (3 050 m) e rappresentato secondo una
sequenza orizzontale sempre ordinata secondo la sequenza già presente
all’altitudine bassa e, anche qui, senza valorizzare la riuscita della
crescita, di modo che la lettura verticale delle talee di ogni campione mostri,
dati i livelli, gli esiti della crescita alle diverse altitudini; si nota,
osservando la figura, che il primo campione di Achillea millefolium mostra la crescita massima alla bassa
latitudine (più di 50 cm) e all’altitudine elevata (47 cm), ma non a quella
media (solo 12 cm e con la talea che non è riuscita nemmeno a fiorire); che il
sesto campione mostra una talea che occupa il secondo posto per crescita alle
altitudini elevate (35 cm), che occupa il penultimo posto per crescita alle
altitudini basse (30 cm) mentre, ad altitudine intermedia, occupa per crescita
una posizione (30 cm) ch’è mediana tra la più alta e la più bassa; tanto che,
generalizzando, non c’è modo di prevedere l’ordine di crescita nei tre ambienti
dato che nessuno dei sette genotipi è costantemente il più alto o il più basso
(il genotipo 5, con una media di 25 cm, e il genotipo 7, con una media di 18
cm, sono quelli che sono cresciuti di meno di media in tutti e tre gli
ambienti, mentre le medie degli altri genotipi, 32-33 cm, sono
indistinguibili), né è possibile stabilire una correlazione tra gli schemi di
crescita nei diversi contesti, motivo per cui non c’è ragione di domandarsi
qual è il genotipo che produce la miglior crescita se non si specifica
l’ambiente in cui il fenotipo s’è sviluppato, ciò ch’evidenzia una reattività
fenotipica non passiva (o, con altre parole, che il fenotipo è l’unica
conseguenza di un particolare genotipo che si sviluppa in un particolare
ambiente):
Figura
n. . Fonte: Lewontin, 1988, p. 18.
È dunque
errato, come mostrano anche le prove a sostegno dell’epigenetica (v. supra), lasciare intendere che
l’ambiente d’un organismo sia indipendente da quell’organismo, e che i
cambiamenti che si verificano nell’ambiente siano autonomi e indipendenti dai
cambiamenti che avvengono nella specie stessa, poiché l’ontogenesi d’un
organismo è data dall’interazione unica tra i geni di cui è portatore, la
sequenza degli ambienti esterni con cui entra in contatto nell’arco del suo
ciclo vitale e le interazioni molecolari casuali all’interno delle singole
cellule (o perturbazioni casuali dello sviluppo, v. supra); tanto che è forse più pertinente, per comprendere con
efficacia un processo evolutivo, adottare al posto del termine adattamento
quello di costruzione, termine che sottolinea un approccio dell’organismo
all’ambiente che lo presenta come attivo (per esempio, organismi che costruiscono
nidi, tane, dighe, tumuli, ragnatele e altri reperti; piante che cambiano i
livelli dei gas atmosferici e modificano i cicli degli elementi trofici; funghi
e batteri che decompongono la materia organica e batteri che fissano le sostanze
nutritive etc., insomma tutto quanto modifica
date condizioni ambientali che possono, a loro volta, agire su altre condizioni
ambientali di costruzione) e che indica che una nicchia non può essere vuota,
preesistente a lui, ma esistente solo in quanto prodotto della sua interattività
specie-specifica; infatti, gli organismi determinano quali elementi del mondo
esterno sono costitutivi del loro ambiente e quali rapporti, tra questi
elementi, sono per loro rilevanti, il tutto in conseguenza delle proprietà
degli organi sensori, del sistema nervoso, del metabolismo e della forma
dell’organismo che creano una giustapposizione spaziale e temporale di tratti
del mondo, ciò che arriva a costruire, appunto, un ambiente per lui rilevante;
e si pensi, a questo proposito, alle scelte operative agite da un organismo
sull’ambiente che questi esperisce in realtà senza etichette, come il
darwinismo neurale ha comprovato, tanto che la realtà sperimentata dagli organismi
all’interno d’una specie è reperibile solo negli intervalli imposti dai filtri
selettivi permessi dalle percezioni sensoriali e motorie (cioè da una realtà garantita
in quanto ritagliata dagli unici intervalli di sperimentazione che questi ne possono
avere) e che pertanto le etichette prodotte dal fare di ogni organismo di
quella specie sono il risultato della sola e unica porzione dell’ambiente
esterno su cui esso, con il suo comportamento individuale (ma anche collettivo,
cioè sociale), può di fatto agire; ciò che vuol dire, se ci si pensa un poco,
che l’ambiente lo si deve valutare non in quanto dato come autonomo e
preesistente all’organismo e alla specie, ma esistente storicamente solo in
quanto interattivamente costruito dall’organismo (e dalla specie) entro i
limiti fisici e chimici imposti dall’ambiente, questo assemblando i tratti
percepiti e valorizzando, tra questi, dei sistemi di valore specie-specifici;
aggiungendo a ciò che le realtà prodotte dall’organismo sono poi dinamiche
poiché continuamente modificate dal suo fare in un percorso storico ch’è solo
suo (ma senza dimenticare che questo percorso è socialmente condiviso con la
popolazione cui appartiene), tanto che la reattività epigenetica dell’organismo
all’ambiente esterno si lega alla selezione naturale della specie come concausa
fenotipica d’una evoluzione adattiva (seppure questo fenotipo, che agisce entro
una data biocenosi, v. supra, e con
un ventaglio comportamentale prestabilito nei suoi limiti dal genotipo, debba
sempre essere valutato tenendo conto del fatto ch’è poi la popolazione che
s’evolve); ora, riprendendo le fila, si può sostenere che i rapporti fra geni,
organismo e ambiente sono relazioni reciproche in cui tutti e tre gli elementi
sono sia cause che effetti; i geni e gli ambienti sono entrambi cause degli
organismi che, a loro volta sono cause degli ambienti, così che i geni
diventano anch’essi cause degli ambienti mediate dagli organismi, dinamica
evolutiva che è formalmente rappresentata da due equazioni differenziali nel
tempo da leggersi accoppiate, in parallelo, e dove il termine d rappresenta il
differenziale, t il tempo (e dt il differenziale nel tempo), O l’organismo (e
dO il differenziale nell’organismo), E l’ambiente (e dE il differenziale
nell’ambiente, dove la E è l’iniziale di environment,
ambiente in inglese), f e g le funzioni:
(1)
dE/dt = f (O,
E)
(2)
dO/dt = g
(O, E)
dove con
l’equazione (1) si dice che le modificazioni dell’ambiente nel corso del tempo
sono funzione sia dello stato dell’organismo in quel momento che delle
variabili ambientali e con l’equazione (2) s’afferma che le modificazioni
dell’organismo sono funzioni sia dello stato dell’organismo in quel momento che
dell’ambiente, come affermare, ma solo se le si legge accoppiate, che la storia
dell’organismo e dell’ambiente sono funzioni sia degli organismi che
dell’ambiente, ossia che le equazioni (1) e (2) sono inscindibili in quanto
descrivono una coevoluzione di organismo e ambiente in cui entrambi sono sia
causa che effetto (e
dove la
modificazione dell’ambiente rimanda a un meccanismo di causalità endogena, reciproco
alla selezione naturale nel processo evolutivo), cui s’aggiunga il fatto che se
dei piccoli cambiamenti nell’ambiente portano a dei piccoli cambiamenti
nell’organismo che, a loro volta, portano dei piccoli cambiamenti
nell’ambiente, allora vuol dire che questa coevoluzione presenta la
caratteristica d’essere topologicamente continua; ora, generalizzando, e senza
entrare nello specifico, si può affermare che:
1.
gli
organismi determinano l’effettiva natura fisica dei segnali provenienti
dall’esterno per il tramite d’un filtro di trasformazione creato dalla biologia
specifica della specie, cioè per il tramite d’una trasduzione (v. supra) il cui risultato è percepito
dalle funzioni dell’organismo come una variabile ambientale incorporata nelle
loro reazioni;
2.
gli
organismi determinano pertanto quali elementi del mondo fisico esterno vanno a
costituire il loro ambiente;
3.
determinando
gli aspetti del mondo esterno rilevanti per la loro forma e il loro
metabolismo, gli organismi costruiscono attivamente il mondo che li circonda;
4.
gli
organismi e l’ambiente costituiscono un sistema aperto in cui la frontiera tra
l’interno e l’esterno e fortemente permeabile, ciò che permette il passaggio di
materia e energia dall’esterno all’interno e dall’interno all’esterno;
5.
gli
organismi alterano continuamente il loro ambiente, questo perché i sistemi
viventi (in quanto sistemi aperti a elevata eterogeneità interna) trasformano i
materiali per assorbire energia in una forma e la restituiscono in una forma
diversa che, a sua volta, è oggetto di consumo per un’altra specie (aspetto produttivo
dei processi vitali);
6.
gli
organismi alterano non solo il proprio ambiente (rimodellandolo), ma anche gli
ambienti di altre specie in un modo che coinvolge la sopravvivenza della
propria e delle altrui specie, cioè organismi e ambienti coevolvono;
7.
la
distribuzione geografica, temporale e storica delle specie non è comprensibile
se l’ambiente viene visto come una proprietà della regione fisica e non come
uno spazio definito dall’attività degli stessi organismi;
8.
una nicchia
vuota non può esistere in quanto una nicchia non preesiste agli organismi, ma
si forma in conseguenza della biologia specifica degli organismi stessi;
9.
una nicchia
è pertanto data dai rapporti tra gli elementi che sono rilevanti per
l’organismo;
10. la vita, nel suo complesso, s’evolve
in condizioni esterne che dipendono dal trascorso storico di coevoluzione delle
attività biologiche degli organismi e degli ambienti (per esempio, si
pensi solo al
contributo dei cianobatteri che hanno immesso, in milioni e milioni di anni di
fotosintesi, l’ossigeno molecolare nell’atmosfera terrestre poi utilizzato
dagli organismi aerobi, v. supra);
ora,
entrando nel dettaglio, del concetto di nicchia ecologica s’è già parlato
diffusamente in precedenza (e se ne parlerà ancora a seguire), qui se ne
riassumono le caratteristiche affermando che una nicchia, ch’è tale solo data
una popolazione che la occupa, è composta da un insieme di variabili continue/discontinue
che vanno dall’occupazione d’uno spazio fisico (o nicchia spaziale, data dall’habitat ricoperto e dalle sue
caratteristiche abiotiche date dalle sostanze inorganiche e organiche presenti,
quali i fattori fisici e chimici dell’ambiente, compresi la natura del suolo,
le condizioni climatiche, le caratteristiche geografiche etc. ai cui parametri l’organismo deve rispondere); dalla tipologia
e dal volume delle risorse trofiche necessarie al mantenimento in essere della
popolazione (o nicchia trofica); dal comportamento assunto dagli organismi
della popolazione all’interno della nicchia spaziale e trofica, per esempio, le
modalità di spostamento o la ciclicità delle attività giornaliere o stagionali
che indicano l’utilizzo delle risorse dell’habitat
in cui questi vivono e il ruolo e le funzioni specie-specifiche (intraspecie, quali
competizione, socialità, riproduzione etc.,
ed extraspecie, quali predazione, parassitismo etc.) che questi organismi realizzano nell’ecosistema dato,
compreso il grado di tolleranza a un mutamento delle citate variabili entro
parametri critici (cioè da quelle che si possono definire, date le variabili
abiotiche, come le modalità biotiche che permettono la sopravvivenza e la
riproduzione); detto questo, conformemente alle premesse sopra illustrate, anche
la teoria della costruzione di nicchia afferma che l’adattamento a un ambiente
mostrato da una popolazione rimanda a un processo dove gli organismi che questa
popolazione la compongono, modificando l’ambiente esterno (preesistente) che
occupano, danno forma alla propria nicchia ecologica, cioè costruiscono le
variabili (le condizioni di possibilità) che permettono la fitness che li mantiene in essere in un arco temporale dato e ne
permette la riproduzione, dunque che l’adattamento non è qui visto solo come un
processo d’adeguamento alle richieste dell’ambiente (stando almeno alla
versione dominante del concetto d’adattamento), cioè come un processo in cui la
popolazione presenta un ruolo passivo (e dove dell’adeguamento gestito dalla popolazione
si fa garante la selezione naturale), ma come un processo in cui questa è dinamica,
reattiva, e in cui la selezione è in qualche modo complice d’una determinazione
invece che essere solo determinante, ossia ch’essa non è un adattamento
asimmetrico, ma una regolazione simmetrica, in virtù del quale la selezione
porta a cambiamenti con il trascorrere del tempo negli organismi nel mentre gli
organismi introducono cambiamenti nel loro ambiente al fine di promuovere
un’ulteriore selezione; infatti, come s’è precedentemente cercato di mostrare, grazie
alla loro reattività fenotipica gli organismi coevolvono topologicamente con il
loro ambiente in quanto l’ambiente non cambia in modo autonomo rispetto agli
organismi poiché questi lo modificano continuamente, cioè concorrono a
costruire la loro nicchia agendo e sulle autonomie relative delle comunità
biotiche presenti e sui fattori abiotici e, fatti sempre salvi i vincoli
esercitati dall’azione delle variabili biotiche e abiotiche che sono sempre
vissute cercando di tamponarne la variabilità (quelle abiotiche, per esempio,
per rendere la temperatura, l’umidità, l’esposizione al vento o alla luce del Sole
più uniformi etc., ovviamente fatti
salvi
quei processi
ambientali che in improvvisa autonomia disturbano la nicchia d’un organismo),
gli organismi non sopravvivono perché s’adattano a dei cambiamenti avvenuti
autonomamente dal loro intervento, ma perché, grazie alla loro reattività, essi
sono a un tempo e oggetto e soggetto dell’evoluzione; soggetto (tra soggetti)
in quanto valorizzato come appartenente a una popolazione che, come tale, sarà
in grado di modificare le dinamiche ecologiche che arriveranno, in funzione di feedback, ad alterare anche la pressione
selettiva, cioè quanto sta alla base del meccanismo selettivo che lo ha prodotto
come oggetto (e come lui, che ha reso oggetto anche la parte restante della
popolazione); il tutto secondo un meccanismo coevolutivo che farà sì, per il
tramite d’un doppio dispositivo deterministico dell’ereditarietà (tanto
genetica quanto di costruzione di nicchia), che la seconda generazione, e
quelle a seguire, troveranno un ambiente che sarà via via meglio adattato alle esigenze
degli organismi nel susseguirsi delle popolazioni, ovviamente fatto salvo il
fatto che gli effetti dell’ereditarietà della costruzione di nicchia persistano
e possano coevolvere con la popolazione per un numero congruente di generazioni;
la figura seguente illustra il doppio dispositivo deterministico
dell’ereditarietà, cioè che l’organismo può essere prodotto
dalla coevoluzione tra da due processi, e mostra che ogni organismo (O) in qualsiasi
punto del tempo (t, t+1, t+2, t+3, t+4) è descritto da una serie di tratti
distintivi, per esempio, uno stile di vita arboreo, una dieta frugivora o onnivora
etc., rappresentati da una serie di
lettere minuscole (c, n, h, k, q, j) rinchiuse verticalmente in una cornice, lo
stesso che l’ambiente nel quale l’organismo vive (environment, E) scomposto in una serie di tratti, per esempio,
la temperatura locale, la piovosità o la presenza di un predatore etc., qui rappresentati da lettere
maiuscole (A, B, N, H, K, Q, Z, L), sempre presenti in ordine verticale, ma
senza cornice, e posti parallelamente alle lettere minuscole; un organismo
adattato al suo ambiente corrisponde poi ad un insieme sommatorio di tratti
dell’organismo e di tratti del suo ambiente, rappresentati da un abbinamento di
una lettera minuscola con una lettera maiuscola; la linea del tempo (time) mostra poi le modificazioni
intervenute negli accoppiamenti dei tratti (cioè le varie modalità
d’adattamento):
Figura
n. . Fonte:
Odling-Smee, Laland e Feldman, 2003, p. 49.
Guardano la figura si nota che, a un tempo t, l’organismo O(t) è ben adattato al suo
ambiente E(t) in base al livello di funzionalità delle corrispondenze
tra i tratti (n-N, h-H, k-K, q-Q), ma anche che ci sono alcuni non coincidenze
o disallineamenti (c-B, j-Z); al tempo t+1, come
conseguenza dell’azione di selezione naturale (Natural selection) all’interno della popolazione, la competizione è
stata migliorata attraverso la selezione degli organismi O(t+1) con il
tratto z, e questo a scapito di quelli con il tratto j; al tempo t+2 la competizione è stata migliorata con il ricorso a
una costruzione di nicchia (positiva; Positive
niche construction), tanto che l’organismo O(t+2), modificando
il fattore ambientale B e producendolo come fattore C, genera l’allineamento
c-C, per esempio,
i lombrichi comuni (Lumbricus terrestris, che presentano l’anatomia e la fisiologia
degli animali che vivono in un habitat
d’acqua dolce, ma vivono nel suolo) sono in grado di sopravvivere modificando
il terreno (B) per soddisfare la loro fisiologia, e per questo scelgono un orizzonte
ottimale del suolo in cui scavano cunicoli, ingoiano terra (geofagia) che triturano e che espellono, insieme ai detriti vegetali ingeriti e alle
secrezioni intestinali, all’inizio dei cunicoli creando, così, un ambiente (C)
per loro ottimale rispetto ai loro parametri critici (v. supra); al tempo t+3, attraverso una
costruzione di nicchia (negativa; Negative
niche construction) l’organismo modifica il tratto N producendolo come D,
ciò che genera una nuovo disallineamento n-D, per esempio, le deiezioni d’una
popolazione di mammiferi scavatori (fauna ipogea) che inquinano le loro tane fino
al punto in cui queste diventano inabitabili, inservibili; al tempo t +4 questo porta la selezione naturale (Natural selection) a privilegiare organismi
O(t+4) con il tratto d a scapito di quelli con il tratto n, per esempio, rimanendo nell’ambito dei mammiferi scavatori, la selezione
naturale favorisce ora individui che depositano le loro deiezioni in un sito,
diventato latrina, ch’è lontano dalla loro tana; insieme che mostra che nel
corso del tempo l’adattamento dell’organismo è il prodotto della selezione
naturale (t+1, t+4) che coevolve con la costruzione di nicchia (t+2, t+3);
questo processualità è schematizzata anche nella figura seguente dove, seguendo
la linea del tempo (time) al tempo t
esiste una presupposizione processuale reciproca tra il pool genetico (gene pool)
di una popolazione di diversi fenotipi (population
of diverse phenotypes) che, per il tramite della costruzione di nicchia (niche construction), risulta modificato
dalla selezione naturale, tanto che la Et del tempo t lascia, al
tempo t+1, un’eredità ecologica (Ecological
Inheritance) a E(t+1), come mostra la freccia orientata che va
da Et a E(t+1), mentre il pool genetico del tempo t lascia un’eredità genetica (Genetic Inheritance indicata con la freccia orientata) al pool genetico del tempo t+1; e dove,
sempre al tempo t+1, si ripete poi il processo di presupposizione processuale reciproca
tra E(t+1) e il pool
genetico modificato nell’arco temporale t/t+1:
Figura
n. . Fonte:
Odling-Smee, Laland e Feldman, 2003, p. 14.
La novità
della Niche Construction Theory non è
dunque solo nel validare la presenza d’un meccanismo coevolutivo genetico ed
ecologico, ma anche nel fatto che esista un doppio dispositivo deterministico
dell’ereditarietà, ciò che implica che ogni organismo d’una specie, dopo un insieme
congruente di generazioni in cui la nicchia s’è assestata, deve anche ereditare
una relazione iniziale che lega l’organismo alla nicchia costruita/assestata
che diventa la sua, una nicchia d’avvio (o start-up
niche) che include una localizzazione specifica nello spazio e nel tempo e
che risente delle scelte e delle azioni di chi ha dato vita a questo organismo,
cioè la detta ecological inheritance; un’eredità fatta di un
ambiente selettivo modificato che l’organismo ricevente amministrerà
rispondendo alle istanze ambientali, cioè alterando di nuovo l’ambiente per mantenere
regolare il suo equilibrio organismo/ambiente, e con ciò creando un continuum
adattivo che dura per l’intero arco della sua esistenza, un ambiente che potrà
eventualmente lasciare come nicchia di partenza ai suoi eredi; infatti, gli
ambienti selettivi possono persistere nel tempo grazie alla loro riparazione o ricostruzione
e per un periodo di tempo superiore all’arco di vita temporale concesso ai
singoli costruttori, e per questo possono continuare a regolare l’intensità
dell’impatto di questi effetti su ciò che sperimenteranno le successive
generazioni della stessa popolazione e, grazie alla ricaduta ambientale di
questi effetti sullo stato dei suoli, dell’atmosfera, dell’acqua, del ciclo di
nutrienti etc., sono da comprendere anche molte altre popolazioni
presenti in una biocenosi ognuna con il proprio dispositivo d’eredità genetica ed ecologica,
ragion per cui l’eredità ecologica è trasmessa in modo continuo non a un solo
discendente, ma a più popolazioni d’organismi presenti in un ecosistema, dunque
all’interno delle popolazioni che lo abitano e tra le loro generazioni che si
susseguono in un dato arco del tempo storico, come dire che l’eredità ecologica
può coinvolgere n popolazioni e non è da ridursi alla sola eredità
parentale; e quale esempio d’eredità ecologica, si veda l’ambiente del castoro,
là dove le dighe di sbarramento su fiumi e torrenti fatte con rami e tronchi (prodotto
del lavoro dei suoi denti incisivi sulla vegetazione che ha in questa zona ripariale,
fatta di rive di specchi d’acqua, il proprio habitat), sono spesso
mantenute in essere, riparate e allargate, dalla comunità sociale dei castori
per decenni, dunque di là dalla durata di vita d’un singolo castoro ch’è di ca.
20 anni, coinvolgendo, in questo, le comunità degli altri organismi presenti,
animali, piante insetti, microrganismi, che vivono in un ambiente non neutro,
ma modificato dal castoro; oppure si veda l’ambiente d’una tèrmite, Isoptera, dove un termitaio,
cioè un unico sistema di cumulo, spesso alto fino a 9 metri e costruito con terra e
legno masticati e impastati, può durare per molteplici generazioni di termiti
in comunità che possono essere centenarie; o, ancora, l’attività dei già citati
lombrichi i
cui cambiamenti prodotti nel terreno possono durare per molte generazioni modificando il suolo e il nutrimento delle piante e, conseguentemente, il
destino di chi se ne nutre etc.; così come il doppio dispositivo deterministico dell’ereditarietà implica
il fatto che, data la citata coevoluzione, la costruzione di nicchia è
leggibile anche come un processo evolutivo fondante e a sé stante, questo s’è vero,
lo si ripete, che buona parte delle pressioni selettive a cui sono esposte le popolazioni esistenti
sono anche a causa delle precedenti attività di costruzione di nicchia da parte
delle popolazioni storicamente passate, ossia che la costruzione di nicchia, piuttosto
che il semplice prodotto finale d’una coevoluzione precedente che si ferma al
fermarsi dell’attività storica d’un organismo, cioè stando a un ciclo che si
blocca alla morte individuale dell’organismo (come le premesse sopra esposte possono
sottendere), deve essere valutata come una nicchia che, se persiste, sorpassa
storicamente l’individuo sotto la forma dei lasciti transgenerazionali d’una pressione
selettiva che ha già cominciato a modificarsi, una successione ecologica che
rientra nella logica d’un ciclo che si presenta come promotore del cambiamento
evolutivo nel mentre attraversa le generazioni (ciclo in cui la costruzione della
nicchia dirige, regola e limita l’azione della selezione modificando gli stati
ambientali che saranno sperimentati dagli eredi ecologici in fase di crescita,
come mostrano, per esempio, quegli organismi che costruiscono gli ambienti di
sviluppo per la loro prole fornendo cibo e riparo); volendo, il concetto di funzione
di nicchia di una popolazione, o N(t), può essere così formalizzato (dove il
termine N rappresenta la nicchia, t il tempo, h la funzione, O una popolazione
di organismi, E l’ambiente):
(3)
N(t) = h
(O, E)
equazione
che può leggersi come rappresentazione della nicchia N d’una popolazione
d’organismi O al tempo t in un ambiente E; equazione dove le dinamiche
transgenerazionali di nicchia sono dunque generalizzate valorizzando l’interazione
tra l’organismo e l’ambiente già presente nelle equazioni differenziali (1) e
(2) di cui s’è detto in precedenza; e ora, giacché la NTC prevede anche la
migrazione/dispersione di organismi che si spostano nello spazio, cioè che si
trasferiscono in nuovi ambienti (delocalizzazione) dove devono sperimentare
altre condizioni, si pensi alla portata dell’affermazione sulle dinamiche
transgenerazionali di nicchia se oggetto di studio diventa il genere Homo, là dove tutto il suo vissuto è fenomeno leggibile
anche come effetto di una costruzione di nicchia transgenerazionale che si basa
sulle dinamiche esperienziali di delocalizzazione e domesticazione
dell’ambiente (v. supra) da parte d’una
collettività d’organismi guidata dal cervello sociale (di cui s’è parlato diffusamente
sopra e che sarà definito a seguire); questo dato che, s’è vero che le informazioni e i comportamenti acquisiti
dagli organismi attraverso processi ontogenetici non possono essere ereditati in
quanto si perdono dopo la loro morte, processi come l’appreso dai suoi discendenti
in un contesto sociale possono essere di notevole importanza per la generazione
presente (trasmissione orizzontale) e quelle successive (trasmissione
verticale) giacché il dispositivo dell’ereditarietà ecologica può permettere al
cervello sociale di valutare e controllare i parametri critici della
costruzione di nicchia (intesi questi come tutto ciò che può ridurre
l’incertezza negli ambienti selettivi rispetto agli interessi manifestati dagli
organismi riguardo alla loro fitness,
cioè controllando il ventaglio degli ambienti di sviluppo cui possono essere
esposti gli eredi), con la clausola che l’appreso dalla collettività d’organismi sia poi inteso in
termini di flussi di conoscenze, comportamenti e pratiche acquisite; un insieme,
dunque, ch’è veicolato da un cervello sociale in un processo di sociogenesi
ininterrotta che, come mostra l’iter
del genere Homo, implica dei cambiamenti tanto nel
trasferimento transgenerazionale dell’ereditarietà ecologica quanto nella loro stabilizzazione
(selettiva) storicamente data e determinata; e in special modo nel momento in cui la costruzione di nicchia gli
permette di persistere, cioè di sussistere e riprodursi, nelle condizioni
ambientali frammentate, instabili e ostative, ossia inospitali e proprie al
vissuto di domesticazione dell’ambiente da parte del genere Homo (v. per esempio, supra, l’effetto di tamponamento, o buffering), condizioni d’antropizzazione
che come si vedrà creano poi le premesse per la domesticazione e la colonizzazione
dell’intero pianeta da parte di Homo
sapiens; senza però dimenticare che questo dato di fatto, cioè che l’ereditarietà
ecologica influenza fortemente le dinamiche evolutive, vale tanto per il genere
Homo quanto per le centinaia di specie sociali di
mammiferi, uccelli e pesci in cui la capacità d’interagire con l’ambiente, grazie
al detto dispositivo di conoscenza e comportamento acquisito promosso
dall’ingegneria ecologica, non è una capacità ch’è garantita dalla presenza di
geni selezionati dall’evoluzione; o, detto altrimenti, è sempre sottinteso che questo
dispositivo d’ereditarietà ecologica rappresenta un’eredità extragenetica che allarga
il concetto stesso d’ereditarietà di là dalla genetica di trasmissione, ciò che sottolinea, in
generale, come non tutto lo
sviluppo sia sotto stretto controllo genetico (e sempre fatta salva la causalità
reciproca e ricorsiva tra eredità ecologica e eredità genetica); ora, l’appreso
dalla citata collettività d’organismi rimanda a quello che qui s’intende con il
termine cultura, termine ombrello di difficile esplicitazione semantica a causa
del suo uso polisemico (o, volendo, del suo uso come concetto passe-partout che difficilmente trova
unanime consenso), che qui s’adotta nella sua valenza di strumento di trasmissione
e modellamento sociale grazie al quale il genere Homo ha potuto costruire le sue nicchie in grado di modificare l’ambiente
abiotico e biotico degli ecosistemi a suo vantaggio (e con ricadute evolutive anche
per piante e animali, che sfociano infine nella selezione artificiale; per
esempio, v., infra, la loro
domesticazione) e che possiamo tradurre, come sopra accennato, attraverso il
ricorso ai flussi
di conoscenze, di comportamenti e di pratiche acquisite trasmesse con lo
stoccaggio delle memorie e delle competenze nei cervelli e con la loro
esplicitazione attraverso il linguaggio o l’imitazione o con altri modalità
d’apprendimento sociale (o social
learning), oppure con altri strumenti e metodi d’immagazzinamento esterno
della memoria (v. infra), tratti che
possono essere indicizzati grazie al tasso di sviluppo economico e sociale; questo,
in dettaglio, ricorrendo alla tipologia delle risorse utilizzate, ai mezzi di
produzione utilizzati per trasformarle in prodotto (e, a seguire, a distribuirlo
per il consumo) e dai rapporti sociali che si creano nella collettività in
riferimento alle possibilità di sfruttamento delle risorse offerte dallo stato
dei mezzi di produzione e dall’accesso al consumo dei prodotti; un insieme,
come vedremo a seguire, che basandosi sulla produzione materiale include anche
l’organizzazione degli stati mentali (epistemici o meno che siano, e là dove
l’episteme riguarda l’indagine razionale del percepito), l’intrecciarsi dei
vissuti emotivi (prosociali) e dei vincoli paradigmatici che i sistemi delle
credenze e i sistemi valoriali, insomma i sistemi legati allo stato delle forze
produttive e delle visioni del mondo (o Weltanschauungen),
stabiliscono e plasmano all’interno delle collettività proiettate verso la loro
riproduzione sociale in fase d’assestamento o di stabilizzazione e altro ancora;
con la clausola, ritornando alla costruzione di nicchia, che il serbatoio
dell’appreso transgenerazionale (o eredità culturale, cultural inheritance) è poi da intendersi come una
componente dell’eredità ecologica, un suo sottoinsieme che può essere definito come costruzione d’una
nicchia culturale (cultural niche
construction)
o, detto altrimenti, che l’eredità non è tripla (genetica, ecologica e
culturale), ma duale (genetica e ecologica) essendo la costruzione della
nicchia culturale solo una componente, sia pur molto pervasiva
nell’antropizzazione dell’ambiente, dell’eredità ecologica (o, detto
altrimenti, non tutta la costruzione della nicchia umana è costruzione della nicchia
culturale, e non tutta l’eredità ecologica umana è eredità culturale); e a
proposito della pervasività di questo tratto della costruzione culturale, e
fatto salvo il caso che l’eredità ecologica possa implicare un processo culturale senza alcuna ricaduta genetica, si presenta il
problema della coevoluzione dell’eredità genetica
umana che si combina con l’eredità culturale (o coevoluzione gene-cultura,
detta anche teoria dell’eredità duale, o Dual
inheritance theory, DIT), il tutto
come un effetto endogeno della costruzione di nicchia che potrebbe influenzare la selezione naturale dei geni nel genere Homo, selezione che, a sua volta,
potrebbe a volte poi influenzare l’espressione dei processi culturali e l’antropizzazione
dell’ambiente.